16.8.11

Radio Popolare Salento intervista l'autore Marco Apolloni

By radio popolare salento

Clicca qui per ascoltare l'intervista audio : http://www.radiopopolaresalento.it/audio/marcoapolloni.mp3

Marco Apolloni, autore del libro “Il circolo dei nichilisti”, ha scritto della realtà universitaria a tutto tono. Ci è sembrato interessante intervistarlo in concomitanza delle tante agitazioni studentesche che in questo periodo abitano le strade, le piazze delle nostre città, e che occupano le scuole e le facoltà, per manifestare contro la riforma Gelmini. Agitazioni che in questi giorni si incrociano con lo shopping natalizio: pertanto un’attualità che non possiamo mettere al margine!

Fino a che punto uno studente è un nichilista? Il nichilismo è la negazione di ogni valore. I movimenti studenteschi forse dovrebbero farci spingere altrove e oltre il loro apparire: quello che sta accadendo anche per loro tramite è qualcosa che riguarda tutti, uomini e donne. In una società sempre più tecnica e meno umana come la nostra, finiscono corrosi dal nichilismo i concetti di individuo, identità, libertà, senso, ma anche quelli di natura, etica, politica, storia, religione…Il filosofo e psicoanalista argentino Miguel Bena sayag e lo psichiatra infantile e dell’adolescenza Gérard Schimt, nella loro “L’epoca delle passioni tristi” hanno analizzato le ricadute del nichilismo sulla condizione giovanile. Essi si sono accorti che per la gran parte delle persone da loro esaminate le sofferenze non erano di origine psicologica, ma “riflettevano la tristezza diffusa che caratterizza la nostra società contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà”.

Il futuro non è più percepito come promessa ma come minaccia: da ciò la crisi. Le porte del fututo se si aprono, lo fanno solo su uno scenario di incertezza, precarietà, insicurezza. Qualcosa che riguarda l’età giovanile nel suo fisiologico percorso di crescita, ma che oggigiorno sembra non avere opportunità di risoluzione, perchè anche l’età cossiddetta adulta è vittima di una “regressione giovanile” per così dire, impossibilitata com’è a vedere luce oltre il buio tunnel di incertezza che si dipana davanti ai suoi passi. E allora si spengono le iniziative, scemano le energie vitali, si svuotano le speranze, dominano la demotivazione e l’impotenza. Questo nichilismo riguarda solo i giovani, gli studenti? Di certo loro sono rimasti soli a doversi costruire un’identità, perchè mancano figure autorevoli e mancano strade che gli adulti possono loro indicare, manca la possibilità di essere riconosciuti e senza il riconoscimento dell’altro non c’è identità. I giovano rischiano di vivere parcheggiati nella terra di nessuno dove la famiglia e la scuola non lavorano più, dove il tempo è vuoto e non esiste più un “noi” motivazionale.


http://www.radiopopolaresalento.it/2010/12/21/il-circolo-dei-nichilisti/

20.5.10

Recensione de "Il circolo dei nichilisti" (apparsa sulla copertina di "Mobydick" inserto culturale di "Liberal")

Sillabario dell'anti-moccia
di Matteo Orsucci [15 maggio 2010]

Gabriele e i suoi sogni, Gabriele e l'università, molti libri letti, i migliori, i più belli, per fare il verso a Borges, «quelli ancora da leggere»... Eppoi Gabriele e la fuga dalla provincia che ti stritola, che non ti fa respirare; una boccata d'aria nuova in una città un po' più grande - e d'accordo che Urbino non è metropoli ma ha il respiro ampio di tutte le cittadine invase dallo spirito eterno della gioventù studiosa. Gabriele è un ragazzo come tanti, addirittura come tutti, che si è appena lasciato il liceo alle spalle, davanti si trova una scommessa nuova, una partita di cui appena sono state impartite le regole. Come tanti, addirittura come tutti, è costretto a giocare a vista, molto a zona, nessuno marca stretto perché quella è ancora la fase della conoscenza generale. L'età più bella è finita, l'età di Arsenio come direbbe Eugenio Montale, quella in cui le nuvole non sono cifre o sigle «ma le belle sorelle che si guardano viaggiare». Gabriele è il protagonista del romanzo d'esordio di Marco Apolloni, Il circolo dei nichilisti (Giraldi editore, Bologna), ed è anche il prototipo utile per una ricognizione vagamente più seria sulla materia trattata. Apolloni al lettore regala una prosa affatto banale, un intreccio molto ben costruito, di pagina in pagina si scala la montagna incantata del romanzo fine a stesso per arrivare alla vetta della formazione di ogni bildunsroman che si rispetti. E non potrebbe essere che così. L'autore non lo ammette, ma il protagonista è anche un po' il suo alter-ego e vista la carne messa al fuoco la biografia in questo caso non è affatto secondaria. Gabriele finisce con l'avere passati i 25 anni, proprio come Apolloni (che di anni ne ha 27). La trama può sembrare scontata: l'adolescenza, e quindi e insomma si cresce, nascono prime incomprensioni, i genitori diventano alieni, parlano una lingua che non è la tua, si va avanti grazie alle amicizie vere, l'amico fidato, la fidanzata che pensi essere eterna, la bicicletta e lo scooter, il fuoco che brucia dentro, tutta la vita in un giorno. L'ala della giovinezza porta a volare molto in alto con frasi solenni, promesse senza fine, amori eterni perché la vita ha il sapore di una susina: un po' aspra quando l'addenti, ma dolce e succosa all'interno e la si vive in ragione di questo contrasto palatale. La generazione di Gabriele non è quella dei lucchetti di Ponte Milvio, di Federico Moccia, non chiede scusa se ti chiama amore, bensì lo urla, quell'amore, perché è bella e terribile, si sente ovviamente immortale, ha voglia di lasciarsi tutto indietro e proiettarsi tutta avanti. Gabriele sa che dovrà percorrere le strade più diverse, mantenendo quell'andatura un po' così, tipica dei ragazzi, la stessa che Roberto Vecchioni ha saputo rendere impareggiabilmente con l'espressione «Comici e disperati guerrieri». Comici e disperati, appunto. Ragazzi un po' goffi nei confronti della vita, disperati come ogni amante della vita stessa, tra il dandy e il maledetto, deve essere: per certi versi estremo, guerriero senza dubbio. Questo è un romanzo d'esordio, e oggi in Italia dire «fare un romanzo» sembra quasi una sorta di pazzia letteraria. Uno pensa subito ad Alessandro Manzoni e all'alta letteratura o, peggio, ai tormentoni da classifica settimanale diRepubblica, quella roba che mette sempre in testa di serie i mocciosi di Moccia, i ragazzini della Roma perbene e quelli della Roma sporca, le motociclette che corrono molto, ragazzini senza voglia di fare alcunché, ragazzine molto innocenti che sognano la loro prima volta a 21 anni col voto in Senato, il principe azzurro, un castello sul mare, e ci sarebbe da chiedersi come fa una pletora di quindicenni cresciuti a pane e internet a credere in un amore di carta visto che ormai pure quello lo fanno on line, sesso 2.0... I ragazzi di Apolloni sono ragazzi che con il pc hanno il sano rapporto della noncuranza, vanno alla pratica del mondo incuriositi e perplessi. Nichilisti recita il titolo. Parola forte, provocatoria, usata per nulla a caso. Nel gruppo di Gabriele di nichilista ce n'è solamente uno, e la statistica non la si sta a scomodare perché al mondo gente così esiste tra l'adolescenza e la vecchiaia. Questione di numeri. Ma gli altri, il buddista, quello con i dubbi esistenziali, l'altro che si interessa alle astrusità, beh, non sono affatto nichilisti. È così che li vedono gli occhi dei genitori, degli insegnanti, dei professori all'università, della gente per strada. E quindi perché non giocarci sopra a questo equivoco esistenziale? Perché non fondarlo un circolo dei nichilisti? L'unico posto dove assaporarlo davvero il nettare di tutto, combattendo il niente che invece sta intorno... Passano gli anni, si passano gli esami, si arriva all'Erasmus e alla dicitura «generazione Erasmus », quella che precede la laurea e le altre diciture «generazione mille euro» e «generazione Tanguy», che detto dalle nostre parti suona come «bamboccioni ». L'Erasmus porta a Londra, le vie incasinate, le ragazze baciate, gli amici nuovi, il turbinio di cosce e di seni, i libri, il Tamigi e le birre, padroni del mondo, anarchi jungeriani con riserva... Poi il ritorno, la laurea agognata. Dentro quel circolo che di nichilismo non ha un bel nulla alla fine sta il segreto dell'ultima generazione che ha saputo smarcarsi dalla retorica odierna, che non ha prodotto bulli ma belli, che proveniva dagli anni Ottanta sia pure con qualche differenza. Figli di un'età di transizione ma non per questo incapaci di amare. Personalmente faccio parte di quel circolo o di qualcosa del genere. Cosa manca ad Apolloni, forse, è la presa di coscienza che uscendo fuori, dopo i chilometri di vita percorsi, alla fine si è come quelli da cui si scappava, anche senza chiudere lucchetti a Ponte Milvio (che sono il riflesso pavloviano del chiudersi in sé). Perché la tradizione resta pur sempre quella, ed è anzi essa che consente eccezioni alla regola, ribellismi, dannunzianesimo, roba così. O più semplicemente siamo stati gli ultimi, per anagrafe, a vivere un canovaccio di gioventù da poter ricordare con nostalgia. Ah, ai miei tempi... E siamo già tra i matusa.

3.5.10

"Il circolo dei nichilisti" sbarca su facebook


L'intento dell'omonimo gruppo di Facebook Il circolo dei nichilisti è raccogliere pareri, impressioni, emozioni suscitate dalla lettura di quest'opera. Ma anche scambiare quattro chiacchiere in amicizia per discutere di temi legati ai "beati" anni universitari: anni di travagli sui libri ma anche di amori indimenticabili; di violenti litigi ma anche di amicizie umane e intellettuali che lasciano il segno; di cocenti delusioni ma anche di grandi soddisfazioni; di malinconiche esperienze ma anche di significative esperienze che ti cambiano dentro – vedi alla voce "erasmus": non a caso la seconda parte del romanzo racconta le vicende “erasmiane” del giovane protagonista. Chi ha vissuto sulla propria pelle episodi come quelli accaduti al protagonista Gabriele è pregato di renderli partecipi agli altri, perché il gusto è tutto nel raccontarli. Tali episodi nessuno mai ce li potrà portare via e sono un patrimonio inestimabile del nostro essere. La mia speranza, come autore dell'opera, è di aver dimostrato fino fondo, raccontando la storia di Gabriele la cui storia è un po' la storia di tutti noi, che poi non è così vero che noi giovani di oggi siamo tanto peggio dei nostri genitori o dei nostri nonni.

22.4.10

Essere giovani oggi


(Nella foto la bellezza fragile di Lucy Gordon, attrice inglese tragicamente scomparsa di recente, che incarna alla perfezione la difficoltà di "essere giovani oggi")

Essere giovani e per di più universitari è già di per sé uno "status" ugualmente simbolico sia oggi che ieri, nel senso che è simbolicamente uguale per ogni epoca; è l'età dell'oro nella vita di un uomo e di una donna, dove si hanno intatte tutte le proprie energie e dove ci è ancora permesso sognare ad occhi aperti. Pieno di sogni e sognatori è Il circolo dei nichilisti. Ragazzi come me e voi, con un vulcano d'idee per la testa e una voglia matta di cambiare il mondo. Voglia che si ha solo a quest'età, prima che la disillusione s'impadronisca di noi e ci renda adulti. Spero che nello scrivere quest'opera di finzione letteraria sia riuscito a dare voce alla mia generazione e a tutti quelli che non si riconoscono nella gioventù asettica e amorfa stile "solitudine dei numeri primi", quella sì veramente nichilista! Perché non è vero che noi giovani non crediamo in niente e poi anche fosse, come insegna certa filosofia, il "niente" è pur sempre qualcosa ed è pur sempre meglio che non credere "affatto". Ad ogni modo io come autore, togliendo di mezzo ogni equivoco, vi garantisco che credo in qualcosa di "più" del "niente". A essere sincero credo in un mucchio di cose, altrimenti non avrei di certo scritto Il circolo dei nichilisti. Chi non ha niente da dire, non dice niente e basta. Chi ce l'ha – invece – trova sempre un'occasione per dire quel che ha da dire. In una cosa che le riassume bene tutte credo però più di ogni altra: "Credo nell'essere umano!"...

14.4.10

Studente universitario

Gabriele è un giovane studente universitario che inizia a scoprire il vero mondo solo intorno ai vent'anni, quando decide di abbandonare “l'utero materno” e avventurarsi nella splendida Urbino. Si iscrive alla facoltà di Filosofia, dove scopre un'umanità dai caratteri variegati. Uno su tutti, però, spicca: un certo senso di nichilismo, di pessimismo cosmico insomma, che prende sempre più piede fra i giovani, disillusi del mondo che li ospita e li circonda. Durante i suoi tre anni universitari a Urbino, intervallati da un anno erasmus in Inghilterra, Gabriele si raffronta con personaggi curiosi e bizzarri, che rendono l'idea – in maniera a dir poco stupefacente – della gioventù odierna. Uno psicologo buddista, un gruppo di musicisti metallari, un cameriere, un artista circense: con loro il protagonista formerà: Il circolo dei nichilisti. Insieme affronteranno peripezie, avventure e disavventure, esperienze che li condurranno ad essere degli adulti coscienti.

7.4.10

Un viaggio attraverso la realtà giovanile odierna

Il circolo dei nichilisti è un viaggio attraverso la realtà giovanile odierna, che si confronta quotidianamente con un mondo a cui lei non sente di appartenere. I “nuovi giovani” vedono intorno a loro solo desolazione, guerra, tristezza, isolamento e tentano disperatamente di trovare nuovi stimoli per reagire ad essa, invano. È a questo punto che la storia, per ciascuno, prende una piega diversa: c'è chi trova la spinta giusta, grazie ad un viaggio, per continuare a sperare; c'è chi invece si rifugia in una cultura che non gli appartiene ma che lui sente propria, come il buddismo; c'è chi, ancora, sceglie di scomparire e lasciarsi trasportare dalle “ombre oscure”. E c'è infine chi sceglie di assaggiare esperienze sessuali concrete per comprendere il vero significato dell'amore, immancabile sentimento nella vita di ciascuno. Tutto il romanzo si snoda attraverso le note di una suggestiva e alquanto variegata colonna sonora, che racchiude Simple Minds, Red Hot Chili Peppers, The Clash, Beatles e molti altri artisti. Componente musicale decisamente immancabile, per un viaggio lungo e avventuroso qual è: Il circolo dei nichilisti.

3.4.10

Iniziativa pasquale: un libro nell'uovo

Stanchi delle solite sorprese dentro l'uovo? I soliti gingilli vi hanno stufato? Noi abbiamo un'idea per voi: perché non provate a regalare o regalarvi un libro?

Se pensate che la storia vi possa intrippare o semplicemente incuriosire perché non scegliere Il circolo dei nichilisti, un romanzo su una delle esperienze più significative della vita. Sono in tanti ad aver scritto o raccontato storie "pre" e "post" universitarie. Gli anni del liceo e quelli del dopo laurea, anni difficili, anni di precariato - per molti - che sembrano non finire mai, sono stati dettagliatamente raccontati da scrittori e/o registi. Invece gli anni universitari, i veri anni "beati" della vita di una persona, gli anni in cui non sei più così giovane per continuare ad essere un ragazzino né tanto meno così grande per considerarti un adulto, gli anni che solitamente servono come trampolino di lancio, per capire chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare, e, soprattutto, cosa vogliamo fare della nostra vita. Beh, di questi anni si è sempre parlato troppo poco. Fatta eccezione per i soliti triti e ritriti luoghi comuni - vedi alla voce occupazioni degli atenei. La maggior parte degli adulti è concorde nel dire di aver avuto le idee migliori intorno ai vent'anni. Anche gli scienziati sembrerebbero concordare.

E allora perché non lasciarvi immergere nel flusso narrativo de Il circolo dei nichilisti ambientato nella perla rinascimentale di Urbino e nell'onirica Gran Bretagna dei culti new age. Mettetevi anche voi sulle tracce del Santo Graal, come il protagonista della storia Gabriele, un ragazzo come voi, la cui storia è anche un po' la vostra storia. Immedesimatevi in Gabriele e innamoratevi, come lui, di ogni bella ragazza che incontrate nel vostro cammino - o ragazzo se siete donna - e, in definitiva, innamoratevi anche voi dell'amore. Di nichilista questo romanzo ha solo il titolo, che nasce da un vaniloquio di uno dei personaggi di contorno della storia: Ahriman, che nichilista però lo è davvero, forse è l'unico della sua compagnia. Mentre per gli altri il nichilismo, così come il decadentismo, è giusto una posa da assumere: per non farsi riconoscere, per ciò che sono veramente, dagli estranei che li circondano, da quel tanto temuto mondo degli adulti, del quale presto faranno inesorabilmente parte anche loro.

Tutto questo è Il circolo dei nichilisti e molto altro ancora. Detto ciò, spero di aver suscitato almeno un po' il vostro interesse e ricordate che il peggior torto che si possa fare a un libro è quello di non essere letto. Se credete opportuno e vi va di fare una cosa diversa per questa Pasqua, provate a leggere Il circolo dei nichilisti, almeno dategli una chance: ogni opera sia essa letteraria, musicale, cinematografica, teatrale e quant'altro ancora ha diritto almeno al vostro insindacabile giudizio; non lasciate che siano certi libri a scegliervi, ma siate voi a scegliere certi libri. Una cosa si può fare per non essere conformisti: non conformarsi, mai!

30.3.10

"Il circolo dei nichilisti" di Marco Apolloni (Giraldi Editore, Bologna, 2010)

Gabriele è un giovane studente universitario che inizia a scoprire il vero mondo solo intorno ai vent'anni, quando decide di abbandonare “l'utero materno” e avventurarsi nella splendida Urbino. Si iscrive alla facoltà di Filosofia, dove scopre un'umanità dai caratteri variegati. Uno su tutti, però, spicca: un certo senso di nichilismo, di pessimismo cosmico insomma, che prende sempre più piede fra i giovani, disillusi del mondo che li ospita e li circonda. Durante i suoi tre anni universitari a Urbino, intervallati da un anno erasmus in Inghilterra, Gabriele si raffronta con personaggi curiosi e bizzarri, che rendono l'idea – in maniera a dir poco stupefacente – della gioventù odierna. Uno psicologo buddista, un gruppo di musicisti metallari, un cameriere, un artista circense: con loro il protagonista formerà “il circolo dei nichilisti”. Insieme affronteranno mille peripezie, mille avventure, mille esperienze che li condurranno ad essere degli adulti coscienti.


“Il circolo dei nichilisti” è un viaggio attraverso la realtà giovanile odierna, che si confronta quotidianamente con un mondo a cui lei non sente di appartenere. I “nuovi giovani” vedono intorno a loro solo desolazione, guerra, tristezza, isolamento e tentano disperatamente di trovare nuovi stimoli per reagire ad essa, invano. È a questo punto che la storia, per ciascuno, prende una piega diversa: c'è chi trova la spinta giusta, grazie ad un viaggio, per continuare a sperare; c'è chi invece si rifugia in una cultura che non gli appartiene ma che lui sente propria, come il buddismo; c'è chi, ancora, sceglie di scomparire e lasciarsi trasportare dalle “ombre oscure”. E c'è infine chi sceglie di assaggiare esperienze sessuali concrete per comprendere il vero significato dell'amore, immancabile sentimento nella vita di ciascuno. Tutto il romanzo si snoda attraverso le note di una suggestiva e alquanto variegata colonna sonora, che racchiude Simple Minds, Red Hot Chili Peppers, The Clash, Beatles e molti altri artisti. Componente musicale decisamente immancabile, per un viaggio lungo e avventuroso qual è: “Il circolo dei nichilisti”.

8.11.09

Le due vite di un Premier

di Marco Apolloni

Di recente si è molto discusso sul caso Boffo, che deve il nome dall'ormai ex direttore di Avvenire dimessosi dopo una querelle con l'attuale Presidente del Consiglio. In sostanza, i temi della questione vertono sul problema della vita privata di un uomo con un'importante carica pubblica. Due cordate si sono distinte per le loro equidistanti posizioni sul tema: la prima riconducibile al quotidiano Repubblica – si vedano le famose Dieci domande poste, ma mai risposte, dalla Redazione del giornale romano al nostro Premier – e la seconda al quotidiano (vicino al Premier) Il Giornale. La prima cordata ritiene che non esiste distinzione tra vita privata e vita pubblica per un Primo Ministro. La seconda cordata, più “partigiana” – ovvero “di parte” –, sostiene al contrario che un conto è la vita pubblica del nostro Capo del Governo e tutt'altro conto è invece la sua vita privata. Teoria, quest'ultima, che preciso subito: non condivido affatto.
Perché non condivido che si possa spartire le due vite di un Premier? Per una motivazione semplicissima, che persino il più distratto studioso di politica non può esimersi dal nominare – a meno che il Primo Ministro per lui non coincida con il Suo Datore di lavoro. Tale motivazione è che: come posso io, libero cittadino e in libero Stato, affidare in tutta serenità il potere decisionale ad un uomo che pur essendo impeccabile “uomo pubblico”, nel privato frequenta minorenni e – uso volutamente un eufemismo – “donne dalle facili costumanze” e dia per giunta festini nelle sue ville che – anche qui per usare un eufemismo – non è errato definire “poco ortodossi” per un uomo che, almeno in teoria, dovrebbe dare una certa immagine di sé e del proprio Paese, comportandosi in maniera quanto meno dignitosa.
Un ex inquilino dell'Eliseo – senza fare nomi, per carità – in un'intervista rilasciata ad una testata giornalistica ha confessato delle scabrose confessioni elargitegli, con la complicità da “compagno di bevute”, dal nostro attuale Premier, il quale se n'è uscito con una scappata di questo tipo – se ricordo bene – inerente ad un bidè del suo villino in Sardegna: “Non puoi immaginare quanti bei culi ha visto quel bidè...”! Ora chiaramente se una frase del genere l'avessi detta io, che non ricopro alcun incarico pubblico, sarebbe stata di sicuro innocua e non avrebbe destato altra reazione se non un'amichevole pacca sulle spalle da parte del mio socio. Viceversa detta da un uomo che deve rappresentare all'estero il suo Paese risulta essere ben poco innocua e anzi magari potrebbe dar da pensare, ad esempio a un qualsiasi ex Primo Ministro francese, che per esempio i “cugini italiani” hanno passato il segno e che se hanno democraticamente eletto un siffatto uomo è perché sotto sotto condividono la sua stessa bassa concezione della donna come “oggetto” di cui loro – come affermano taluni avvocati – non sono che degli “utilizzatori finali” e nient'altro.
(Merita una menzione speciale un'altra celebre battuta uscita fuori dalla bocca inconsapevole del nostro Premier, vale a dire lo scherzoso complimento rivolto al Presidente in carica americano, da lui definito come “bello e abbronzato”. Lui ha detto di non aver compreso i motivi per cui l'opinione pubblica si è scandalizzata tanto. Ora: non so voi, ma io li ho compresi i motivi...)
Direte voi ma che c'entra con Boffo il fatto che il Premier frequenta minorenni e mignotte? Purtroppo c'entra perché costui in un pacato editoriale pubblicato su Avvenire – quotidiano come molti di voi sapranno vicino a Santa Romana Chiesa – si è permesso di dire che le magagne private del nostro Primo Ministro sono un tantino sconvenienti. Editoriale che a Boffo è costato il posto di direttore del suo giornale, perché subito la cordata promossa da Il Giornale ha estratto dal proprio cilindro, anziché un coniglio, un documento giudiziario – fino ad allora sconosciuto o comunque sottaciuto – che lascia intendere una torbida relazione avuta dall'ex direttore di Avvenire con un altro uomo.
Il “due più due” che poi è stato fatto – a ragione dalla maggior parte della critica indipendente ancora rimasta in Italia – concerne una sorta di “deficit cronico” della libertà di stampa nel nostro Paese. Poiché, infatti, mettere un giornalista nella situazione in cui non possa più esprimere liberamente la propria opinione sull'operato “scostumato” del proprio Capo del Governo, a meno che non voglia egli stesso venire accusato di un qualche non ben definito “scheletro nell'armadio”, significa – in ultima analisi – imbavagliarlo. Insomma, la morale di questa storia è a dir poco allarmante. La verità è che la libertà di stampa vigente nel nostro Paese è molto “fragile” ed è appesa a un filo sottilissimo che può spezzarsi da un momento all'altro ad un solo schiocco delle dita del nostro Premier. Chiudo menzionando un'attendibile statistica stilata da Report Sans Frontières secondo cui: il nostro Paese godrebbe della stessa libertà di stampa di una qualsiasi “Repubblica delle Banane”, con tutto rispetto per le medesime. Lascio alla vostra coscienza le conclusioni..

23.9.09

Totò - Racconto


di Marco Apolloni


Ci sono cose della nostra infanzia che faticano ad essere dimenticate. Una di queste per me è: Totò. Avevo sette anni nell’estate del 90’. Il Mondiale casalingo mi aveva fatto trascorrere notti magiche, notti indimenticabili. Quando si ha quell’età lì, un semplice goal può cambiarti la vita. Beh, io ora non dirò che i goals di Schillaci mi cambiarono la vita, ma di sicuro me la allietarono. Nelle sue esultanze i miei occhi di bambino vedevano un eroe semplice e schietto, un eroe italiano appunto. Per quanto la parola eroi a poco a poco negli anni abbia cessato di avere per me un significato eminentemente positivo. Come ha detto qualcuno: “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi…”. Mai parole furono più sacrosante! Ad ogni modo a sette anni, come non mai, si ha bisogno di eroi, o perlomeno si ha bisogno di credere nella finzione costituita dall’eroicità umana. Salvatore Schillaci in arte “Totò”, con quel suo viso sofferto, oggi mi ricorda la mestizia del migrante italiano del secolo scorso: uno dei tanti capaci di solcare lo sterminato Oceano della Solidarietà umana per guadagnarsi la pagnotta e far campare dignitosamente se stesso e i suoi cari. Al suo nome mi lega un’ulteriore nota affettiva. Totò è stato il mio primo ed ultimo animale domestico, un piccolo pappagallo giallo.
Com’era bello accarezzarlo… al tatto rimaneva soffice come un guanciale. Poi quant’era saputo… peggio della peggiore pettegola del mio paese. A dir la verità, gli diedi un nome maschile ma francamente non ebbi mai la certezza dell’autenticità del suo sesso. Non seppi mai se fosse un pappagallo o una pappagalla. Ma la smania di volerlo chiamare a tutti i costi come il mio eroe mundial mi sopraffece a tal punto, che non m’importò mai nulla di sapere se fosse un lui o una lei. Di certo non gli diedi mai possibilità di provare la sua mascolinità. Se ne restò sempre solo e in disparte nella sua gabbia, accessoriata come un hotel a quattro stelle. Aveva ogni tipo di comfort: dalla tavoletta a forma di surf per rifinirsi il becco, all’altalena mignon sulla quale si divertiva rimanendo a penzoloni per ore e ore davanti alla tv. Come mi avevano consigliato quelli del negozio di animali, gli cambiavo puntualmente l’acqua ogni settimana e il cibo ogni paio di giorni. Ecco, il cibo… se posso fare un rimprovero al mio Totò era la sua concezione, come dire, fin troppo libertina della pulizia. Spesso gli succedeva di defecare sul suo stesso mangime; sicché lui, noncurante, si mangiava ripetutamente i suoi stessi escrementi, senza nemmeno accorgersene.
Una volta rischiò persino di rompersi l’osso del collo. Avevo da poco finito di vedere l’ennesima puntata delle Tartarughe Ninja e, complice una strisciante sonnolenza dovuta all’abbondante pranzo, mi addormentai come un piombo sul divano. A un certo punto, non so in quale stadio della fase REM – non il gruppo musicale –, fui svegliato da un cinguettio che si stava facendo sempre più fioco, della serie “ip” neanche “cip”. Preoccupato mi precipitai da Totò per controllare cosa stesse combinando. Il furbo si era cacciato nei guai, da solo, e cadendo dalla sua altalena era rimasto incastrato nella griglia metallica che mia madre gli aveva posto, con tanto di carta da forno attaccata, per non sporcare la sua gabbia luccicante. Nel divincolarsi era pure riuscito a ferirsi una zampa.
Io lì per lì, vedendolo sanguinante, andai in panico. Poi un lampo di sensatezza m’illuminò sul da farsi. Corsi fuori a chiamare mio padre che stava facendo dei lavori in giardino, come ogni Domenica. Subito, vedendomi agitato e tremante, mi disse di calmarmi. Volle che gli spiegassi cosa mi avesse sconvolto tanto. Trovai la forza per raccontargli l’accaduto:
“Babbo, babbo… Totò è caduto. È rimasto impigliato in fondo alla gabbia ed ora sanguina. Ho tanta paura… corri corri!” strillai impazzito.
“Vedrai che tutto si sistemerà, ora però calmati. Andiamo a vedere cos’ha combinato stavolta la bestia…” mi rassicurò lui. Smontò dalla sua macchina-falciatrice e insieme salimmo le scale.
Con calma olimpica, alla sua maniera, mio padre risolse tutto. Prese delicatamente tra il suo indice e il pollice la zampetta incastrata del pappagallo e la fece passare sopra alle maglie della griglia, così da liberarlo del tutto. Cauterizzò bene la ferita, inumidendola con dell’acqua ossigenata e un pezzetto di cotone. Il contatto bruciante con quella sostanza gli fece emettere un “cip” più potente del solito ma da lì capimmo che Totò, nonostante l’incidente, aveva la pellaccia più dura del cuoio e se la sarebbe cavata. Poi, per stare più tranquilli, lo portammo ugualmente dal veterinario che richiuse la ferita con della penicillina e dimise il paziente senza troppe smancerie. Ma che spavento…
Ricordo come fosse ieri la prima volta che pronunciò il mio nome. Era la vigilia di Natale. C’eravamo io, babbo, mamma e nonna. Stavamo tutti e quattro seduti sul divano, davanti alla televisione. All’appello mancava solo nonno. All’epoca non capivo ancora perché lui adoperasse sempre la stessa scusa per non stare con noi la sera della vigilia. Nonna mi diceva sempre:
“È andato a giocare a carte con gli amici, sai com’è fatto. Che vuoi farci…”.
E io le credevo. Ingenuo. Del resto cosa si può pretendere da un bambino di sette anni, che crede tanto ciecamente nel Natale.
Quell’anno, però, il vecchio filibustiere lappone si fece attendere e non poco. A mezzanotte passata avevo quasi perso la speranza di vederlo varcare la soglia di casa. E pensare tutte quelle lettere che gli avevo scritto. Tutte rigorosamente senza francobollo, che nella mia credulità dovevano essere spedite in Finlandia, a Rovaniemi. A mezzanotte e due minuti cominciai a guardare sconsolato l’orologio a pendolo, che inesorabile – come al solito – segnava l’incedere del tempo, senza che del signor Babbo Natale si fosse vista traccia. A mezzanotte e cinque grondavo già lacrime. Al che mia nonna, preveggente, andò in cameretta con la scusa di fare una misteriosa telefonata ad un’amica per i consueti auguri natalizi. Miracolosamente, a mezzanotte e sette minuti sentii il campanello suonare. Feci una corsa a perdifiato per controllare chi fosse alla porta, seguito dal resto della famiglia.
“Oh oh oh, buon Natale!” disse lo sconosciuto vestito di rosso, con una lunga barba bianca e un sacco pieno di strenne gettato dietro la schiena, lievemente inarcata per sostenerne il peso.
Io con gli occhi ancora umidi, ma finalmente felice, morivo dalla voglia di ricevere il malloppo di doni promessi e fu così che abbracciai dalla contentezza le ginocchia scricchiolanti di quello strano Babbo Natale – seppur quello scricchiolio, non capivo bene perché, mi suonasse familiare. La scusa che accampò per il suo sensibile ritardo fu davvero memorabile. Disse, testuali parole:
“Non ho trovato posto per parcheggiare le mie renne. Poi ho tentato di passare per il caminetto, ma ormai l’età e la pancia – fece cenno toccandosela – non sembrano più permettermelo. Ora, però, eccomi qua a portare regali o carbone a Marco. Sei tu Marco, vero? Allora, ti sei comportato bene quest’anno? Dì la verità…”.
Io, all’udire la parola tanto temuta (: carbone), rimasi impietrito e provai ad addurre una qualche plausibile scusa, dicendo:
“Ho fatto il bravo, lo giuro! Lo chieda pure a loro…” e indicai i miei familiari.
Nel frattempo Babbo Natale – che stranamente non parlava finlandese, e non solo intendeva benissimo il nostro idioma ma lo parlava pure correntemente – entrò nel soggiorno e depositò sopra il tavolo il pesante fardello, pieno di chissà quali mercanzie.
“Allora, come si è comportato il ragazzo? È stato giudizioso?” chiese rivolto alla famiglia.
Tutti fecero “sì” con la testa e io potei tirare un sospiro di sollievo. La scampai bella pure quell’anno. Lui, a quel punto, estrasse un pacchetto gigantesco coperto da una sgargiante carta-regali color rosso natalizio e addobbato con un elegante nastro giallo dorato. Mentre me lo porgeva, come fosse la cosa più preziosa al mondo, mi disse:
“Tieni il tuo regalo. Sulla lettera, se ricordo bene, c’era scritto che volevi o tanti regali piccoli oppure uno solo però bello grosso. Io mi sono permesso di scegliere la seconda opzione e ti ho portato il regalo più grande. Gli altri sono andati ai bambini meno fortunati di te, come mi avevi scritto. Mi raccomando Marco, fai il bravo e vedi di non far arrabbiare il nonno…”.
Mia nonna subito andò a tappargli la bocca, prima che l’incauto Santa Claus si lasciasse scappar detto qualcos’altro di troppo. Lui per tutta risposta imprecò in una maniera a me familiare:
“Ma por la Madon…” ma si tappò la bocca da solo, accortosi dell’involontaria gaffe commessa. Quell’ultima frase, sfuggitagli, avrebbe dovuto insospettirmi ma Totò decise d’intromettersi a modo suo:
“Cip cip… Marco… cip cip… Marco…”.
Fu quanto riuscì a dire il mio pappagallo, ma bastò a ravvivare il sacro fuoco del Natale che arde segreto nel cuore d’ogni bambino. Totò quella sera salvò l’intera sceneggiata. Io, infatti, non m’insospettii minimamente e continuai a credere, ancora per qualche altro anno, alla magia del Natale. Fui talmente preso a far le feste al pappagallo, capace finalmente di pronunciare il mio nome, che non volli capire altro. Alla mia momentanea incapacità d’intendere, inoltre, contribuì anche il mio stato tale di euforia messomi addosso dal regalo appena ricevuto: un bellissimo elicottero d’assalto dei G.I. Joe, che montai e smontai più volte quella sera. Ci andai persino a dormire con quella miniatura d’elicottero, tanto non volevo staccarmene un solo istante. Quello fu, io credo, uno dei momenti più felici della mia infanzia e Totò ne fu il principale artefice.
Ma il ricordo di Totò per me non è solo legato a momenti belli e spensierati, come quel Natale. Pochi mesi dopo – era ancora inverno e il giardino appariva ricoperto da un solido strato di ghiaccio –, rientrando da scuola feci la mia prima esperienza con la morte. Trovai, infatti, Totò stecchito nella sua gabbia. Il suo temperamento tropicale, evidentemente, non ce l’aveva fatta ad uniformarsi ai gelidi venti dei Balcani, che d’inverno non danno requie alle città costiere bagnate dal Mar Adriatico, come la mia. È stata un’esperienza davvero travolgente, che di solito capita intorno ad una precisa età, ovvero: l’età dei primi anni di scuola. Anni in cui un barlume di ragione comincia ad insinuarsi nella coscienza dei bambini, che dolenti o nolenti prendono sempre maggiore confidenza con la vita e con il suo mistero ultimo. Questa presa di coscienza per ciascuno sancisce il taglio definitivo del cordone ombelicale che l’ha tenuto, in certo senso, avvinto all’utero materno. Con essa finisce l’età dell’oro, che dura ahimè troppo poco per tutti. L’età in cui non si vede più in là dei propri passi corti, che mano a mano s’allungano e ci fanno prendere coscienza della nostra meta finale, uguale per tutti. Dicesi: la “democrazia” della morte, o “’a livella” come disse il grande Principe Antonio De Curtis, il cui nome d’arte – guarda caso – era proprio Totò. Un nome, un destino – si direbbe. Altro che coincidenze: e chi ci crede più nelle coincidenze, nemmeno gli scienziati, immagino. Esistono solo quelle che lo psichiatra e psicanalista svizzero Carl Gustav Jung definì felicemente coincidenze significative. Totò, il calciatore; Totò, l’attore; Totò, il pappagallo. Uno splendido triangolo sincronico che, a distanza di così tanto tempo, mi fa meglio comprendere l’intricato mosaico della mia vita.
Feci un funerale in pompa magna, al mio caro ed estinto Totò. Ci mancava solo Elton John a far scorrere le sue dita formicolanti sul piano ed intonare Candle in the wind (all’epoca non ancora scritta) per definire regali quelle esequie. Lo seppellii in giardino, riponendo il suo esanime corpicino nella prima scatola vuota di scarpe che trovai in sgabuzzino. Presi la pala e scavai una buca profonda quanto bastò per adagiarvi la scatola e il suo prezioso contenuto. All’evento accorse tutto il vicinato, messo in allerta dai miei strani traffici con quella pala più alta di me. Rimasero a dir poco increduli, non appena s’avvidero che mi ero preso tutto quel disturbo per un piccolo pappagallo. Solo io potevo sapere ciò che stavo facendo. Quello non era un animale qualsiasi. Era il mio Totò, il mio primo amico vero. Non ci dicemmo mai granché, noi due. A pensarci bene lui mi chiamò una sola volta per nome: quella vigilia di Natale. Ma la nostra comunicazione era talmente intima da non aver bisogno delle parole, come si conviene solo ai più grandi amici. Goodbye, mio piccolo amico. Questa canzone è anche un po’ per te…

And it seems to me you lived your life
Like a candle in the wind
Never fading with the sunset
When the rain set in

[...]
Your candle's burned out long before
Your legend ever will