20.5.10

Recensione de "Il circolo dei nichilisti" (apparsa sulla copertina di "Mobydick" inserto culturale di "Liberal")

Sillabario dell'anti-moccia
di Matteo Orsucci [15 maggio 2010]

Gabriele e i suoi sogni, Gabriele e l'università, molti libri letti, i migliori, i più belli, per fare il verso a Borges, «quelli ancora da leggere»... Eppoi Gabriele e la fuga dalla provincia che ti stritola, che non ti fa respirare; una boccata d'aria nuova in una città un po' più grande - e d'accordo che Urbino non è metropoli ma ha il respiro ampio di tutte le cittadine invase dallo spirito eterno della gioventù studiosa. Gabriele è un ragazzo come tanti, addirittura come tutti, che si è appena lasciato il liceo alle spalle, davanti si trova una scommessa nuova, una partita di cui appena sono state impartite le regole. Come tanti, addirittura come tutti, è costretto a giocare a vista, molto a zona, nessuno marca stretto perché quella è ancora la fase della conoscenza generale. L'età più bella è finita, l'età di Arsenio come direbbe Eugenio Montale, quella in cui le nuvole non sono cifre o sigle «ma le belle sorelle che si guardano viaggiare». Gabriele è il protagonista del romanzo d'esordio di Marco Apolloni, Il circolo dei nichilisti (Giraldi editore, Bologna), ed è anche il prototipo utile per una ricognizione vagamente più seria sulla materia trattata. Apolloni al lettore regala una prosa affatto banale, un intreccio molto ben costruito, di pagina in pagina si scala la montagna incantata del romanzo fine a stesso per arrivare alla vetta della formazione di ogni bildunsroman che si rispetti. E non potrebbe essere che così. L'autore non lo ammette, ma il protagonista è anche un po' il suo alter-ego e vista la carne messa al fuoco la biografia in questo caso non è affatto secondaria. Gabriele finisce con l'avere passati i 25 anni, proprio come Apolloni (che di anni ne ha 27). La trama può sembrare scontata: l'adolescenza, e quindi e insomma si cresce, nascono prime incomprensioni, i genitori diventano alieni, parlano una lingua che non è la tua, si va avanti grazie alle amicizie vere, l'amico fidato, la fidanzata che pensi essere eterna, la bicicletta e lo scooter, il fuoco che brucia dentro, tutta la vita in un giorno. L'ala della giovinezza porta a volare molto in alto con frasi solenni, promesse senza fine, amori eterni perché la vita ha il sapore di una susina: un po' aspra quando l'addenti, ma dolce e succosa all'interno e la si vive in ragione di questo contrasto palatale. La generazione di Gabriele non è quella dei lucchetti di Ponte Milvio, di Federico Moccia, non chiede scusa se ti chiama amore, bensì lo urla, quell'amore, perché è bella e terribile, si sente ovviamente immortale, ha voglia di lasciarsi tutto indietro e proiettarsi tutta avanti. Gabriele sa che dovrà percorrere le strade più diverse, mantenendo quell'andatura un po' così, tipica dei ragazzi, la stessa che Roberto Vecchioni ha saputo rendere impareggiabilmente con l'espressione «Comici e disperati guerrieri». Comici e disperati, appunto. Ragazzi un po' goffi nei confronti della vita, disperati come ogni amante della vita stessa, tra il dandy e il maledetto, deve essere: per certi versi estremo, guerriero senza dubbio. Questo è un romanzo d'esordio, e oggi in Italia dire «fare un romanzo» sembra quasi una sorta di pazzia letteraria. Uno pensa subito ad Alessandro Manzoni e all'alta letteratura o, peggio, ai tormentoni da classifica settimanale diRepubblica, quella roba che mette sempre in testa di serie i mocciosi di Moccia, i ragazzini della Roma perbene e quelli della Roma sporca, le motociclette che corrono molto, ragazzini senza voglia di fare alcunché, ragazzine molto innocenti che sognano la loro prima volta a 21 anni col voto in Senato, il principe azzurro, un castello sul mare, e ci sarebbe da chiedersi come fa una pletora di quindicenni cresciuti a pane e internet a credere in un amore di carta visto che ormai pure quello lo fanno on line, sesso 2.0... I ragazzi di Apolloni sono ragazzi che con il pc hanno il sano rapporto della noncuranza, vanno alla pratica del mondo incuriositi e perplessi. Nichilisti recita il titolo. Parola forte, provocatoria, usata per nulla a caso. Nel gruppo di Gabriele di nichilista ce n'è solamente uno, e la statistica non la si sta a scomodare perché al mondo gente così esiste tra l'adolescenza e la vecchiaia. Questione di numeri. Ma gli altri, il buddista, quello con i dubbi esistenziali, l'altro che si interessa alle astrusità, beh, non sono affatto nichilisti. È così che li vedono gli occhi dei genitori, degli insegnanti, dei professori all'università, della gente per strada. E quindi perché non giocarci sopra a questo equivoco esistenziale? Perché non fondarlo un circolo dei nichilisti? L'unico posto dove assaporarlo davvero il nettare di tutto, combattendo il niente che invece sta intorno... Passano gli anni, si passano gli esami, si arriva all'Erasmus e alla dicitura «generazione Erasmus », quella che precede la laurea e le altre diciture «generazione mille euro» e «generazione Tanguy», che detto dalle nostre parti suona come «bamboccioni ». L'Erasmus porta a Londra, le vie incasinate, le ragazze baciate, gli amici nuovi, il turbinio di cosce e di seni, i libri, il Tamigi e le birre, padroni del mondo, anarchi jungeriani con riserva... Poi il ritorno, la laurea agognata. Dentro quel circolo che di nichilismo non ha un bel nulla alla fine sta il segreto dell'ultima generazione che ha saputo smarcarsi dalla retorica odierna, che non ha prodotto bulli ma belli, che proveniva dagli anni Ottanta sia pure con qualche differenza. Figli di un'età di transizione ma non per questo incapaci di amare. Personalmente faccio parte di quel circolo o di qualcosa del genere. Cosa manca ad Apolloni, forse, è la presa di coscienza che uscendo fuori, dopo i chilometri di vita percorsi, alla fine si è come quelli da cui si scappava, anche senza chiudere lucchetti a Ponte Milvio (che sono il riflesso pavloviano del chiudersi in sé). Perché la tradizione resta pur sempre quella, ed è anzi essa che consente eccezioni alla regola, ribellismi, dannunzianesimo, roba così. O più semplicemente siamo stati gli ultimi, per anagrafe, a vivere un canovaccio di gioventù da poter ricordare con nostalgia. Ah, ai miei tempi... E siamo già tra i matusa.

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