8.4.06

Joe dei "La Crus" dirige musicalmente "La Tempesta" shakespeariana

di Silvia Del Beccaro
È un brugherese il direttore musicale dello spettacolo “La Tempesta”, in scena sabato 6 e domenica 7 maggio al Teatro Binario di Monza. La pièce shakespeariana, musicalmente parlando, è diretta proprio da Mauro Ermanno Giovanardi (ribattezzato con il nome di Joe), voce e autore dei “La Crus”.
Il leader storico della band non può che essere considerato un artista vero e proprio, a trecentosessanta gradi. Oltre ad essere un eccellente musicista, Joe da sempre è legato anche al panorama teatrale, avendo frequentato nel 1987 la scuola del Piccolo Teatro. Addirittura lui stesso ha dichiarato che molto probabilmente, se non avesse intrapreso al sua attuale ed appagante carriera musicale, si sarebbe dato alla recitazione. A ulteriore dimostrazione di questo suo spirito eclettico, oltre ad una manifestata passione per il teatro, Mauro Ermanno Giovanardi ha voluto curare anche la direzione artistica di un nuovo festival di musica e letteratura, dal quale è appena tornato.
«Il teatro mi piace moltissimo. Praticamente preferisco uscire e andare a teatro, piuttosto che al cinema. A dire il vero è tantissimo che non vado a vedere un film, perché te lo puoi vedere a casa; una compagnia teatrale invece no. Questo è il bello e l'essenza del teatro: ogni sera è diversa dalla precedente».
Un brugherese direttore musicale di una pièce storica, come "La Tempesta" shakespeariana... Che effetto fa?
«Innanzitutto è stato un lavoro d'equipe con Fabio Barovero (mente musicale dei "Mau Mau" e autore di colonne sonore importanti e premiate come "Provincia Meccanica", "La Febbre", "Dopo Mezzanotte" e molte altre) e Gionata Bettini (programmatore e fonico già dei "La Crus"). Io avevo la responsabilità maggiore e la direzione musicale, ma tutto è stato fatto in completa armonia e soprattutto siamo stati così entusiasti del lavoro, che abbiamo incredibilmente fatto tutto in una decina di giorni. Forse anche meno. E non capita praticamente mai! Le indicazioni e le suggestioni dateci da Francesco e Ferdinando ci hanno intrigato un sacco ed è stato bellissimo immergersi in un altro modo di lavorare sulle musiche, rispetto a quando realizzi canzoni. E poi i personaggi e le atmosfere de "La Tempesta" hanno fatto il resto...»
Sei un amante di Shakespeare?

«Si, molto. Ho appena visto la versione di "Edoardo II" di Antonio Latella con un fantastico Marco Foschi... Molto bella». Comunque avevo già fatto anni fa, sempre con Ferdinando Bruni, uno spettacolo sui sonetti di Shakespeare che si chiamava "Tutti i giorni sono notti".
Hai già diretto altri spettacoli teatrali?
«In questo senso no. Ma anni di concerti coi "La Crus" - in ogni tipo di situazione, dal club al teatro al Festival estivo, dai concerti del 1° maggio alle esibizioni in luoghi molto intimi e soprattutto col mio ultimo progetto "Cuore a Nudo" - sono stati una palestra importantissima, e mi hanno aiutato a sviluppare l'idea di spettacolo: cosa funziona e cosa no, come far risaltare alcuni aspetti piuttosto che altri... Insomma di capire meglio l'atmosfera da creare».
Da quanti anni sei inserito in questo circolo?
«Da più di 20 anni lavoro nel campo della musica e da quasi dieci nel teatro».

Come mai hai deciso di accettare la direzione musicale de "La tempesta"?
«Perché era un'opportunità interessantissima di sviluppare, come dicevo prima, le possibilità espressive non legate al concetto di musica per sole canzoni, ma a un mondo musicale apertissimo».

Non ti sembra assurdo che sia un teatro monzese a dover ospitare uno spettacolo diretto musicalmente da un brugherese, e non il teatro di Brugherio?
«Non è molto strano... Magari suoni in Germania, a Siracusa, ad Aosta, in Norvegia e a Trieste, magari anche a Monza, ma non ad un chilometro da casa... Gli scherzi della vita! E poi non si dice che "nessuno è profeta in patria"? Fortunatamente ho fatto cose anche molto più importanti. Abbiamo vinto due volte il "Premio Tenco", una volta il "P.I.M.", il "Premio Ciampi", siamo stati 6 volte al I maggio in p.zza S. Giovanni, abbiamo fatto concerti con orchestre importantissime, abbiamo avuto come ospiti ai nostri concerti Gino Paoli, Patti Pravo, Carmen Connsoli, Nada, Mario Venuti eppure non ho mai suonato nel paese dove sono cresciuto».
Qual è il tuo genere teatrale preferito?Diciamo che il lavoro fatto da alcune compagnie mi piace più di altri.
«L'Elfo, Latella, Raffaello Sanzio, La Valdoca... il teatro d'avanguardia che si è messo in gioco affrontando i grandi autori classici. Mi interessa questo tipo di percorso.»
E musicalmente parlando?
«Da un pò di anni sono praticamente onnivoro e mangio poco: nel senso che ascolto molta meno musica di prima, ma di tutto. Molte colonne sonore, canzoni con grandi voci ( N. Cave, L. Cohen, S. Walker, T. Waits, Elvis), elettronica sperimentale, musica etnica e e un sacco di demo che mi mandano i gruppi esordienti da tutt'Italia».

Preferisci il concerto allo spettacolo teatrale? O le soddisfazioni si equivalgono in entrambi i casi?
«Troppo belle e troppo diverse tutte e due. Il silenzio sacrale e la magia della sala da teatro, il sudore, il calore e il casino del pubblico nel club: entrambe necessarie».

Hai lasciato temporaneamente il gruppo o porti avanti entrambe le cose?
«No no, i La Crus sono solo fermi per qualche settimana perchè maggio è un mese di passaggio. Troppo caldo per i club, troppo presto per il concerti all'aperto. Ricominciamo il 25 al "Festival di Musica" di Mantova e poi si suona tutt'estate».
A quali progetti stai lavorando attualmente?
«Ad un paio di cose a cui tengo tantissimo. Una è appena finita, ed è il "Festival di Musica e Letteratura" di Rimini, che si chiama "Assalti al Cuore", Festival di cui ho la direzione artistica. Una manifestazione molto grossa ed importante arrivata alla seconda edizione che ha già ospitato artisti come Vinicio Capossela, Stefano Benni, Edoardo Sanguineti, Blixa Bargeld, Fabio De Luigi, Elio Pagliarani, La Socìetas Raffaello Sanzio, Motus, Andrea Chimenti, Alessandro Piperno, La Valdoca, Elena Bucci, e molti altri... Anche quest'anno è andata benissimo e spero diventi una realtà sempre più importante per i prossimi anni. La seconda iniziativa a cui tengo è il progetto "Cuore a Nudo", spettacolo che porto in giro da un pò di tempo e che vedrà la luce discograficamente nel prossimo autunno per la Fandango. A proposito... sempre con Ferdinando Bruni, dal 9 al 13 Maggio, saremo al Teatro Leonardo a Milano per una versione inedita e particolare di questo spettacolo ("Cuore a Nudo"), che per l'occasione avrà il sottotitolo "Un concerto per Milano", dove tutte le letture saranno di autori milanesi che raccontano i vari aspetti, angolature e sfumature della città, con la regia di Francesco Frongia.

7.4.06

Lella Costa: una donna, un'attrice, un intramontabile personaggio nel teatro italiano

di Silvia Del Beccaro

In quanto critica teatrale e responsabile delle pagine culturali presso il mio giornale, posso dire che di pièce ne ho viste tante... Ma solo poche mi hanno veramente entusiasmata. Una di queste è stata “Precise Parole”, monologo ispirato a Shakespeare, e più precisamente al suo “Othello”. La tragedia viene raccontata attraverso gli occhi dei vari personaggi, come il Moro di Venezia (l’eroe), Jago (l’antagonista), Desdemona (il personaggio femminile) e molti altri. La scenografia è semplice ma, come si suol dire, efficace. Un effetto speciale continuo, dato dal susseguirsi di luci e veli. E sul palco? Una Lella Costa straordinaria, energica, che cattura senza problemi l’attenzione del suo pubblico... Una Lella Costa che ci ha permesso di conoscerla meglio, rilasciandoci un’intervista. La sua passione per il teatro è nata in una maniera abbastanza buffa.

“Seguivo dei corsi come aspirante terapeuta; però, parte di questi corsi consisteva nell’interpretare un ruolo. E interpretando la storia di una ragazza schizofrenica, ho avuto un tale successo che mi hanno detto: “Tu dovresti fare l’attrice”. E così è stato. Ero già grande; facevo già l’università. Mi sono resa conto che è un mestiere straordinario, e che non solo mi permetteva di “giocare” tutta la vita, ma anche di ridurre al minimo la “schizofrenia” che esiste tra quello che vuoi fare per passione e quello che ti tocca fare per vivere. E poi ho avuto la fortuna di intuire, anche se ci ho messo un po’ di anni, che questa dimensione del monologo con prevalenza comica o ironica, ma non esclusivamente, poteva diventare una mia cifra di riconoscimento”.

A quando risale il Suo debutto teatrale?

“La prima volta … avrò avuto quattro anni all’asilo! (Sorride.) No, no. La prima volta è stato con un mio spettacolo, anche se non era scritto da me; ma, insomma, il mio vero debutto con un monologo è stato nel 1980”

Come il bacio, anche il primo spettacolo non si scorda mai... Mille (e più) sensazioni assalgono la mente e il corpo, non è così? Lei cosa provò?

“Grandissima emozione, grandissima energia, adrenalina alle stelle. Ho capito che quello era il mio posto!”

Come ha incontrato Gabriele Vacis (regista dello spettacolo “Precise Parole”) e come è nata l’idea di una collaborazione? Tra l’altro, so che non è il primo spettacolo che realizzate insieme.

“No, è il terzo e non sarà certo l’ultimo. E’ nata dal fatto che ci conoscevamo. Lui mi aveva invitata, con le prime cose che avevo scritto, presso il teatro Garibaldi di Settimo Torinese. Io avevo amato moltissimo alcuni suoi spettacoli, soprattutto “Elementi di Struttura del Sentimento”, che era la sua versione di “Affinità Elettive”. Bellissima! Spettacolo strepitoso. Ma io avevo sempre pensato che lui fosse quasi esclusivamente interessato a regie, come dire, collettive. Poi, invece, ci siamo sempre frequentati. Lui fece la regia, nel ’95, se non ricordo male, di “Novecento”, il monologo di Baricco, e io andai a vedere il loro debutto ad Asti. E in quell’occasione gli dissi: “Sappi che a gennaio debuttiamo con uno spettacolo. Tu fai la regia, perché ho bisogno di te. E così è stato!”

Lei ha recitato sia nei grandi teatri metropolitani, sia nei piccolo centri periferici... Riguardo al binomio "attore - pubblico", il rapporto cambia dalla provincia alle grandi città?

“Non sostanzialmente. Sicuramente, da alcuni anni a questa parte, se c’è vivacità, attenzione, energia, ce n’è molta di più in provincia che non nelle cosiddette “grandi città”. Assolutamente. Io sono venuta da una tournée al Sud e ho avuto la conferma di questa cosa. C’è una maggior attenzione, una maggior vitalità; c’è più dinamismo; c’è più curiosità”

Può svelare il nome di un attore o di un attrice a cui si è ispirata?

“Non so … credo che specialmente tutti noi che facciamo il mestiere di monologanti, abbiamo “rubato” a un sacco di gente. L’importante è non copiare mai, ma reinventarsi le cose! Io credo di avere un grandissimo debito nei confronti di Franca Valeri, come ce l’hanno non soltanto le donne comiche, ma tutti i grandi comici. Lei è stata un concentrato di intelligenza, di perfezione, di esattezza e … sì! Forse lei!”

So che ha avuto anche esperienze in altri campi, come quello cinematografico o televisivo. Hanno portato contributi positivi alla sua carriera?

“Beh … Non sono mestieri che ho imparato. Mi sono sempre capitati un po’ per caso. Mi hanno confermato che il mestiere che ho imparato, e che spero di saper fare con sufficiente serietà e professionalità, è quello da palcoscenico. Gli altri sono un’altra cosa. Non è detto che un attore debba o sappia essere davvero al meglio in tutte le situazioni. Io so che la mia vocazione è quella dello spettacolo dal vivo e le altre … sono per altri”

Solitamente recita da sola, ma ho visto che ha fatto un’eccezione per lo spettacolo “Due”. Come mai questa predilezione per il monologo?

“Diciamo, è un po’ una vocazione ed è un po’ un lavoro, una tecnica che ho perfezionato in tanti anni. Non vorrei sembrare presuntuosa: lo so fare (ndr. concordo a pieni voti, vista la performance assolutamente incredibile del 5 marzo). Mi ha dato un’identità precisa e mi permette anche una grande autonomia creativa nei confronti del testo. Ne sono responsabile, non coinvolgo nessun altro; quindi posso continuamente modificare. Magari sono cose infinitesimali, di cui mi accorgo solo io, però è un lavoro continuo, che rende molto più vivente questo mestiere”

E riguardo all’idea di recitare con qualche altro attore, in futuro?

“Non ho nessuna preclusione a fare spettacoli in collaborazione con altri attori. Ne parlavo giusto l’altra sera con Marco Baliani, che mi diceva: “Ma tu non faresti uno spettacolo con qualcun altro?!”. Io reciterei con altri, ma dovrebbe essere uno spettacolo necessario. Cioè, dovrebbe nascere da un progetto di necessità, per cui proprio io devo fare quella parte lì perché non la potrebbe fare nessun altro e dentro a questa scrittura, dentro a questa drammaturgia, ci dovrebbe essere un bisogno vero. Non me ne importa nulla delle operazioni, più o meno necrofile, di interpretare , magari, un testo classico, mettendoci un pizzico di peperoncino. No, io sono un po’ più, così, pedagogica.”

4.4.06

I cavalieri che fecero l'impresa: a tu-per-tu con Pupi Avati

Recensione-intervista di Silvia Del Beccaro


Cinque ragazzi. Le cinque dita di una mano. Cinque vite che si intrecciano casualmente, accomunate da un unico segreto: il desiderio di recuperare il Santo Lino, nascosto a Tebe in Grecia da alcuni traditori del Re di Francia che lo venerano in forma eretica. Solo loro cinque lo possono ritrovare; solo loro possono portare a compimento questa Impresa. Perché loro sono i Prescelti. È l’inizio di una nuova avventura, ambientata nel 1271, che condurrà questi cavalieri alla nascita di un’amicizia affettuosa e, poi, ad un tragico, eroico destino. In occasione di una passata proiezione, Pupi Avati (regista, produttore, sceneggiatore della pellicola) ha raccontato come è nata l'idea di realizzare “I cavalieri che fecero l’impresa”.
«Certo del fatto che questo film non sarebbe mai stato prodotto, decisi di scrivere il romanzo (n.d.r che poi venne pubblicato dalla Mondadori), perché almeno attraverso la scrittura qualcosa della mia idea sarebbe arrivato. Il fatto di essere appagato a livello editoriale fece sì che io incominciassi a crederci. Così il romanzo è diventato film. Un film d’avventura, tecnicamente anche molto difficile. Non è stato facile lavorare con cavalli, cascatori, spade, specialmente nelle scene di battaglia. “I cavalieri che fecero l’impresa” è stata sicuramente la realizzazione più difficile della mia vita, la più faticosa ma anche la più ambiziosa».
In che modo ha aiutato gli attori a dare il meglio di sé, per calarsi nella parte?
Ho suggerito loro di immaginare di essere le cinque dita di una mano. Ogni dito ha una sua funzione, ma è la mano nella totalità che conta. E così dovevano essere loro: solidali e umili, sia nei riguardi dell’impresa sia del film. Inoltre bisogna amare molto gli attori, dimostrare loro affetto, come mi disse una volta De Sica. Solo così potranno dare il meglio di loro stessi.
Ha da raccontarci qualche aneddoto particolare sui protagonisti del film?
Gli attori si sono talmente calati nella parte che alla fine, anche fuori dal set, si chiamavano con i nomi dei personaggi da loro interpretati. Erano diventati molto affiatati. Addirittura, quando un giorno ho cacciato dal set uno degli attori di cui non faccio il nome, gli altri sono venuti a chiedermi di farlo ritornare. Io comunque lo avrei richiamato subito, perché sono uno che fa le cose ma poi si pente subito. È stato bello però vedere quanto erano diventati uniti. Ma la cosa più divertente sta nel fatto che dopo le riprese, nonostante l'affiatamento, ognuno è tornato al proprio paese e nessuno si è più visto né sentito con gli altri, se non due mesi dopo in occasione del doppiaggio.
Cosa deve avere, secondo Lei, un attore straordinario?
Deve avere un’esperienza di vita molto forte, che passa attraverso la sofferenza. Dietro di sé deve avere una vita complicata. L’attore straordinario non ha frequentato solo scuole di teatro, ma piuttosto ha imparato dalla sofferenza, sua o della famiglia, che ha prodotto in lui fragilità, allegria, pianto. E tutto questo trasparare attraverso lo sguardo, che è la cosa più importante per un attore. Tanto per citare un grande del cinema italiano: Carlo Delle Piane.
Con quale attore, tra quelli che hanno recitato nei Suoi numerosi film, vorrebbe lavorare nuovamente e con chi invece vorrebbe iniziare una nuova collaborazione?
Devo dire che con quasi tutti gli attori che hanno lavorato con me, ho avuto un bel rapporto. Non sapreisceglierne uno in particolare. Un attore col quale avrei voluto lavorare era Alberto Sordi. Ho detto la stessa cosa di Mastroianni, ma sfortunatamente, quando sono riuscito ad avere in mano il copione giusto, purtroppo è scomparso.
Tra tutti i film che ha diretto, invece, ce n'è uno in particolare che non Le è piaciuto molto o del quale vorrebbe addirittura distruggere la pellicola?
Io sono un po’ equidistante da tutto quello che ho fatto, perché assomiglia in modo preoccupante a quello che sono stato io; quindi, tutti i film che ho girato mi rammentano la persona che ero, con tutti i miei difetti, i prezzi pagati, le mode di quel momento. Diciamo che mi definisco un misto di tenerezza e di giudizio severo, di distacco ma anche di crescita. Per questo motivo potrei scegliere di rifare tutti i miei film - e questo comporterebbe la grande opportunità di ritornare ragazzo - oppure lasciarli intatti. Chissà... Un giorno vedremo!

3.4.06

L'importanza di mantenere le proprie tradizioni e i dialetti - Intervista ad Antonio Provasio (Legnanesi)

di Silvia Del Beccaro

Una delle celebri compagnie dialettali italiane prende il nome dalla città nativa e dal suo fondatore. I Legnanesi di Felice Musazzi fin dalla loro nascita rimpiono le sale della Lombardia (e non solo) con le loro gags e i rinomati personaggi della Teresa, della Mabilia e del Giovanni, a cui il pubblico che li segue è più che affezionato.
Il fondatore, nonché storica teresa, si presentava sempre in scena dicendo: "Sono Felice e non solo di essere Musazzi"... Ed era veramente una persona felice di far ridere la gente. Con le sue maschere "Teresa e Mabilia", o meglio la strampalata Famiglia Colombo, ha fatto divertire la Lombardia e non solo. Dopo Felice Musazzi, fondatore della omonima Compagnia dialettale si pensava che nessuno avrebbe più potuto interpretare i suoi personaggi: semplici, genuini e mai volgari.
Finchè Antonio Provasio (la TERESA) ed Enrico Dalceri (la Mabilia), insieme alla figlia Sandra Musazzi (oggi direttore artistico), hanno riportato in scena lo spirito dei cortili lombardi così come lo intendeva lui, Felice Musazzi.
I Legnanesi di Felice Musazzi sono nati per scherzo a Legnano nel 1949, e già nella prima rappresentazione c'erano i personaggi di "Teresa e Mabilia". La "Teresa" attuale è Antonio Provasio che per ben nove anni ha recitato con Musazzi, imparando direttamente da lui a muoversi e a ben calarsi nel personaggio.
Da quanto tempo recita per la Compagnia Felice Musazzi?

Io ho iniziato nel 1981 con Felice Musazzi. Sono praticamente di Legnano come lui. A quei tempi avevo circa vent’anni. Avevo scritto degli spettacolini che poi avevo messo in scena; lui è venuto a vedermi e gli sono piaciuto. Ho fatto così il provino e sono entrato nella compagia dei Legnanesi di Felice Musazzi fino all’89, quando poi lui è morto. Nel ’97, insieme a Sandra Musazzi, abbiamo ricreato questa compagnia, che inizialmente si chiamava “I Balòs” e dal ’99 ha preso il nome di Compagnia Dialettale Legnanese Felice Musazzi. Insieme a Sandra abbiamo deciso di riproporre i testi di suo padre, rivisti, rivisitati, rimessi a posto con scenografie nuove, musica nuova, dal vivo, coreografie curate da Enrico Dalceri che è la nostra nuova Mabilia. Abbiamo riproposto questi spettacoli: da “Teresa e Mabilia”, al “Cortile dei Miracoli”, fino a “Va là Batél”.

Da quanti anni invece interpreta il ruolo della Teresa?

Dal ’97, da quando abbiamo ricreato questa compagnia.

Da dove deriva questa scelta di recitare in dialetto?

Io sono sempre stato affascinato dal dialettale. Per noi giovani legnanesi entrare nella compagnia di Felice Musazzi significava davvero molto. Era una cosa molto importante, soprattutto perchè era una tradizione. Dal ’97/’98 ci siamo proposti di ritrovare le nostre tradizioni e il dialetto, per non perdere la nostra storia.

Ha appena parlato di tradizioni. Volevo chiederLe, a questo proposito... Quanto è importante mantenere le proprie tradizioni e i propri dialetti?

E’ importantissimo. Noi abbiamo proprio ricreato questa compagnia per non perdere di vista queste cose. Riproponiamo la storia dei cortili e dei nostri nonni per far capire alla gente, specialmene ai giovani, da dove arriviamo. La Teresa poi lo dice: “Non arriviamo dalle villette a schiera, ma arriviamo dai cortili”. E soprattutto vogliamo mantenere vivo quello che è il discorso del dialetto. Quest’anno, addirittura, con la provincia di Varese, siamo riusciti a portare il dialetto all’interno delle scuole. La Teresa, il Giovanni e la Pinetta, che sono i “nonni” della compagnia, vanno nelle scuole elementari a raccontare un po’ le storie dei vecchi cortili. Abbiamo notato che i bambini stanno molto attenti e hanno voglia di ascoltare. Insomma, questo per noi è importante.

Parlando degli altri membri della compagnia... Come si trova con loro e come li definirebbe?

Io sono un po’ il cardine principale, ma senza di loro non sarei nessuno. C’è Luigi Campisi, il nostro Giovanni, che ha lavorato diciotto anni con Felice Musazzi ed era già il Giovanni della vecchia Teresa. Poi c’è Enrico Dalceri, che è la Mabilia; Alberto Destrieri, che è la Pinetta, la “vecchietta” del cortile. E’ tutta gente che ha lavorato con Felice Musazzi e con me; quindi abbiamo ricreato questo gruppo. In totale siamo quaranta persone, tra tecnici, macchinisti e sarte. C’è Sandra Musazzi che è il nostro direttore di scena. E’ un gruppo splendido. Ci divertiamo per primi noi e secondo me la gente lo sente; di riflesso si diverte anche lei.

Cosa significa per Lei "recitare"?

Tutto, davvero, a 360 gradi. E’ quello che volevo fare nella vita e da qualche anno a questa parte sembra che si stia avverando. Tra la televisione, il teatro e le scuole stiamo facendo davvero un bel lavoro. In teatro chiuderemo con più di 100 date. Questo vale molto per una compagnia dialettale come la nostra, che non può muoversi fuori dalla Lombardia.

Ha in progetto per il futuro di collaborare con altre compagnie?

Assolutamente no. Guai a chi tocca la mia compagnia. Noi l’abbiamo creata in onore di Felice Musazzi, però con il principale scopo di portare avanti questa tradizione. Perchè la storia dei Legnanesi di Felice Musazzi è proprio radicata nel tempo a partire dal 1947, quando egli decise di fare teatro all’interno della sua parrocchia.

Fu in quell’anno che Felice Musazzi incominciò a vestirsi da donna?

Si. Il cardinale Schuster aveva posto il veto alle rappresentazioni promiscue all’interno degli oratori. Uomini e donne, per cui, non potevano recitare insieme. Don Antonio, coadiutore della parrochia, suggerì a Felice Musazzi di fare lui la parte della donna, dato che gli piaceva recitare. Nacque così sua prima compgnia, che poi diventò la formazione che tutti oggi conosciamo. E una delle cose importanti che Felice Musazzi ci ha trasmesso è questa: “E ricordatevi che noi siamo uomini vestiti da donna; non siamo travestiti”.

Ci può rilasciare un saluto nei panni della Teresa?

La Teresa direbbe: “Ricurdeves genti: Sem nasu per patì e... patem!”.