7.4.06

Lella Costa: una donna, un'attrice, un intramontabile personaggio nel teatro italiano

di Silvia Del Beccaro

In quanto critica teatrale e responsabile delle pagine culturali presso il mio giornale, posso dire che di pièce ne ho viste tante... Ma solo poche mi hanno veramente entusiasmata. Una di queste è stata “Precise Parole”, monologo ispirato a Shakespeare, e più precisamente al suo “Othello”. La tragedia viene raccontata attraverso gli occhi dei vari personaggi, come il Moro di Venezia (l’eroe), Jago (l’antagonista), Desdemona (il personaggio femminile) e molti altri. La scenografia è semplice ma, come si suol dire, efficace. Un effetto speciale continuo, dato dal susseguirsi di luci e veli. E sul palco? Una Lella Costa straordinaria, energica, che cattura senza problemi l’attenzione del suo pubblico... Una Lella Costa che ci ha permesso di conoscerla meglio, rilasciandoci un’intervista. La sua passione per il teatro è nata in una maniera abbastanza buffa.

“Seguivo dei corsi come aspirante terapeuta; però, parte di questi corsi consisteva nell’interpretare un ruolo. E interpretando la storia di una ragazza schizofrenica, ho avuto un tale successo che mi hanno detto: “Tu dovresti fare l’attrice”. E così è stato. Ero già grande; facevo già l’università. Mi sono resa conto che è un mestiere straordinario, e che non solo mi permetteva di “giocare” tutta la vita, ma anche di ridurre al minimo la “schizofrenia” che esiste tra quello che vuoi fare per passione e quello che ti tocca fare per vivere. E poi ho avuto la fortuna di intuire, anche se ci ho messo un po’ di anni, che questa dimensione del monologo con prevalenza comica o ironica, ma non esclusivamente, poteva diventare una mia cifra di riconoscimento”.

A quando risale il Suo debutto teatrale?

“La prima volta … avrò avuto quattro anni all’asilo! (Sorride.) No, no. La prima volta è stato con un mio spettacolo, anche se non era scritto da me; ma, insomma, il mio vero debutto con un monologo è stato nel 1980”

Come il bacio, anche il primo spettacolo non si scorda mai... Mille (e più) sensazioni assalgono la mente e il corpo, non è così? Lei cosa provò?

“Grandissima emozione, grandissima energia, adrenalina alle stelle. Ho capito che quello era il mio posto!”

Come ha incontrato Gabriele Vacis (regista dello spettacolo “Precise Parole”) e come è nata l’idea di una collaborazione? Tra l’altro, so che non è il primo spettacolo che realizzate insieme.

“No, è il terzo e non sarà certo l’ultimo. E’ nata dal fatto che ci conoscevamo. Lui mi aveva invitata, con le prime cose che avevo scritto, presso il teatro Garibaldi di Settimo Torinese. Io avevo amato moltissimo alcuni suoi spettacoli, soprattutto “Elementi di Struttura del Sentimento”, che era la sua versione di “Affinità Elettive”. Bellissima! Spettacolo strepitoso. Ma io avevo sempre pensato che lui fosse quasi esclusivamente interessato a regie, come dire, collettive. Poi, invece, ci siamo sempre frequentati. Lui fece la regia, nel ’95, se non ricordo male, di “Novecento”, il monologo di Baricco, e io andai a vedere il loro debutto ad Asti. E in quell’occasione gli dissi: “Sappi che a gennaio debuttiamo con uno spettacolo. Tu fai la regia, perché ho bisogno di te. E così è stato!”

Lei ha recitato sia nei grandi teatri metropolitani, sia nei piccolo centri periferici... Riguardo al binomio "attore - pubblico", il rapporto cambia dalla provincia alle grandi città?

“Non sostanzialmente. Sicuramente, da alcuni anni a questa parte, se c’è vivacità, attenzione, energia, ce n’è molta di più in provincia che non nelle cosiddette “grandi città”. Assolutamente. Io sono venuta da una tournée al Sud e ho avuto la conferma di questa cosa. C’è una maggior attenzione, una maggior vitalità; c’è più dinamismo; c’è più curiosità”

Può svelare il nome di un attore o di un attrice a cui si è ispirata?

“Non so … credo che specialmente tutti noi che facciamo il mestiere di monologanti, abbiamo “rubato” a un sacco di gente. L’importante è non copiare mai, ma reinventarsi le cose! Io credo di avere un grandissimo debito nei confronti di Franca Valeri, come ce l’hanno non soltanto le donne comiche, ma tutti i grandi comici. Lei è stata un concentrato di intelligenza, di perfezione, di esattezza e … sì! Forse lei!”

So che ha avuto anche esperienze in altri campi, come quello cinematografico o televisivo. Hanno portato contributi positivi alla sua carriera?

“Beh … Non sono mestieri che ho imparato. Mi sono sempre capitati un po’ per caso. Mi hanno confermato che il mestiere che ho imparato, e che spero di saper fare con sufficiente serietà e professionalità, è quello da palcoscenico. Gli altri sono un’altra cosa. Non è detto che un attore debba o sappia essere davvero al meglio in tutte le situazioni. Io so che la mia vocazione è quella dello spettacolo dal vivo e le altre … sono per altri”

Solitamente recita da sola, ma ho visto che ha fatto un’eccezione per lo spettacolo “Due”. Come mai questa predilezione per il monologo?

“Diciamo, è un po’ una vocazione ed è un po’ un lavoro, una tecnica che ho perfezionato in tanti anni. Non vorrei sembrare presuntuosa: lo so fare (ndr. concordo a pieni voti, vista la performance assolutamente incredibile del 5 marzo). Mi ha dato un’identità precisa e mi permette anche una grande autonomia creativa nei confronti del testo. Ne sono responsabile, non coinvolgo nessun altro; quindi posso continuamente modificare. Magari sono cose infinitesimali, di cui mi accorgo solo io, però è un lavoro continuo, che rende molto più vivente questo mestiere”

E riguardo all’idea di recitare con qualche altro attore, in futuro?

“Non ho nessuna preclusione a fare spettacoli in collaborazione con altri attori. Ne parlavo giusto l’altra sera con Marco Baliani, che mi diceva: “Ma tu non faresti uno spettacolo con qualcun altro?!”. Io reciterei con altri, ma dovrebbe essere uno spettacolo necessario. Cioè, dovrebbe nascere da un progetto di necessità, per cui proprio io devo fare quella parte lì perché non la potrebbe fare nessun altro e dentro a questa scrittura, dentro a questa drammaturgia, ci dovrebbe essere un bisogno vero. Non me ne importa nulla delle operazioni, più o meno necrofile, di interpretare , magari, un testo classico, mettendoci un pizzico di peperoncino. No, io sono un po’ più, così, pedagogica.”

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Greets to the webmaster of this wonderful site! Keep up the good work. Thanks.
»

prof.marcomigni ha detto...

Sono perfettamente d'accordo..Precise Parole è uno dei più intensi monologhi di Lella..e so che, avendola conosciuta di persona come me, puoi confermare quanto sia semplicemente straordinaria e quanto sia piacevole fare conversazione con lei!

Anonimo ha detto...

INTERVISTA CON LELLA COSTA

di LAURA TUSSI

Come colloca la Sua storia di formazione rispetto al personale impegno politico e culturale?

Appartengo ad una generazione che ha scoperto la politica nel momento in cui praticamente scopriva la vita di relazione, lo studio, la musica. Si scopriva il fatto che avere diciotto anni di colpo poteva voler dire essere protagonisti del mondo, mentre fino a pochissimi anni prima non si esisteva come entità né individuale, né collettiva, fino all’età adulta. Personalmente l’impegno politico è stato quasi fisiologico e non ricordo, dal ginnasio e dal liceo in avanti, un momento della mia vita che non fosse legato in qualche modo alla politica, in senso sicuramente più classico e meno contemporaneo, vale a dire la relazione continua con quello che ci circonda, con la gestione della “cosa pubblica”, l’assunzione di responsabilità rispetto ai temi che via via si affacciavano. Appartengo ad una generazione che ha attraversato, a volte sfiorato, a volte si è fatta coinvolgere in eventi straordinari e terribili come gli anni del terrorismo. Non penso che potrei prescindere da tutto questo, il che non vuol dire che abbia mai avuto la classica tessera di partito, né una militanza di tipo tradizionale, ma sono sempre stata legata ai valori della sinistra, per cui non amo il prefisso “ex” e quindi faccio fatica a definirmi in base ad esso. Trovo aberranti certi tentativi di criminalizzazione di quella che è la storia. Ricordo un’intervista di Nina Vinchi collaboratrice e moglie di Paolo Grassi, fondatrice del Piccolo Teatro insieme a Strehler a cui è stata posta una domanda rispetto a come si sentisse di fronte a tutte queste correnti revisioniste. Lei dichiarava che Comunismo e Socialismo rimangono la più bella teoria e ideologia rispetto alla liberazione e all’uguaglianza degli uomini che sia mai stata formulata, anche se non si è riusciti ad applicarla, come capita spesso con le idee importanti.

Come può il centro sinistra far fronte alle nuove ed incombenti sfide dettate da una società e da un mondo sempre più globalizzanti, segnati da diversità multiculturali e dalla coesistenza di variegate culture e differenti modi di essere e di pensare?

Il centrosinistra dovrebbe prima dimostrare di esistere al fine di affrontare queste che sono tematiche complesse, ma non impossibili da risolvere: c’è stato ben altro di difficile. Credo che il vero problema consista nella mancanza di un’identità collettiva, di un progetto comune forte che non sia pieno di dettagli, ma con alcuni punti cardinali come la giustizia sociale, la garanzia di alcuni servizi pubblici indiscutibili ed intoccabili che sono l’assistenza, la previdenza, la scuola, la ricerca e la costituzione. Trovo molto poco corretto abrogare quest’ultima nei momenti in cui non si riesce a metterla in atto. Quello che mi sembra veramente pernicioso in questo Paese è l’impossibilità di liberarsi da quelli che sono i ciarpami, le usanze, le corporazioni, i linguaggi interni e i codici segreti della vecchia politica. Il Paese ha fatto tanti passi avanti, nonostante una spaventosa campagna, prima ancora che politica, culturale, prorogata da Berlusconi e dal suo gruppo in modo assolutamente scientifico ed efficace. Il problema dell’Italia è che non esiste un centrosinistra o comunque permane un’entità ondivaga che ad ogni minimo appuntamento e scadenza sprofonda nel disastro. Cominciano le spaccature, i protagonismi, ricominciano i problemi di visibilità professionale e quindi assistiamo a questo scempio del patrimonio elettorale, politico e culturale di una formazione come la Margherita che sta non soltanto facendo a pezzi se stessa, ma l'intera coalizione. Mi pare che manchi totalmente il senso di responsabilità e che sia totalmente assente in modo sempre più vistoso, plateale e temo incolmabile quello che Nanni Moretti denunciò a Piazza Navona che “il Paese reale sta da tutt’altra parte” e non mi pare neanche un caso, per esempio, rispetto a quest’ultima questione referendaria in cui c’è stata una campagna centristica vergognosa, antidemocratica, totalmente illiberale, però gli schieramenti si sono giocati al di là delle appartenenze politiche e partitiche, ma sulla trasversalità delle opinioni, dando la dimostrazione che quello che serve sono delle prese di posizione etiche, non nel senso dello stato etico che decide per gli altri, ma nella forza delle idee e dei principi a cui si fa riferimento. Questo mi sembra il problema del centrosinistra in questo momento storico.

Le ultime guerre in medio oriente fanno intravedere diverse tipologie di dittatura. Quali ne sono le caratteristiche e le negatività più salienti?

Sono guerre che spesso diventano talmente endemiche che non ci si ricorda quando sono iniziate e non si immagina nemmeno una fine, penso ovviamente al conflitto tra Israele e Palestina che è spaventoso per tutti. Le vittime delle guerre contemporanee sono sempre i civili. Questo mi sembra il dato spaventoso e incontrovertibile e drammatico sul quale se ci fosse una coscienza internazionale vigile si dovrebbe intervenire, mentre le vittime civili sono considerate i danni collaterali delle guerre. Penso che la mancanza di tradizione democratica, per quello che riguarda certi Paesi e la sfiducia che si è andata accumulando proprio nei confronti della prassi democratica per i paesi che hanno fatto questa scelta, sia uno dei mali più gravi. Le tentazioni di dittatura o comunque di regimi forti sono sotto gli occhi di tutti e portano alle nefandezze che vediamo. Questo tipo di dittature e di tensioni continue alimentate artificiosamente tra popoli che naturalmente sarebbero destinati alla convivenza pacifica, non fanno che esasperare e peggiorare questi sintomi veramente cancerosi come nel Kossovo, nella Serbia, in Bosnia, a Beslan come emblema formidabile della ignominia a cui siamo arrivati, di come si sia raggiunto un punto di non ritorno, perché fino a prima di Beslan queste cose succedevano in un mondo che potevamo ancora ritenere “altro”: l’Africa, un certo Oriente. Vorrei che questo non si dimenticasse perché è sicuramente patologia della società, però non dimentichiamoci che tutto questo è stato alimentato in modo scientifico da una precisa politica fatta dalla ex Unione Sovietica. Negli ultimi dieci anni in Cecenia, sono stati uccisi 40.000 bambini prima dell’eccidio di Beslan. Questo non giustifica minimamente lo scempio e il massacro di Beslan, però forse non bisognerebbe mai dimenticare quando un episodio è estremamente nefando, da dove proviene, che cosa è successo prima e che cosa è successo intorno. Questo è sempre evidente anche in Palestina, in Israele, in Afganistan, in Iraq, in ex Iugoslavia come fenomeno in ebollizione e noi Italia però continuiamo a coltivare spinte secessioniste e tentazioni di federalismo, ancora una volta anticostituzionali.

La Shoah ha precipitato l’umanità verso un abietto declino. Cosa occorre attualmente per esorcizzare ogni spettro di genocidio, stillicidio, di conflitto armato e di negazione di ogni tipologia di diversità all’interno del tessuto sociale? Esistono strategie politiche certe e determinate da parte dei partiti progressisti per far fronte a queste terribili evenienze?

La Shoah ci ha insegnato che dobbiamo mantenere viva la consapevolezza che non si può e non si deve usare in modo improprio il termine genocidio. La Shoah è stata “il genocidio”. Se penso a quello che è successo in Ruanda dieci anni fa con qualche milione di morti in un attimo. Al di là dell’orrore per qualsiasi forma di guerra e di conflitto armato, però c’è un aggravante per futili motivi, ossia quando l’accanimento e lo sterminio vengono decisi e stabiliti in base ad una convinzione folle, senza alcuna giustificazione, quando si inventa un nemico per esorcizzare le proprie paure, per galvanizzare un popolo e per dargli un obiettivo. In questo senso credo che non soltanto i partiti, ma in generale la società civile, la scuola per esempio, la cultura potrebbero fare molto e monitorare costantemente, facendo sempre il punto della situazione. Spesso sentiamo dire che non si può parlare di regime in Italia. Sicuramente è così se prendiamo ad esempio le vere dittature in cui non esiste un’opposizione, però dal punto di vista del dominio e del controllo dei mezzi di informazione della cultura, direi che si tratta di un regime comunque, magari non assolutista, e in cui valgono regole democratiche, ma un regime culturale pesantissimo. Dubito che i partiti in questo momento, in quanto partiti, siano in grado di svolgere un ruolo di monitoraggio, di prevenzione alla dittatura. Le persone che fanno politica però e che normalmente militano nei partiti di tradizione democratica possono fare moltissimo, direi proprio come individui che non come forma partitica.

LAURA TUSSI