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29.5.08

I marciapiedi di Firenze

di Marco Apolloni

Se c'è una cosa che detesto del mio paesello natio quella è senza dubbio la rapidità con cui si diffondono le cattive notizie. Non c'è paesano/a che non tenga il computo delle morti giornaliere, tanto basta affacciarsi o fare una capatina dai propri vicini di casa per essere informati in tempo reale. Per non dire delle malattie. Meglio non ammalarsi mai dalle mie parti, se non si vuol essere seppelliti prima del tempo. L'altro giorno ho incontrato un tizio per strada che mia madre dava già per spacciato. Al che incuriosito dalle insinuazioni materne e siccome lo conosco da una vita, mi permetto di chiedergli come sta e mi sento immediatamente rispondere: “Mai stato meglio, perché?”. A quel punto avevo due opzioni davanti a me, o spifferare le voci che mi ero sentito raccontare da mia madre facendola passare per una “casalingua” di quelle incorreggibili oppure glissare dicendo che mi era venuto così spontaneo informarmi sullo stato di salute di un vecchio conoscente dopo tanto tempo che non lo vedevo. Alla fine, come potrete facilmente immaginare, scelsi questa seconda opzione, salvando la reputazione materna. Il caso di quest'uomo è all'ordine del giorno a "xxx" (n.d.r. lo chiamerò così per mantenere l'anonimato), dove basta farsi sgamare in un ospedale a fare esami un tantino sofisticati per vedersi diagnosticate, non dai medici ma dai propri compaesani, malattie alquanto improbabili e tutte guarda caso letali. Dico sul serio. Francamente non so voi, ma a me questo continuo impicciarsi delle faccende altrui mi fa montare su tutte le furie. Se devo essere sincero preferisco di gran lunga il grigio anonimato delle città, dove a nessuno importa del computo dei morti e degli ammalati, perché altrimenti ciascuno si rivolgerebbe una pistola alla tempia e non esiterebbe a far fuoco.
Se stessimo a dare retta a tutte le disgrazie che ci potrebbero capitare a questo mondo, che badate bene non è niente affatto come pretendeva Leibniz "il migliore dei mondi possibili", cesseremmo di vivere in pace. Ma questo nelle città non può succedere, perché ognuno corre per sbrigare le proprie faccende, chiuso nel suo idilliaco tran tran quotidiano fatto sì di caos metropolitano, ma per parafrasare lo scrittore Sandro Veronesi trattasi pur sempre di un “caos calmo” quasi familiare e rassicurante, dove ognuno ci si può beatamente ritrovare o rifugiare. Con ciò non voglio dire che mi stanno bene situazioni tipo quelle che si verificano nei marciapiedi delle più grandi metropoli del mondo, dove si muore per strada quasi come se niente fosse. I passanti vanno e vengono incuranti del barbone che credono addormentato ma che è in realtà morto stecchito chissà da quanto tempo e del quale le autorità di polizia se ne accorgono solo dopo che il cadavere comincia ad emanare un sospetto odore dolciastro. Casi del genere non li raccomando a nessuno. Tanto meno casi-limite come quelli che si prefigurano a Firenze, dove degli amministratori un po' “bischeri” pretenderebbero che i mendicanti si amputassero i loro arti inferiori per occupare meno spazio nei marciapiedi e non far inciampare i noncuranti passanti. Quanto meno, però, se mi permettete rivendico quel briciolo di cinismo e di anonimato che solo nelle grandi realtà metropolitane si può ottenere. Lì sì che si trapassa indisturbati e in punta di piedi, quasi come se non si volesse dar troppo disturbo a chi ci vive accanto e che sarebbe invece scaraventato nel peggior sconforto se lo venisse a sapere subito proprio come accade nei paesetti. Almeno di questo, a mio avviso, le città possono vantarsi: il prender congedo da parte di chi ci abita senza far notizia, in maniera del tutto naturale e riservata. Per concludere: vi ricordate il tizio che mia madre dava già per spacciato e a cui chiesi come stesse? Beh, da quella volta in poi quando m'incontra prima di rivolgermi la parola si dà sempre una toccatina precauzionale, non si sa mai, casomai gli facessi qualche altra strana domanda...


Post Scriptum: Il novanta per cento della popolazione mondiale (me compreso) è ansiosa e teme che calpestando la mattonella sbagliata s'inneschi una catastrofica reazione-a-catena. Oggi nonostante possiamo vantare un numero maggiore di sicurezze rispetto a ieri, paradossalmente ci sentiamo sempre più insicuri. L'incremento esponenziale della tecnica ha prodotto un conseguente incremento dell'ansietà: più si ha e più si vorrebbe avere. Malgrado gli sforzi disumani compiuti dalla scienza è appurato che, finché non verrà svelato il segreto della vita eterna, parlare di sicurezza assoluta per gli uomini è assolutamente proibito. Ci preoccupiamo, ci teniamo occupati per dimenticarci le nostre angosce, che altrimenti ci stringerebbero nella loro morsa soffocante, impedendoci di vivere appieno la nostra vita. Se c'è una cosa che davvero ci spaventa, quella è senza dubbio di rimanere da soli coi nostri pensieri. Non sapremmo resistere un minuto di seguito, tanto ci spaventeremmo solo all'idea.