1.9.06

Storia del Risorgimento: Mazzini e i democratici dopo il ‘48

di Marco Apolloni

Mazzini condanna la strategia moderata e perciò dice di “no” sia alla diplomazia che alla guerra regia. Dunque lui si appella alle “forze del popolo”. Il popolo, però, non si conquista alla causa rivoluzionaria con delle belle parole enuncianti chissà quali favolosi principi unitari, o meglio si conquista anche grazie a questo ma ciò non è sufficiente! Questa è un po’ l’accusa che gli muovono Marx ed Engels. In definitiva: la libertà dei popoli non va sacrificata alla loro unità! Per far sì che si attui una radicale rivoluzione sociale occorre promettere costruttivamente: più “pagnotte” per tutti! Allora sì che dalla vanga gli umili contadini potrebbero avere una buona ragione per impugnare i fucili. Il problema precipuo di Mazzini e con lui più in generale di tutti i democratici italiani ed europei è stato quello di essersi dimenticati dello strato più umile della popolazione, tradizionalmente vessato, che dapprincipio aveva contribuito agli scenari rivoluzionari quarantotteschi, dopodichè si era però disilluso, accorgendosi che la loro scelta di ribellione aveva giovato soltanto a metter su dei nuovi padroni, il cui cambio con i vecchi si era dimostrato solo un cambio di facciata pressoché inconveniente, poiché di reali benefici per esso proprio non se n’era parlato. Questo cambio al vertice altresì non produsse alcun sostanziale miglioramento della condizione oppressa nella quale versavano gli esponenti del più miserando strato della popolazione. Il convincimento di un’elite di “borghesotti” di città – composta perlopiù da giovani e aitanti idealisti – ad imbracciare le armi e ad abbandonare i propri cari al sicuro nelle loro città natie, fu facilissimo; altrettanto non poté dirsi, però, per quel che riguarda i contadini, di costoro infatti va preliminarmente detto che non sapevano né leggere né tanto meno scrivere e conoscevano a malapena soltanto il sudore della loro dura vita nei campi. Per essi, dunque, occorrevano argomentazioni ben più solide e molto più poggiate con i piedi per terra e non altresì campate all’aria, così da farli convincere che un’Italia unita fosse per loro più conveniente di un’Italia altresì smembrata in tanti piccoli e deboli “staterelli”!
Difatti i proclami di Unità mazziniani avevano sì un certo fascino, ma lasciavano il tempo che trovavano se andiamo a ben guardare la pressoché disastrosa condizione di analfabetismo nelle campagne. Chi non sapeva leggere né scrivere capiva soltanto l’universale “lingua del bisogno”, la quale evidentemente tali proclami non riuscirono a catturare oppure a permeare. Dunque vi si riscontrava un netto distacco tra quel che era il Paese reale e quel che era, invece, il Paese futuribile utopisticamente presupposto da Mazzini e dai suoi seguaci, che insieme al loro leader si presero cosicché un grosso “abbaglio”. Perciò molto giuste ci sembrano seppur col senno di poi, le critiche mosse loro contro da parte di alcuni inflessibili critici quali su tutti: Ferrari, Cattaneo, Pisacane, ecc. Costoro ebbero soprattutto il merito di non individuare unicamente nel Nemico comune Austriaco il solo responsabile dell’assoggettamento del popolo italico, bensì anche in certi – per così dire – “cancri intestini” come il Vaticano, il quale invece che rafforzare l’animosa spinta del movimento risorgimentale cercò in tutti modi di osteggiarlo o comunque indebolirlo. La prospettiva delineataci dal Gioberti, che pretendeva la stravagante accettazione di un Papa-Principe capace di guidare la compagine nazionale verso l’agognato Risorgimento nazionale, non si poggiava più su alcun fondamento concreto. Per non parlare, poi, della decisamente controproducente testardaggine mazziniana a non voler riconoscere il debito effettivo nei confronti dell’operato dei socialisti-utopisti francesi, da lui visti altresì come “fumo negli occhi” chissà per quale congenita antipatia personale! A questo proposito, pertanto, era innegabile che se si fosse ri-verificata un’ulteriore rivoluzione negli oppressi Stati europei molta parte si sarebbe dovuta attestare al luminoso esempio della Francia, “focolaio rivoluzionario” per antonomasia, nonché ben comprovata Maestra indiscussa nella difficoltosa e assai controversa “scienza rivoluzionaria”! Tuttavia lo stesso Mazzini ebbe dalla sua anche molti meriti oltre che demeriti, fra i quali si segnalano particolarmente secondo noi: l’instaurazione di saldi rapporti amichevoli di scambievole fiducia e certa reciprocità con i rivoluzionari ungheresi capitanati da Kossuth, auto-esiliatosi in Turchia per pianificare così un’efficace offensiva liberatoria nella sua spossata Patria. Essi, oltretutto, venivano tenuti in alto conto dal focoso leader genovese, il quale li considerava infatti il canale privilegiato per l’organizzazione di qualsivoglia iniziativa di sommovimento anti-austriaco, che ponesse finalmente fine all’intollerabile tirannide dell’Austria scalfendole, perciò, un nerbo cruciale quale appunto l’Ungheria stessa. Inoltre di sicuro propositiva e con velati richiami rousseauiani è stata l’astuta manovra mazziniana di progettare una santissima e inviolabile “religione civile”, indispensabile per l’attuazione di un certo laicismo e cioè di un non esclusivo dominio della curia pretesca romana in materia religiosa, unendo pertanto il potere temporale a quello spirituale così che i cittadini non dovessero più al fine chiedere conto ad un Papa e ad un Principe distintamente, bensì inscindibilmente ad una sola Entità stabilita, vale a dire: un “ben auspicato” Stato Repubblicano!

1 commento:

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