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8.11.09

Le due vite di un Premier

di Marco Apolloni

Di recente si è molto discusso sul caso Boffo, che deve il nome dall'ormai ex direttore di Avvenire dimessosi dopo una querelle con l'attuale Presidente del Consiglio. In sostanza, i temi della questione vertono sul problema della vita privata di un uomo con un'importante carica pubblica. Due cordate si sono distinte per le loro equidistanti posizioni sul tema: la prima riconducibile al quotidiano Repubblica – si vedano le famose Dieci domande poste, ma mai risposte, dalla Redazione del giornale romano al nostro Premier – e la seconda al quotidiano (vicino al Premier) Il Giornale. La prima cordata ritiene che non esiste distinzione tra vita privata e vita pubblica per un Primo Ministro. La seconda cordata, più “partigiana” – ovvero “di parte” –, sostiene al contrario che un conto è la vita pubblica del nostro Capo del Governo e tutt'altro conto è invece la sua vita privata. Teoria, quest'ultima, che preciso subito: non condivido affatto.
Perché non condivido che si possa spartire le due vite di un Premier? Per una motivazione semplicissima, che persino il più distratto studioso di politica non può esimersi dal nominare – a meno che il Primo Ministro per lui non coincida con il Suo Datore di lavoro. Tale motivazione è che: come posso io, libero cittadino e in libero Stato, affidare in tutta serenità il potere decisionale ad un uomo che pur essendo impeccabile “uomo pubblico”, nel privato frequenta minorenni e – uso volutamente un eufemismo – “donne dalle facili costumanze” e dia per giunta festini nelle sue ville che – anche qui per usare un eufemismo – non è errato definire “poco ortodossi” per un uomo che, almeno in teoria, dovrebbe dare una certa immagine di sé e del proprio Paese, comportandosi in maniera quanto meno dignitosa.
Un ex inquilino dell'Eliseo – senza fare nomi, per carità – in un'intervista rilasciata ad una testata giornalistica ha confessato delle scabrose confessioni elargitegli, con la complicità da “compagno di bevute”, dal nostro attuale Premier, il quale se n'è uscito con una scappata di questo tipo – se ricordo bene – inerente ad un bidè del suo villino in Sardegna: “Non puoi immaginare quanti bei culi ha visto quel bidè...”! Ora chiaramente se una frase del genere l'avessi detta io, che non ricopro alcun incarico pubblico, sarebbe stata di sicuro innocua e non avrebbe destato altra reazione se non un'amichevole pacca sulle spalle da parte del mio socio. Viceversa detta da un uomo che deve rappresentare all'estero il suo Paese risulta essere ben poco innocua e anzi magari potrebbe dar da pensare, ad esempio a un qualsiasi ex Primo Ministro francese, che per esempio i “cugini italiani” hanno passato il segno e che se hanno democraticamente eletto un siffatto uomo è perché sotto sotto condividono la sua stessa bassa concezione della donna come “oggetto” di cui loro – come affermano taluni avvocati – non sono che degli “utilizzatori finali” e nient'altro.
(Merita una menzione speciale un'altra celebre battuta uscita fuori dalla bocca inconsapevole del nostro Premier, vale a dire lo scherzoso complimento rivolto al Presidente in carica americano, da lui definito come “bello e abbronzato”. Lui ha detto di non aver compreso i motivi per cui l'opinione pubblica si è scandalizzata tanto. Ora: non so voi, ma io li ho compresi i motivi...)
Direte voi ma che c'entra con Boffo il fatto che il Premier frequenta minorenni e mignotte? Purtroppo c'entra perché costui in un pacato editoriale pubblicato su Avvenire – quotidiano come molti di voi sapranno vicino a Santa Romana Chiesa – si è permesso di dire che le magagne private del nostro Primo Ministro sono un tantino sconvenienti. Editoriale che a Boffo è costato il posto di direttore del suo giornale, perché subito la cordata promossa da Il Giornale ha estratto dal proprio cilindro, anziché un coniglio, un documento giudiziario – fino ad allora sconosciuto o comunque sottaciuto – che lascia intendere una torbida relazione avuta dall'ex direttore di Avvenire con un altro uomo.
Il “due più due” che poi è stato fatto – a ragione dalla maggior parte della critica indipendente ancora rimasta in Italia – concerne una sorta di “deficit cronico” della libertà di stampa nel nostro Paese. Poiché, infatti, mettere un giornalista nella situazione in cui non possa più esprimere liberamente la propria opinione sull'operato “scostumato” del proprio Capo del Governo, a meno che non voglia egli stesso venire accusato di un qualche non ben definito “scheletro nell'armadio”, significa – in ultima analisi – imbavagliarlo. Insomma, la morale di questa storia è a dir poco allarmante. La verità è che la libertà di stampa vigente nel nostro Paese è molto “fragile” ed è appesa a un filo sottilissimo che può spezzarsi da un momento all'altro ad un solo schiocco delle dita del nostro Premier. Chiudo menzionando un'attendibile statistica stilata da Report Sans Frontières secondo cui: il nostro Paese godrebbe della stessa libertà di stampa di una qualsiasi “Repubblica delle Banane”, con tutto rispetto per le medesime. Lascio alla vostra coscienza le conclusioni..

23.4.09

Bilancio Festival '09

di Marco Apolloni (Autore anche di un nuovo blog

Se il Festival di San Remo diventa la succursale di Amici vuol dire che un “male oscuro” sta affliggendo la nostra nazione. Di che male sto parlando? Il “mal di audience”, ovvero come fare tutto per distruggere la qualità artistica della canzone italiana, a favore della “cultura da massaia”. Senza peraltro nulla togliere alle suddette, che non me ne vorranno se le critico nella loro eccentrica veste di giudici inappellabili dell'arte nostrana. Il problema di fondo non è tanto che il Festival di San Remo sia stato vinto da un ex parrucchiere sardo, pur sempre con una bella voce – gliene ne do atto. Piuttosto è “come” lui sia riuscito a spuntarla nella kermesse canora che ha dell'inquietante. La sua canzone, sì orecchiabile – per carità –, presenta un testo che sembra scritto da un bambino di terza elementare, con un vocabolario personale – per usare un eufemismo – abbastanza “limitato”. Con ciò non vorrei essere equivocato e soprattutto non vorrei passare per ammiratore segreto dei testi di Battiato – anche se per me è un genio –, però non posso nemmeno dire di essere un fan di Povia – giustamente preso in giro da quei furboni della Gialappa's. Chissà per quale strana coincidenza, ma appena il Festival scende un po' di livello eccolo subito spuntare come un fungo quanto meno nel podio – se non da vincitore, quasi. Dopo la canzone dei bambini – l'unica salvabile – e quella del piccione, quest'anno il cantautore milanese s'è cimentato in quella del gay, con tanto di esposizione di mega cartelloni – stile Gay Pride – durante l'esibizione. Ho gradito invece la canzonetta di Arisa, vincitrice della sezione dedicata ai giovani, che al primo ascolto ho subito battezzato “vincente”. Non a caso la sua Sincerità è già diventata un tormentone. L'unica pecca di questa promettente ragazza genovese è il suo personaggio che, “to be honest”, mi sa un po' di costruito...  
Non che l'anno prima le cose fossero andate meglio, qualitativamente parlando. Non essendo critico musicale, ma modesto scribacchino, nella mia critica – che spero troviate costruttiva – faccio riferimento soltanto alla lacunosità dei testi. A proposito: chi di voi ha più sentito parlare, dopo la vittoria al Festival dell'anno scorso, del mitico Giò Di Tonno? Bah, sfido chiunque a darmene notizia. Starà cantando al matrimonio del suo migliore amico? Oppure si starà esibendo alla Sagra del Pesce di Montesilvano? Chissà... In compenso la sua partner canora: Lola Ponce, si limita a mostrarsi nella sua tenuta déshabillé in Mai dire Grande Fratello e ad essere puntualmente presa per i fondelli dall'istrionico Mago Forest. Insomma pare essersi sistemata nello showbiz nazional-popolare. Mi aspetto solo che fra qualche anno la chiameranno a sostituire Alessia Marcuzzi nella conduzione del reality più trash del panorama televisivo mondiale, poi sì che ne avrà fatta di strada... 
Volendo ampliare l'angolo visuale sul Festival di quest'anno vorrei toccare la nota ancor più dolente dei grandi ospiti, cantanti o showman che siano stati. Del Noce non si è smentito neppure stavolta, estraendo dal suo libretto paga due nomi su tutti, mi riferisco: all'oramai arrugginito Roberto Benigni e alla patinata Annie Lennox – più bella oggi che vent'anni fa. Lo “showman” Benigni, diciamocelo, ce l'ha un po' fracassati con le sue solite boiate sul Cavaliere. Anche se, di questi tempi, ti si leva la voglia di far battute sulla “rottamata” sinistra: la gente vuole ridere, mica piangere! Ma riconoscerete anche voi che, per quanto il soggetto stra-usato del nostro anziano Presidente del Consiglio, sì è vero che si presta molto bene a del facile umorismo ed anzi egli stesso pare cimentarsi volentieri nel genere, però francamente non se ne può proprio più. Quasi che ho trovato più divertente il Cavaliere con l'ultima sua frecciatina dedicata al “bello e abbronzato” neo Presidente in carica degli States – ho solo detto “quasi” però. Tornando al Robertone nazionale, va detto che, da quando ha incominciato a far film cervellotici – da Pinocchio in poi tanto per intenderci – e a portare in tour la Divina Commedia, mi pare che abbia un po' perso l'antica verve, quella che lo rendeva il più esplosivo comico italiano. Del resto, si sa, un Oscar in certi casi può darti di volta il cervello. (Come la maledizione del Pallone d'Oro, secondo cui: chi lo vince, poi, comincia a giocare da schifo!) Sola attenuante per il comico toscano può esser stata la mancanza dei genitali di Baudo, per lui evidentemente fin troppo stimolanti... (A proposito: “Pippo torna, ci sei mancato!”.) La “cantante” Lennox invece, il fatto che sia brava nessuno lo mette in dubbio, ma del resto questo lo sapevamo. Infatti quante volte era già venuta al Festival: tre o quattro? Boh, confesso di aver perso il conto. Parafrasando una tua meravigliosa canzone: “Why Annie sei ritornata a San Remo?”. Per presentare in anteprima la tua nuova collection? O per i bambini malati e bisognosi di cure dell'Africa? Se è per il secondo motivo sei ampiamente scusata e, anzi, come redattore di Impegno Sociale mi scuso io con te per averne dubitato. 
Conclusa la parentesi “grandi ospiti”, non resta ancora molto da dire su quest'edizione decisamente sfortunata del Festival della canzone italiana. Come direbbero a Roma: “Aridatece Moro...”! «Pensa prima di sparare / Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare / Pensa che puoi decidere tu / Resta un attimo soltanto un attimo di più / Con la testa fra le mani / Ci sono stati uomini che sono morti giovani / Ma consapevoli che le loro idee / Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole / Intatte e reali come piccoli miracoli / Idee di uguaglianza idee di educazione / Contro ogni uomo che eserciti oppressione / Contro ogni suo simile contro chi è più debole / Contro chi sotterra la coscienza nel cemento / Pensa...». Queste parole, combinate con l'abilità vocale del bravo cantante, formano secondo me una bella canzone. Altro che La forza mia... Quindi l'appello che faccio ai telespettatori per il Festival dell'anno prossimo, sulle del summenzionato cantautore romano è: Pensate / Prima di votare e di giudicare / Pensate che potete decidere voi...                  

(Articolo apparso sullla rivista bimestrale Impegno Sociale, numero marzo-aprile 2009. Dello stesso Autore leggi anche: http://viverefilosofando.blogosfere.it/)

18.1.08

Nel nome di "Spartaco"

di Marco Apolloni

A ragion veduta, si pensa che il terrorismo sia il “male radicale” della nostra epoca, alla stessa stregua del nazismo durante il Secondo conflitto mondiale. La cosa più sconcertante è l'identikit del terrorista odierno, ovvero: tra i venti e i trent'anni – dunque giovanissimo –, buona cultura, cresciuto in una famiglia perbene, aspetto apparentemente innocuo. Addirittura fra di essi si contano ragazzi occidentali, educati e cresciuti coi valori più genuini della nostra civiltà. A questo punto, riflettiamo un attimo, senza aver paura di mettere a nudo i nostri pensieri. La riflessione, d’altronde, è l'unica arma che ci è rimasta per sconfiggere l'apatia mentale e per filtrare quei refusi mass-mediali, più che notizie vere e proprie, che oramai ci tempestano da tutte le parti…
Comprendiamo – sebbene non giustifichiamo –, con le debite proporzioni un giovane kamikaze-palestinese che vive di stenti, spesso in famiglie numerosissime e trascorre la propria esistenza nella miseria più totale, perlopiù in degradate baraccopoli. In un simile caso umano disperato si possono ben comprendere le ragioni di come questi possa venire facilmente abbindolato da gente priva di scrupoli, che lo convince a votarsi al martirio. Nelle misere condizioni in cui è stato allevato e dopo tutto quello che ha patito, come si potrebbe fargliene una colpa? Ammettiamo, dunque, di riuscire anche solo lontanamente a concepire le motivazioni che lo inducono a tramutarsi in uomo-bomba, specialmente dovendo fare i conti con l'illogico e sanguinoso scacchiere mediorientale. Diversamente non riusciamo proprio a figurarci come un giovane dal radioso avvenire targato “made in England” – che ha vissuto la sua esistenza alla maniera occidentale – d'un tratto possa divenire il nemico pubblico numero uno. Se c'è un unico comandamento su cui tutte le religioni sono inequivocabilmente concordi – islam, cristianesimo, buddhismo, induismo, taoismo, eccetera – crediamo sia senz’ombra di dubbio: non uccidere!
Nelle guerre di oggi è sparita la benché minima briciola di santità, ammesso ve ne sia mai stata in qualche guerra. Le guerre odierne, infatti, non hanno nemmeno uno “stinco di santo”. Una volta, almeno, nelle guerre a morire erano in larga misura i soldati chiamati a combatterle. Ora come ora non avviene neppure più questo. A rimanere sotto le macerie delle bombe o degli attentati terroristici sono perlopiù persone innocenti prive di alcuna responsabilità diretta. Sangue chiama altro sangue e, finché non ci metteremo tutti in testa che esso è dello stesso colore, sia per le vittime dell'una che dell'altra fazione, non vi sarà mai tregua agli atavici conflitti del nostro pianeta. Con le guerre non si è mai ottenuto granché, se non riempire di macabre immagini la galleria degli orrori storici. E quando qualcuno a Washington lo capirà, forse assesteremo una batosta decisiva ai terroristi, togliendo loro l'unica linfa vitale nonché unico appiglio: l'odio, un odio troppo viscerale e troppo a lungo covato, che può venire unicamente contrastato facendo fare alla diplomazia il suo lento ma inesorabile corso. Solo grazie ad essa si possono mettere a tacere: sia le armi che i cultori dello scontro di civiltà. Ad essere sinceri, dovremmo tutti concordare che, in fondo, esiste una sola ed unica civiltà umana.
Il termine civiltà, secondo alcuni, evoca uno sfondo drammatico perché non può che essere declinato al plurale: le civiltà. Esso testimonia come il mondo non sia unito e, a dire il vero, non lo sia mai stato, bensì come sia sempre stato caratterizzato da una plurima eterogeneità. Sempre per costoro, il “feticcio” della democrazia si illude di poter riunire l'intero genere umano sotto un'unica bandiera. Dicasi: utopia democratica! Inutile far notare ad essi come la tecnica abbia potuto unificare il mondo in corso d'opera, poiché costoro ribatterebbero che la tecnica non è mai riuscita ad impossessarsi della materia con cui sono fatti gli uomini, ovvero i sogni – per usare una bella metafora shakespeariana. Secondo questi teorici impregnati di dogmatismo: lo spirito incide più della tecnica, ossia riesce a penetrare con maggior efficacia quelle regioni dell'anima altrimenti invalicabili. Infine, costoro aggiungono: se i passati non sono mai stati uniti neanche i presenti potranno mai esserlo, finché esisteranno passati diversi vi saranno sempre futuri diversi, il sogno roosveltiano di “un solo mondo” è materialmente impossibile da realizzare...
A questa visione pessimista ci sentiamo di contrapporre la nostra, nettamente più ottimista. Se per costoro il bicchiere è mezzo vuoto per noi invece è mezzo pieno. Ovvero: ciò che ci divide è sempre inferiore a ciò che ci unisce. Diteci pure idealisti ma noi crediamo ancora che “un altro mondo è possibile”, poiché siamo convinti che noi umani possiamo agire concretamente sulla storia e non solo essere agiti da essa – come molti erroneamente pensano. Il popolo con la sua sola “volontà di potenza” può modificare l'intero corso storico. Compito di ciascun popolo è quello di tirare il freno d'emergenza alla locomotiva impazzita della storia, altrimenti destinata allo sfacelo – per usare una suggestiva immagine benjaminiana. Le rovine della storia dovrebbero servirci da monito per risparmiarci l'inenarrabile sequela di errori fin qui commessi. Il filosofo messicano Carlos Santayana afferma: «Chi dimentica la storia è spesso condannato a ripeterla».
A nostro parere, l'essere ottimisti sul corso della storia è per noi uomini una necessità connaturata, poiché altrimenti niente e nessuno potrebbe salvarci da una fine ingloriosa. Noi non siamo fra quelli che pensano che siccome fin qui tutto è andato storto allora bisogna rassegnarsi al nostro ineluttabile destino – che ci vede già perdenti in partenza. Questo spirito di rassegnazione è semplicemente controproducente alla nostra causa umana, quindi crediamo non ci resti che remare controcorrente e perseverare nel nostro incessante combattimento quotidiano. Sperando che, come noi, la pensino molti altri “guerrieri dello spirito”. Meno saremo a rassegnarci e più probabilità avremo di non far scomparire dalla faccia dell'Universo il nostro genere umano, seriamente minacciato d'estinzione. Il nostro “imperativo categorico” dovrà essere d'ora in poi: possiamo e dobbiamo cambiare il corso della storia!
Se c'è una cosa che riesce a darci più fastidio è la presunzione di certi pensatori, che con il loro pessimismo cosmico leopardiano si credono anticonformisti mentre sono di un conformismo dei più aberranti. Se andiamo a dare una scorsa indietro alla storia dei popoli, ecco che possiamo vedere come la superstizione abbia fatto sì che l'umanità si dividesse in due schiere, padroni e servi, invece che in una sola comprendente tutti gli uomini eguali in tutto e per tutto. Finché i primi tennero i loro fetidi piedi premuti sulle teste dei secondi, non vi fu uomo che potesse dirsi davvero libero. Quest'uomo però un giorno scese in mezzo a noi e si erse mastodontico fra i suoi simili, non accettando più i soprusi che gli venivano inflitti: il suo nome era Spartaco e ancora oggi riesce ad emozionare coloro i quali conservano – pressoché intatta nelle segrete prigioni dei loro cuori – la scintilla rivoluzionaria. Costui fu l'iniziatore del cammino verso la liberazione del genere umano dalle catene della schiavitù, fu il Titano Prometeo in carne ed ossa, amico a tal punto degli uomini che distribuì loro il fuoco sacro della tecnica. Questo nuovo Prometeo fece sì che nessun uomo si sentisse inferiore a qualunque altro suo simile. Con labbra tremanti riusciamo a malapena a sillabarne il nome: S-p-a-r-t-a-co. È come se il suo nome, altamente evocativo, facesse vibrare ogni corda del nostro essere. Un ultimo pensiero colmo di gratitudine non può che andare a lui, Spartaco, il-più-possente-fra-gli-uomini. Ti ringraziamo infinitamente per averci trasmesso la tua preziosa scintilla. A noi non rimane che esserne degni...

30.12.07

I però della vita

di Marco Apolloni

Mi girano un po' le palle, lo ammetto. Perciò premetto che sarò volutamente irritante. Avete presente quei lunghi giri di parole introduttivi con cui certa gente ti silura, però – ecco il primo però – con molto stile. Beh, ieri sera – dolceamara serata – mi sono trovato in una situazione analoga. Per motivi di privacy non starò a raccontarvi con chi ero, né tanto meno i perché e i per come. Sarò diretto e brutale. La mia è più che una dichiarazione d'intenti. Non so voi, ma quando uno mi parla e si dilunga lisciandomi contro pelo come si fa coi gatti, io non mi fido tanto, comincio a sentire puzza di gatto bruciato. Poi ad un tratto, eccolo: il benemerito però che ti aspettavi da mezz'ora e che puntualmente senti pronunciare. Basta una leggera, quasi impercettibile, inflessione di tono nella voce che subito tutto ti appare chiaro. La vita te lo sta per mettere in quel posto... Tu credevi di non essere come gli altri, che la carretta non avresti dovuto spingerla, che non avresti dovuto faticare come un mulo e invece eri solo un pirla presuntuoso che supponeva. Però si poteva fare così, però si poteva fare cosà, però sei stato troppo profondo, però sei stato troppo superficiale. Tagliando corto, quando senti dirti ognuno di questi però è come se ricevessi un pugno sul grugno, di quelli tosti, bene assestati, che ti spaccano la pelle e ti fanno scendere giù piscine di sangue vischioso. Ti dicono che sei un giovane di buone speranze e subito ti vengono in mente quelle miriadi di giovani prima di te, anch'essi una volta di buone speranze ma ora dei perfetti signori nessuno sparsi chissà dove nel globo – nella migliore delle ipotesi – o niente più che cibo per vermi – nella peggiore delle ipotesi. Ti tocchi le palle, sì, e una toccatina è proprio quello che ci voleva dopo simili pensieri. Ti fai forza e ti dici: "Dai che un giorno prima o poi qualcuno ti apprezzerà per quello che sei e ti darà il tuo attimo fuggente di gloria". Andy Warhol ha detto che tutti finiremo con l'avere i nostri cinque minuti di notorietà. Certo cinque minuti sono un po' pochini ma, cazzo, sempre meglio di niente. E allora tu ci speri e ti accorgi di avere fatto il più capitale degli errori perché ti ricordi di quel detto: chi vive sperando, muore... Fa niente, non sei scaramantico, però – diamine eccone un altro – ti tocchi lo stesso un'altra volta. Tanto massimo che ti succede è niente. Come dice quello: non ci credo però mi tocco... Scanso equivoci. Già, è meglio scansare gli equivoci. Ti fanno troppa confusione e poi ti logorano il cervello. M'immagino voi lettori, che vi starete dicendo: guarda questo qua, usa la seconda persona perché vuole somigliare a Mac Inerney. Mac chi? No, non ce l'ho un Mac. O meglio: conoscevo un Mac, però quello giocava a tennis. Un po' folle, ma non era niente male. Era il mio tipo di tennista ideale. Faceva incazzare gli arbitri come delle iene. Poteva dire o fare quello che gli pareva dentro al campo da tennis. Comunque la gente lo applaudiva. Poteva pure mandare affanculo la stessa gente che gli batteva le mani. Tanto lui era un genio, quindi logicamente sregolato. Chi cazzo saranno mai 'sti geni. Le biografie dei più grandi scrittori di tutti i tempi sono istruttive in proposito: si trattava perlopiù di personaggi decisamente strani, che facevano la fame pur di coltivare il loro sogno di scrittura. Molti crepavano senza vedere coi loro occhi una sola critica positiva ai loro libri. Poi da morti, magicamente venivano beatificati. Non dal papa, ma da quegli stessi palloni gonfiati che li avevano stroncati quand'erano vivi e che gli avevano fatto patire le pene dell'inferno. Ma che vi sto a raccontare. Queste sono cose che voi già saprete, miei cari lettori. Che gran tristezza. La vita è adesso! Ieri è già passato. Domani boh? Il domani quello, beh, lo sappiamo tutti è un'incognita, un gigantesco punto di domanda. Ne sapeva qualcosa Lorenzo De' Medici che nella sua stracitata poesia carnascialesca ha lasciato scritto: "Chi vuol essere lieto sia di doman non v'è certezza"... Poesie a parte, la vita non è poesia. È quanto di più lontano ci possa essere alla visione che hanno i poeti del mondo. Questi, infatti, sono degli spiantati, però una cosa è certa: pensano davvero quello che dicono, peccato solo che dicano un mucchio di cretinate. O meglio: tali sembrano alla stragrande maggioranza della gente che non possiede il loro dono. La società li abortisce, non ne vuole sapere ed è arrivata addirittura a cancellarne le tracce. Neanche li pubblicano più i libri di poesia. Ci manca solo che il WWF metta i poeti come specie protetta, dato che sono ormai in via d'estinzione. Io ho un amico poeta, si chiama Delfino. Scrive poesie ed è pure bravo, però alla gente non importa quel che ha da dire lui, poetastro, sul mondo. La gente legge con piacere l'avvincente descrizione di un pompino fatto da una quindicenne un po' zoccola. Quelle sono cose che catturano il vivo interesse della gente. Sono cose che possono diventare argomento per quei circhi umani dei talk show. Queste cose riempiono i teatri di persone che pendono dalla bocca non della ragazzina-scrittrice, chiamata solo come comparsa, ma dello psicologo di turno che racconta alla platea plagiata il degrado morale in cui sono incappati i nostri figli. Queste persone vogliono sentirsi dire che era meglio ai loro tempi: quando non c'erano né internet né i cellulari né quant'altro. Insomma la solita minestra riscaldata. Sono stufo, anzi arcistufo. È tempo che mi congeda da voi, fedeli lettori. Lasciatemi dire però – questo vi prometto è l'ultimo della serie – una cosa ancora, la cosa più sincera che io possa dirvi – che fa riferimento alla mia esperienza di vita vissuta: non c'è trippa per gatti... ma per i cani sì!

23.11.07

La nascita del Partito Democratico

di Marco Apolloni

Una nuova creatura è stata partorita in quel “variegato” universo politico nazionale. Si chiama Partito Democratico, ma dagli amici si fa già chiamare con la sigla abbreviata PD. Il traghettatore, il Caronte di turno, che avrà il compito di condurre quella risma di politici dannati e litigiosi lungo le acque sulfuree dello Stige infernale, è nientemeno che Walter Veltroni.
Sì, proprio lui, quello che lo spietato vignettista Forattini raffigura come una macchietta con il corpo di larva e una faccia floscia, con l'inconfondibile neo alla Cindy Crawford in rilievo. L'immagine veltroniana consegnataci dal tratto del celebre vignettista non gli rende certamente onore. Anche se in quanto ad avvenenza questi non può decisamente competere con i suoi due colleghi “piacioni” Rutelli e Casini. Se non altro si tratta di un politico purosangue, a trecentosessanta gradi, che svetta sugli altri per cultura e umanità. Scrittore da un lato e terzomondista convinto dall'altro, Veltroni incarna il “volto nuovo” della politica italiana.
Il suo lato umano – anche se dovremmo dir meglio “umanitario” – merita una particolare menzione. Un politico con l'Africa nel cuore, questo è Veltroni; ossia uno con un occhio di riguardo per gli emarginati della terra, persuaso che le loro sfortune presto o tardi finiranno con il riversarsi sciaguratamente su di noi e che, quindi, prima ci occuperemo delle loro piaghe sanguinanti e prima cureremo anche le nostre – tra cui su tutte: una selvaggia quanto sfrenata immigrazione. Perché dare un aiuto a queste persone nella loro terra madre, può voler dire non ritrovarsele dietro la porta di casa a elemosinare disperate la nostra carità, che a noi non costa nulla o quasi mentre a loro garantisce un pasto caldo per tirare a campare...
A questo proposito, naturalmente, ha qualcosa da ridire il líder máximo della Casa delle Libertà, che sorride all'idea che Veltroni rappresenti la “novità assoluta” della politica italiana. Di sicuro Veltroni non è politicamente “vergine” e vanta senza dubbio una non indifferente esperienza politica sin da quando, poco più che ventenne, entrò a far parte del consiglio comunale della sua città natale. Se non altro, però, di lui possiamo dire che sia “il più giovane fra i più esperti” e fidatevi che in tempi di magra come i nostri e – quel che è peggio – in un Paese come il nostro, abituato all'egemonia politica degli ultra-settantenni, non è poco. Quando si dice, infatti, che occorre fare largo ai giovani, di solito si fa del qualunquismo spicciolo. Parola di giovane, ve lo garantisco. Molto spesso giovane è sinonimo di sprovveduto, quindi occorre sì una maggiore partecipazione dei giovani in ambito politico, però essi vanno disciplinati da gente più svezzata e abituata ai compromessi o agli intrighi di palazzo di cui è fatta da sempre la politica.
Cinquantenni come Veltroni – dunque neanche troppo vecchi – forse sono il “segno” che i tempi stanno cambiando e cioè che si sta avvertendo, con crescente persistenza, l'esigenza di dare maggiore credibilità alla nostra “malridotta” politica nazionale. Specialmente in un momento come questo, talmente delicato, in cui tanto si discute di quell'aberrante fenomeno chiamato anti-politica (ben peggiore di quel male, la politica, di cui pretende di essere la cura) e dove i “grillomani” di tutta Italia si danno appuntamento in mezzo alle piazze, gettando il nostro Paese nel caos più totale.
Certo, Veltroni non è senz'altro un volto nuovissimo ma perlomeno è fresco. Ha il volto di chi non ha ancora commesso grossi sbagli e a cui, pertanto, dobbiamo concedere il privilegio di sbagliare, purché lo faccia in buona fede. Partendo dallo sconsolato assunto che chi fa politica deve – in una certa misura – sporcarsi un po' le mani, auguriamo sinceramente al nuovo leader del Partito Democratico di sporcarsele ma di ricordarsi ogni tanto di sciacquarsele, per lavar via la sporcizia...

5.10.07

Immigrazione = Integrazione

di Marco Apolloni

Integrarsi significa mescolarsi. L'integrazione per poter funzionare dev'essere somministrata in pillole e occorre dare tempo e modo ai nostri organismi di poterla assimilare. Innanzitutto dobbiamo partire dalla brutale e spietata considerazione che, dolenti o nolenti, l'integrazione avverrà per inerzia. Ad esempio: un pakistano – venuto a vivere in Italia – è logico e consequenziale che dopo un po', avendo preso in affitto una casa e disponendo di un lavoro stabile, non tarderà a trapiantare i suoi cari dalla madrepatria alla nuova patria, la quale promette – anche se difficilmente mantiene – allettanti prospettive. Perciò tanto vale far incentivare e canalizzare il flusso immigratorio dall'unico organo saggiamente preposto, lo Stato, il cui compito è quello di mescolare il più possibile le proprie componenti etniche interne. In tal modo si può scongiurare, nei limiti del possibile, la creazione di eventuali ghetti o per meglio dire di minoranze socio-linguistico-religiose all'interno del proprio territorio. Nonostante siamo quasi tutti allergici alle imposizioni, è nostro preciso dovere civico quello di sottostare alla potestà del nostro Stato, il quale deve imporre – dall'alto della sua autorità – ciò che ritiene più opportuno e consono al raggiungimento del bene comune. E, malgrado ciò che si può dire, una società multi-etnica se ben amalgamata, senza inutili ostracismi, è precisamente il massimo dei beni possibili. Prendiamo a modello due esempi difficili e per certi versi entrambi assai problematici d'integrazione. (Del resto, una società senza problematiche interne dovrebbe essere per forza di cose una società utopica, perfettamente irrealizzabile e ben lungi da quelle che sono le nostre attuali prerogative.) Ci riferiamo agli esempi di due gloriose e antiche nazioni, quali la Francia e l'Inghilterra, i cui passati coloniali le hanno entrambe condannate a dover ammortizzare dei selvaggi e implacabili flussi migratori dalle loro “ex” o ancora “attuali” colonie.
In Francia la lunga querelle che ha visto protagonista il famigerato e tanto politicamente scorretto velo islamico è stata usata come pretesto per rivendicare la laicità dello Stato – di chiara ispirazione giacobina – di cui i francesi, a loro maggior gloria, rimangono i precursori – vedi alla voce Rivoluzione francese e consimili. Se vietare il suddetto velo nei luoghi pubblici – scuole, tribunali e altre sedi burocratiche – sia stata una brillante idea oppure no questo non lo sapremo mai di preciso. Quel che sappiamo già, però, è che i focolai di rivolta scoppiati nelle banlieues parigine e di mezza Francia non sono di certo dei segnali incoraggianti a tal proposito. Ampie fasce della popolazione cittadina si vedono emarginate e relegate in sordidi quartieri, squallidi e degradati, somiglianti in tutto e per tutto a dei “ghetti”. Dunque parlare di un modello d'integrazione alla francese ci sembra quanto meno improprio o, in ogni caso, non certamente di buon auspicio.
E si può definire altrettanto poco appropriato uno speculare modello d'integrazione inglese. Gli attentati terroristici avvenuti il 7 luglio 2005 ne sono un'evidente riprova. Infatti essi sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso: in un paese come l'Inghilterra, dove l'immigrazione viene vissuta con un misto d'indifferenza e di flemma britannica, della serie: “Abbiamo troppa immigrazione, be' pazienza, questo è il prezzo che dobbiamo pagare per fare dei buoni affari...”. Chissà però se il popolo inglese – tanto per intenderci, quello che di solito prende la metropolitana o l'autobus per andare a lavoro – la pensa allo stesso modo degli insigni Ministri di Sua Maestà, i quali ritengono accettabili i rischi di attentati purché non si mandi a rotoli una proficua partnership con i cugini americani e i quali – inoltre – sono soliti essere accompagnati al lavoro da portentose scorte con tanto di autoblindate a disposizione.
Il quadro sconfortante che ne emerge è che sia la Francia – tradizionalmente progressista (nonostante Sarkozy o i gaullisti come lui di fresca estrazione) – che l'Inghilterra – altresì tradizionalmente conservatrice (malgrado Blair e il suo collie scozzese Gordon Brown) – presentano due modelli d'immigrazione piuttosto fallimentari. Dunque, in un paese come il nostro, di per sé già sufficientemente complesso e non ancora pienamente toccato dai fenomeni dell'immigrazione – le “bagnarole” dei clandestini toccano sì le nostre coste ma di solito quelli che vi sono a bordo sono diretti da tutt'altra parte: Germania, Spagna, Francia o Inghilterra –, sarebbe meglio riconsiderare in un'altra ottica le precedenti esperienze francesi e inglesi in materia d'immigrazione. Per adesso almeno la miglior cosa che possono fare in proposito i nostri governanti è sensibilizzare larghe fasce della popolazione, altrimenti ostili o intolleranti verso il “diverso” – del resto che cos'è la xenofobia se non la paura di chi ha un aspetto “diverso dal nostro”, anche se magari in fondo al suo cuore è governato dalle nostre precise ed identiche pulsioni, «umane troppo umane» verrebbe da dire con Nietzsche. Credere infatti che l'accettazione e conseguente assimilazione delle minoranze etniche all'interno della propria popolazione sia un fattore che vada regolato partendo dal basso, cioè dai singoli cittadini, è un'assoluta follia: sarebbe come ostinarsi a credere ancora, alle renne, ai folletti e a Babbo Natale. Un'iniziativa come l'integrazione può essere regolata unicamente partendo dall'alto, ovvero dallo Stato stesso, che deve sapersi imporre per evitare una altrimenti inevitabile ondata d'intolleranza razziale.
Da che mondo è mondo, l'essere umano è una creatura abitudinaria. Toglietegli le sue abitudini e lui con tutta probabilità impazzirà. Dunque è illecito pensare che i singoli cittadini siano in grado di promuovere iniziative d'integrazione quando queste possono minacciare – anche solo teoricamente – le loro abitudini ben consolidate. A tal proposito ribadiamo che lo Stato e solo lo Stato può essere il sommo Regolatore dei delicati e complicati meccanismi d'integrazione, proponendo iniziative valide e concrete esso deve andare incontro sia alle esigenze dei nativi che a quelle dei migranti. Per partire con il piede giusto esso dovrebbe innanzitutto mescolare i suoi cittadini. Il suo motto dovrebbe diventare perciò: Mescolatevi per non soccombere! Già, perché se non ci sarà un serio rimescolamento delle parti in causa, se i figli dei nativi e i figli dei migranti non cresceranno spalla a spalla sugli stessi banchi di scuola, organizzazioni terroristiche parastatali potrebbero infiltrarsi capillarmente nei nostri tranquilli borghi di provincia – vedi quanto è avvenuto recentemente nella placida e pacifica Umbria, dov'è stata sgominata un'insospettabile cellula del terrore – e finire con l'avere il sopravvento. Preghiamo dunque per i nostri figli che ciò non avvenga mai, ma intanto cominciamo a prendere coscienza dell'entità del problema...

1.10.07

Uccellaccio

di Marco Apolloni

Oggi ho incontrato un Uccellaccio. Aveva occhi acquosi, espressione ebete, voce roca, aria candida – manco fosse un pulcino spennacchiato. Come se si trattasse di una roba da niente dopo due secondi nemmeno che avevamo attaccato bottone, eccolo annunciarmi solenne che l'Ora è vicina e che, quindi, bisogna prepararci. «Tutti moriremo!» mi ha detto con tono profetico. “Sai che scoperta!” mi sono detto. Era un volontario, soccorritore degli ammalati, anche se più che soccorrerli a me pareva avvilirli con le sue prediche da quattro soldi. I suoi discorsi avevano quel tanfo sepolcrale di chi si sente già spacciato e mi facevano venire il voltastomaco, tanto abietto disprezzo della vita rivelavano. Quest'uomo, buon diavolo – per carità –, mi ha suscitato una riflessione sull'essenza della religione cristiana che è la morte! Di nessuna religione, infatti, come di quella cristiana si può dire che sia tanto nemica giurata della vita e di tutto ciò che è esaltazione della stessa. Uomini siffatti mi fanno comprendere come Nietzsche sia potuto arrivare al colmo dell'esasperazione, fino a scrivere un'opera tanto controversa quanto incompresa come L'anticristo. Sentirsi morti anzitempo, questo è il tratto distintivo che accomuna simile gente credula. Un perenne sentore di morte, che è sempre dietro l'angolo e improvvisa ti può colpire, accompagna il loro cammino terreno e avvolge come un alone nefando costoro. Solo ora mi capacito come Augusto, mio nonno, poco prima di morire abbia manifestato il volere di non ricevere un funerale secondo il rito cristiano, dimostrando così una rara e invidiabile condizione di beatitudine interiore – che solo agli atei come lui è concessa, in pace con la loro coscienza, sapendo che non dovranno affrontare le pene dell'inferno ma semmai un sonno senza sogni alla maniera socratica. Alle petulanti parole di quel chierichetto mancato, mio triste interlocutore, avrei voluto rispondere con le parole del giovane Guevara: «Bisogna combattere per ogni respiro e mandare la morte all'inferno!» dette ad una ragazza lebbrosa per incitarla a combattere per la propria esistenza – aforisma che potete trovare ne I diari della motocicletta, opera cinematografica sulla gioventù dell'eroe argentino. Tuttavia per buona educazione ho taciuto. Oltretutto, mettendo da parte ciò che penso io – misera e insignificante creatura –, ritengo un atto poco nobile e perlopiù da stolti quello di azzittire poveri cristi come lui, che perlomeno credono in qualcosa e sono pur sempre migliori di chi non crede in niente – anche se il niente per alcuni rimane pur sempre un appiglio e, volendo, pure una religione. Togliergli questa magra consolazione – del resto a che servono le religioni se non a consolare? – credo avrebbe dimostrato da parte mia un'imperdonabile insensibilità. Secondo me ognuno dovrebbe credere in ciò che vuole. Ciononostante non posso proprio soffrire i predicatori della Fine dei Tempi. Il Medioevo ormai è passato da un pezzo e se simili profezie catastrofiche potevano andar bene all'età della peste bubbonica, al giorno d'oggi paiono un tantino delle esagerazioni: basta che piova due giorni di fila che ecco sentire, le solite cornacchie, annunciare ai quattro venti il Diluvio Universale. Vorrei tanto sapere cosa gli passa per la testa a costoro. Fra l'altro ne conosco due o tre di questi, ve li raccomando. Li incontro sempre in banca un giorno sì e l'altro pure, chissà che non tengano tanto ai loro conti bancari per assicurarsi un hotel a cinque stelle in paradiso – anche se dubito fortemente che da quelle parti accettino pagamenti con le loro Visa o Mastercard... Quel che dico io è che se dovrà esserci un Giorno del Giudizio ben venga e chi ha la coscienza a posto, indipendentemente da quante volte si è confessato in vita sua – il confessionale rimane il più efficace strumento di controllo dei pastori sulle vite del gregge –, non ha di che preoccuparsi. Badino piuttosto a preoccuparsi di chi si va a confessare, però intanto scioglie bambini nell'acido... Poi tutte quelle profezie – profezie qua, là, su e giù –, mi sembrano tanto roba da ebreucci. Mi va bene che alle profezie ci credano loro, ma da qui a tentare di infinocchiare anche me, questo – se permettete – proprio non lo tollero. Sapete sono anch'io un credente, seppur un tantino anti-convenzionale ed eccentrico. Al momento, però, non me la sento ancora di dire in che cosa credo: ora come ora, posso solo dire che credo sia una pessima idea non credere, tutto qua. La fede, se non altro, riempie i cuori di speranza. E io, proprio non ci rinuncio a vivere senza speranza: è il mio ossigeno, è la mia linfa vitale, è respiro cosmico per me! Spero e questo mi basta...

7.5.07

La vita è come un film

di Marco Apolloni

Un gran bell'aspetto di essere studenti consiste nella lentezza. È come se il proprio tempo interiore fosse diverso da quello altrui esteriore. È come se avessimo le tasche piene di banconote fruscianti. Peccato solo che non ti renda conto con quale facilità le tue tasche facciano in tempo a svuotarsi tutte in una volta! La metafora del denaro è molto vicina a quella del tempo – ne sapeva qualcosa lo statista americano Benjamin Franklin, che coniò la felice espressione: “Il tempo è denaro!”. Infatti sia il tempo che il denaro sono due risorse, malgrado tutto, limitate. Volendo coniare un'appropriata definizione: i tuoi soldi hanno i giorni contati così come i tuoi giorni. Ci resta difficile abituarci a questo graduale scollamento... Diamine, uno non finisce mai di abituarsi all'idea che presto o tardi dovrà crepare!
C'è un magnifico film, Blade Runner - tratto dal romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick -, in cui il protagonista è un androide al quale è stata appiccicata dai suoi costruttori una data precisa di scadenza – manco si trattasse di un cartone di latte. La pellicola ci mostra come questi faccia di tutto per opporsi alla sua ingloriosa sorte. Nel finale il povero androide ormai prossimo al suo spegnimento, pronuncia una battuta carica di struggimento: “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare... Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire...”. Nei suoi finti occhi robotici, mentre blatera queste ultime parole, è come se una nube temporalesca squarciasse il velo dell'effimero, facendogli gettare finalmente la maschera. È un po' come se nel suo ultimo proponimento manifestasse il suo estremo attaccamento alla vita, per lui ormai giunta al termine. Il meccanismo innescato dalla vicenda filmica è stato semplicemente quello della tragedia. Essa, tra l'altro, ci ha ben mostrato - nella finzione della "scatola magica" del cinema - come ogni umana ribellione finisca pur sempre in una tragica rassegnazione. La ricchissima mitologia greca ci ha propinato racconti epici memorabili come quello dei Titani, i quali vollero scalzare dall'Olimpo i loro padri usurpatori, ottenendo come ricompensa di essere frantumati in minuscole particelle - che andarono poi a generare la nostra stirpe umana. Un altro mito cristiano, di sicuro ben più noto del suo equivalente greco, fu quello di Adamo ed Eva. Essi vollero a tutti i costi assaggiare i frutti dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male, così da scoprire i segreti del Padre celeste. Conoscenza, questa, che fu la loro rovina, scatenando dapprima la collera divina e poi anche, per reazione, il castigo divino. Tradotto in termini concreti: la loro curiosità divoratrice fu la causa del “peccato originale”, che segnò irrefutabilmente il mortale fato umano, oltre a condannare l'uomo alla fatica dei campi e la donna al travaglio del parto.
Tutto ciò sta appunto a testimoniare come l'inizio di ogni agire umano si fondi in primissima battuta sulla ribellione, che si esaurisce con il ristabilimento delle opportune gerarchie da parte della divinità primigenia. Ed è così che s'innesca il complesso meccanismo della tragedia, che contraddistingue ciascuna vicenda umana. L'unico rimedio o palliativo è per noi una tacita accettazione - che, badate bene, non coincide con rassegnazione. Beh, io mi trovo a quel punto della vita in cui una persona deve attuare tale accettazione e questo vuol dire: lasciarsi andare in balia della vita e di tutto ciò che ne consegue, bello o brutto che sia. L'unica nostra consolazione potrebbe essere che tutto quel che di bello noi viviamo, non farà che aiutarci a sopportare meglio tutto quel che di brutto ci attende. Il segreto, per non avvilirsi troppo, sta nella spensieratezza. Più si rimane spensierati e più ci si mantiene vivi, questo significa che si conserva intatta la propria serenità d'animo: unica sorgente rinfrescante di vita, poiché allontana lo spettro inesorabile della falce calata sopra le nostre teste. D'altronde occorrerebbe convenire con Epicuro, almeno in questo: quando c'è la vita non c'è la morte e quando c'è la morte invece non c'è la vita, dunque perché preoccuparsi tanto? Ribadisco: perché preoccuparsi tanto? Ai posteri l'ardua sentenza...

5.5.07

Confessioni di un animatore pentito

di Marco Apolloni


Le vicende qui narrate non sono autobiografiche. Vige la finzione letteraria. I personaggi del racconto sono frutto di pura fantasia.

Da tempo ho smesso di fidarmi delle apparenze esteriori. A cavallo dei miei vent'anni mi è capitato di passare alcune stagioni estive nei villaggi turistici, dove ne ho viste di cotte e di crude. Niente di quello a cui ho assistito mi ha edificato. Tutto ciò che è esagerazione lo reputo contrario alla mia natura mite ed equilibrata. Anche se per certi versi la penso un po' come l'apostolo Paolo, ossia credo sia giusto farsi tutto con tutti – pur rimanendo sempre entro certi limiti. In questi presunti paradisi per vacanzieri ho assistito all'impoverimento dei rapporti umani – altro che rapporti divini! Questi oramai sono diventati pressoché impalpabili: ci si sfiora, senza più toccarsi veramente. Se non altro, però, questa cosa mi ha dato di che riflettere. Trovo un ottimo esperimento sociologico, infatti, quello d'indagare a fondo le motivazioni che portano mandrie di ragazze scalmanate a cedere così facilmente al fascino-della-divisa, sia questa dell’animatore, del marinaio, del poliziotto, e chi più ne ha più ne metta. Forse perché, cerco d'immaginare, facendo le santarelline in città – evidentemente intrappolate in convenzioni fin troppo rigide –, fuori di casa esse si sentono finalmente sgravate da qualsivoglia preoccupazione e quindi libere di aprire le loro cosce a piacimento, senza sforzarsi di reprimere inutilmente delle normali pulsioni carnali. Lo stesso discorso vale per i ragazzi, anche se ai giorni nostri più che di sesso sfrenato nel loro caso dovremmo parlare di sesso problematico, con tutti gli inghippi che si devono prevedere – tipo il doversi infilare scomodi e appiccicosi vestitini pure mezzi striminziti, vedi alla voce “goldoni” – onde scongiurare spiacevoli contrattempi: tipo gravidanze indesiderate oppure innominabili ma, comunque sia, temibili malattie veneree…
Già perché nel settore specifico della sveltina – ovvero della modalità sessuale: “mordi e fuggi” – si sta avendo sempre più un grosso calo, perlomeno a livello giovanile. Infatti sempre più ragazzi incontrano molteplici difficoltà nell’avere un rapporto sessuale degno di questo nome e perciò si accontentano di tristi surrogati, quali nella migliore delle ipotesi roba tipo la fellatio e nella peggiore invece – perlomeno, la più solitaria – l’auto-erotismo. Alla fine il risultato è giovani-segaioli-crescono! Mentre le povere adolescenti si trovano pertanto costrette ad affidarsi a sedicenti professionisti del settore – quali gigolò da strapazzo, vedi alla voce “animatori” o a seconda dei casi “ri-animatori”. Essi, in realtà, non sono altro che libertini sfaccendati – né carne né pesce, senza arte né parte – i quali si sacrificano volentieri per la causa, inneggiando a sessantottine libertà sessuali e deflorando le vogliose “vergini folli” della situazione. Non trovo miglior aggettivo per descrivere questi stravaganti esemplari della razza mascolina di questo: mi sembrano gli orsi grizzly, che d’estate si fanno una bella scorpacciata di sesso leccandosi i baffi spalmati di miele, mentre d’inverno si mantengono sessualmente attivi mediante riserve letargiche frutto delle loro conquiste estive. (Parlo per esperienza personale, dato che anch'io ho fatto parte della “poco nobile” categoria...) Non a caso nei villaggi, dove essi lavorano, il peccato regna sovrano e all’ordine del giorno vi sono le cosiddette “batterie” – ovvero lussuriose abbuffate di sesso – in perfetto stile kubrickiano Eyes Wide Shut. Oltretutto, si dà il caso che in tali eccezionali luoghi di protervia, si possono incontrare delle fresche coppiette, che durante la loro romantica luna di miele si cornificano a vicenda, come se fosse la cosa più naturale, rispettivamente: con l’animatore e l’animatrice di turno. Per fortuna esistono ancora delle coppiette di diverso genere, che preferiscono passare più tempo ad assicurarsi la loro progenie, piuttosto che cedere miseramente al fascino di questi debosciati. Le più disgustose esemplari d’immoralità (che posso dire di aver visto all'opera – e che opera ...) sono state senz’altro certe giovani mammine, apparentemente puritane, ma che non disdegnavano affatto lasciarsi “ricoprire di attenzioni” (di solito nei cessi-tuguri oppure in ripostigli-topaie annessi alla discoteca) da dee-jay privi di scrupoli, nonché re-del-pollaio-dance. Una volta finiti i loro “servizietti”, tali materne-meretrici ritornavano con incrollabile nonchalance dai loro figli e mariti, con quelle loro avide boccucce peccaminose. Un vero inno all'infedeltà coniugale, non c'è che dire. A distanza di anni, stento ancor oggi a credere alle “scornate” indimenticabili a cui ho assistito incredulo, della serie: cervi a primavera

5.12.06

Scorci di vita (aforismi, aneddoti e altro ancora)

di Marco Apolloni

Non è facile incontrare dei tipi poetici, tipi beat, tipi selvaggiamente rock & roll come Anaconda. Pur appartenendo ad un’altra generazione, lui non era poi così diverso dagli altri tipi della mia generazione. Del resto tutte le generazioni inseguono le stesse speranze, le stesse illusioni e le stesse vanità. Tutte le volte che ho avuto la fortuna di incontrare persone come lui, con le quali sentivo di viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda, allora sì che mi sono sentito un po’ meno solo. In fondo credo abbiamo tutti un unico dovere: quello di farci compagnia a vicenda, avvertendo così un po' meno la dura asprezza di questo mondo, altrimenti fin troppo arido da sopportare. Tanti muscoli uniti a tanti buoni sentimenti facevano di Anaconda un buon diavolo. Per non parlare di quella sua aria tragica e malinconica, tutta squisitamente argentina, che ti trasmetteva al contempo la passione infinita e la struggente bellezza della sua terra ammaliante...
Nei gruppi rock che hanno composto la colonna sonora della mia vita, posti di tutto rispetto li occupano due gruppi che mi ha fatto conoscere lui: The Cult e The White Snake. E di questo gliene sarò sempre grato. Una vita senza musica mancherebbe di quel pizzico di nostalgia indispensabile per ricordarsi i momenti più belli del proprio passato. Poiché chi non riesce a lasciarsi trasportare sulle ali del ricordo - ascoltando della buona musica - è come se non avesse mai vissuto. Infatti, cos'è la vita di un uomo se non uno sterminato disco che va riempito giorno per giorno?
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Sono molto occupato per potermi dire libero.

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La conoscenza è salvezza!

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È il mistero che ci spinge a conoscere e il mistero di tutti i misteri è che non c'è nessun mistero.

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Come si fa a non credere in Dio, dico io, contemplando le sette bellezze di un cielo estivo: c'è da perdersi in tutto quell'azzurro sconfinato.

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Un vero amico loda in segreto e rimprovera in privato.

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Una volta in treno ho incontrato un vecchio. Era pieno di rughe e il fatto che in ognuna delle sue rughe vi fosse impressa la storia della sua vita mi elettrizzò tutto. Lì per lì il mio primo pensiero fu: chissà che razza di vita avrà mai vissuto un uomo di tale tempra. Chissà… So soltanto che mi sembrò proprio quel tipo d’uomo che ne aveva viste tante nel corso della sua turbolenta esistenza. Dietro ad ogni centimetro della sua pelle raggrinzita vi si leggeva qualche risvolto della sua vita. Datemi retta, la prossima volta che vi capiterà d'incrociare il vostro sguardo con quello di un vecchio: provate a leggervi dentro tutta la storia dell'umanità.

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Si muore una volta sola, per fortuna.

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Generalmente, più si è padroni e meno si è signori.

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Non lasciatevi ingannare dal mio cognome: Apolloni... Poiché il mio spirito è tutt'altro che apollineo. In me prevale il dionisiaco.

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Preferisco rivestire l’anima di libri che il corpo d'indumenti.

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Si possono dire molte più cose con un solo bacio che con mille parole.

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La bellezza non ha bisogno di giustificazioni. Qualunque bellezza si giustifica da sé!

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Preferisco il sublime al bello. Che cos’è il sublime, vi domanderete? Beh, il sublime è lo scintillio baluginante delle cose, la perla preziosa che si cela dietro ognuna di esse, quel che ci fa apprezzare l’essenza

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L'artista è colui che riesce a racchiudere il mondo in una scintilla.

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Nietzsche, checché se ne dica, è stato il primo nazista della storia, ancor prima che venisse alla luce il nazismo stesso. Chi vuole andare oltre alla morale stabilita conduce l'uomo verso il baratro della violenza, che è all'ordine del giorno fra le bestie feroci. Siccome noi siamo uomini e non creature ferine, dopo una rilettura più attenta delle opere nietzschiane – andando oltre ad una prima spontanea adesione ad un pensiero, indubbiamente fra i più "esplosivi" mai concepiti – non possiamo non renderci conto che abbiamo bisogno della morale così come della politica, nonostante le limitazioni e gli arbitri da esse perpetrati. Questo per tenere unita la nostra già di per sé frammentata civiltà. Come diceva Kant: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me! Così sia...

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Per spezzare la catena della violenza il solo modo efficace è compiere un’azione sovrumana, reagendo perciò non violentemente alla violenza subita. Dicasi: “resistenza attiva”.

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Non decidiamo noi cosa essere, lo siamo e basta.

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“Tu vuoi mettere insieme il cazzo e il padre nostro, ecco quel che vuoi fare figliolo mio. Tu capisci, non è mica facile...”. Questa è stata la risposta che ha dato un parroco di provincia ad un mio amico, dopo che quest'ultimo gli aveva azzardato un parallelo tra il Partito comunista e la Chiesa cattolica.

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Siamo tutti ribelli nella misura in cui siamo tutti capaci di indignarci.

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I filosofi sono necessari alla stirpe umana, poiché altrimenti tutto sarebbe già svelato e nessuno quindi si prenderebbe più la briga di svelarlo.

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Il miglior metodo è non averne alcuno. Ciò significa fregarsene altamente delle convenzioni, stipulate solo per contenere entro certi limiti quel che è altresì incontenibile: lo spirito… Bisogna distinguere infatti uno scienziato da un creativo – geni, questi, entrambi indispensabili al genere umano –, poiché: se il primo necessita di “un metodo”, il secondo invece necessita di distruggere “il metodo”! L’uno si dà delle regole precise da rispettare, l’altro si dà delle regole altrettanto precise da infrangere.
L’anticonformismo – ossia quell’insofferenza congenita di chi non riesce a farsi vincolare dalle convenzioni – è il tratto distintivo di ciascun creativo. Il creativo, in realtà, deve e vuole andare al di là dei bastioni di Orione e creare mondi verosimili laddove questo mondo non è più sufficiente, in quanto troppo grigio oppure troppo ristretto. Emblematica, a tal proposito, è una scena del film L’attimo fuggente, in cui il professor Keating invita i suoi allievi a stracciare alcune pagine del loro libro di letteratura, scritte da un critico che ha l'assurda pretesa di spiegare l’universo composito della poesia con una serie di diagrammi matematici. Questo a voler dire che: tutto ciò che è poesia, infatti, esula la fredda e asettica ragione...

6.10.06

Allucinazioni psichedeliche - Seconda parte

di Marco Apolloni

In questa landa desolata che è mondo, il massimo che ci si può augurare è d’incontrare una persona che ci faccia meglio sopportare le nostre profonde solitudini.

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Chi non fa del proprio lavoro il migliore dei lavori possibili è meglio che si suicidi: poiché solo così riuscirebbe a soffrir di meno.

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Nessun vincitore crede di aver vinto a caso, mentre tutti gli sconfitti credono di esser stati vittime di una qualche sciagurata casualità.

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Tutti abbiamo ragione, tranne quando abbiamo torto.

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Il mio aggettivo preferito è imprescindibile; lo devo ad una poesia di Bertolt Brecht intitolata proprio Gli imprescindibili.

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C’è sempre un perché dietro ogni uomo e dietro il perché di ogni uomo si cela sempre qualche pelo di… Indovinate un po’ di cosa, dai che non dovrebbe essere poi tanto difficile, vi facilito il compito. Inizia per F e finisce con… ICA!

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Ci s’inventa di tutto, all’infuori di quello che non si è. Per questo noi siamo quel che siamo, nostro malgrado.

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Non c’è niente che riesce a mettermi più di buon umore di una gran bella giornata di Sole. Qui ad Urbino si respira l’aria profumata del Rinascimento italiano e proprio per questo, come dice la parola stessa, è un po’ come se si rinascesse davvero. Dico sul serio: provare per credere. Ecco perché credo che una bella giornata di Sole sia il balsamo migliore per la nostra anima sbrindellata.

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La nostra vita si snoda lungo due binari: uno pertinente alla sfera esteriore e un altro, invece, a quella interiore. Più questi due binari scorrono paralleli senza mai incontrarsi e più si ha la possibilità di vivere una vita in pace con se stessi.

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Al massimo, possiamo accontentarci di fare un tratto di strada insieme ma poi, però, tutti quanti - nessuno escluso - dobbiamo separarci, una volta che ognuno avrà trovato la propria di strada.

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Fateci caso, quando si è troppo tristi, o si finisce con il riderne di gusto oppure si fa la fine del cantante degli INXS, e cioè: ci s'impicca in qualche lurido motel di un altrettanto lurida metropoli moderna. L'alienazione, ovvero l'estraniazione nei confronti di questa società mercificata e meccanizzata, è la causa principale di queste morti auto-procurate.

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I miei parti migliori li ho sempre avuti seduto sulla tazza del cesso. D’altronde come mi ha detto una volta un mio amico: “La tazza del cesso è l’alcova del pensiero”. Mai parole furono più sacrosante!

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Per un animatore i villaggi turistici sono un vero toccasana. Lì è tutto più facile con le ragazze, sono quasi sempre loro a venirti in cerca e per com’è fatta la maggior parte dei ragazzi – a cui non va tanto di penare con le ragazze – è davvero il massimo che si può chiedere dalla vita. Tanto si sa, non ci son santi che tengano per queste cose, si può pure avere l’animo di un monaco tibetano ma quando "ti tira" c’è ben poco da fare.

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Il morto di fica è uguale all’asino d’oro della favola di Apuleio, che va con chi gli capita pur di poter fornicare. Esso simboleggia il piccolo uomo, meschino e abietto, che si accontenta di tutto pur di scopacchiare, invece che di scopare come si deve.

5.10.06

Allucinazioni psichedeliche - Prima parte

di Marco Apolloni

La felicità è un stato d’animo contagioso, che t’invade letteralmente lo spirito e per questo: proprio perché si è felici, si è pure contagiosi. C’è differenza, però, tra felicità e beatitudine: chi è felice rimane comunque schiavo dei bisogni, mentre chi è beato non sente nemmeno la necessità di soddisfare tali bisogni.

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L’arte è incertezza, o meglio: è il regno dell’indefinibile vaghezza.

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Autocoscienza vuol dire "consapevolezza di sé".

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Il peccato è il più delizioso dei rimorsi.

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Poche lezioni e molte folgorazioni, questi sono a mio parere i migliori ingredienti per costruirsi una solida cultura, a basso costo e, soprattutto, a basso dispendio energetico.

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È proprio vero che quando muori la gente ti fa dire quel che gli pare. Guardate quel poveretto del Papa polacco per esempio: una volta morto, manco hanno fatto in tempo a seppellirlo che già parlavano di lui come di quello che ha buttato giù il muro di Berlino, con tanto di piccozza in mano ed elmetto da muratore in testa! Mi sa che non ci conviene poi mica tanto morire, voi che ne dite? Se solo potessi, io ne farei volentieri a meno. Eppure si deve morire ogni tanto.

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Se è vero che quando due persone si amano diventano una cosa sola, allora figuriamoci cosa diventerebbe il mondo se tutti quanti ci amassimo indistintamente.

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Verità e menzogna sono i due rovesci della stessa medaglia. Ecco perché non c’è verità che non sia allo stesso tempo menzognera.

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L’Idiota di Dostoevskij sembra la mia autobiografia...

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Io farei anche la comunione. Il fatto è che sono diventato vegetariano e per questo non posso più mangiare ogni benedetta domenica il corpo di Cristo. Poi oltretutto, se ci tenete a saperlo, ‘sta storiella è pure un controsenso, dato che Cristo è l’Intelletto di Dio sceso con il battesimo su nostro signore Gesù, mediante una colomba - almeno secondo le mie reminescenze di devoto catecumeno. Quindi, che corpo e corpo di Cristo! Questa è una delle solite scuse dei preti per farsi uno spuntino ad un certo punto della messa e bersi un goccio di vinello, ve lo dico io.

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Si può fare all’amore in tutti i modi e secondando tutti i gusti, purché lo si faccia però. E ricordatevi, gente, che: “Chi non scopa, va all’inferno!”.

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Ho avuto un’intuizione: la verità è proprio un’autentica “figata”, nel vero senso della parola. L’unico che ha capito tutto è stato quel pittore, com’è che si chiama, Courbet, se non erro. Questi ha magnificamente dipinto a modo suo L’origine del mondo (in una vulva di donna, per essere esatti).

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Quando devo preparare un esame sono solito barricarmi giorno e notte dentro casa per studiare. La maggior parte del tempo non studio, ma do semplicemente libero sfogo alla mia irrefrenabile creatività. La mia casa, insomma, si trasforma in un autentico quartier generale, manco fossi Winston Churchill e stessi pianificando l’Operazione Dinamo, segregato in un bunker scavato dentro le White Cliffs. Infatti lo scenario è a dir poco desolante, vi si può trovare di tutto e quando dico di “tutto” intendo dire “proprio di tutto”: fogli scribacchiati, penne mangiucchiate, matite senza punta, quaderni sbudellati, libri con chiazze sporadiche di caffè, ritagli di giornale, evidenziatori - che hanno smesso da un bel pezzo di evidenziare - e quant’altro possa servire a mente umana per partorire idee di ogni sorta, non tutte necessariamente bacate si spera. Il bordello che regna nella stanza ti fa sembrare di stare in una di quelle "case di tolleranza" che c'erano una volta. Comunque da buon nipotino di Nietzsche, non posso che dirmi amante anch'io di quel Caos primordiale, che è inestimabile fonte d’ispirazione per chi vuol generare le proprie stelle danzanti.

4.10.06

Battute folgoranti

di Marco Apolloni

Reputo quello inglese un popolo cordialmente antipatico.

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A Roma ci sono più mignotte che cartelli stradali.

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Torino, ovvero: la città italiana con la più bassa percentuale di torinesi.

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L’amore rende gli uomini migliori, la volontà di amare li rende straordinari!

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Essere felici significa non curarsi dei pregiudizi.

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Perle di saggezza di un mio amico ‘oscano. “Tu che hai rubato il cuore del mio amico, ti prego di ridarglielo al più presto oppure se tu vuoi potremmo divorarcelo insieme in un solo boccone. Cosa vuoi che sia una sana trombatina all’insegna dell'amicizia? Per un amico, si sa, si farebbe questo e altro. Ci si farebbe persino la su’ sorella e la su’ mamma, se fossero abbastanze bone...”.
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Bisogna rimanere aggrappati alla criniera del leone, se non si vuole che lo stesso ci faccia la pelle.
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A me piacciono tutte e quattro le stagioni, non a caso amo l'omonima "pizza quattro stagioni". Ogni stagione per me corrisponde a quattro diversi stati d’animo: Inverno – Attesa, Primavera – Speranza, Estate – Entusiasmo, Autunno – Malinconia.
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Siamo giovani e questo vuol dire che abbiamo il mondo nelle nostre tasche: dobbiamo solo stare attenti a non svuotarle troppo in fretta.

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Come disse un mio amico sciupafemmine: “Le donne sono sempre state la mia rovina: o troppe o troppo poche, mai una via di mezzo”.

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Il Paradiso: chi ce l’ha, ce l'ha dentro di sè.

3.10.06

Filosofia di un eretico

di Marco Apolloni


La filosofia è la più grandiosa eresia...
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Ciascuno non può fare a meno di giudicare, poiché il giudizio è parte integrante di noi. Perciò principalmente viviamo per giudicare quel che vediamo coi nostri occhi, gli altri e soprattutto noi stessi. Non a caso la Bibbia, ch’è il Libro dei libri, rimanda le sorti dell’umanità al Giudizio Universale.

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Ci pensate, una setta massonica come quella cristiana riuscì a minare nelle fondamenta per poi far affondare addirittura una colossale Atlantide imperiale, come la Roma dei Cesari, arrivando persino a volgarizzarla nella forma come anche pure nella sostanza; fino ad ottenere la degradata Roma dei Papi, roba da non crederci. Come disse Dostoevskij, il Papato romano altro non è che la continuazione dell’Impero romano d’Occidente.

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Volete sapere qual è la mia opinione sulla filosofia? Ognuno può ricavarne quel che gli pare e piace. Proprio in ciò costituisce il suo bello, se non altro non ha la presunzione di spacciare per vere certe menzogne, come invece fa la religione.

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Il puro spirito è mera finzione. Non c’è niente di puro nello spirito, semmai solo l’impurità di chi lo afferma. E non ci sono creature più pure delle meretrici, che quanto meno fanno del bene. Del resto gente come Gesù di Nazareth o Simone di Samaria ci avevano visto giusto, duemila anni fa, con le loro rispettive Maria di Magdala ed Elena di Tiro.

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Chi sarà mai poi questo Dio o Zio, io proprio non lo so né mi ci arrovello il cardine per sforzarmi di conoscerlo. Poiché se è vero come raccontano alcuni che Egli è puro Nous – dal greco Intelletto – come si fa, dico io, a conoscere ciò di cui è fatta la conoscenza stessa? Semmai la sua essenza potrebbe venire colta solto mediante la nostra facoltà intuitiva. Ma l’intuizione si sa, non è dote naturale di tutti: c’è chi ce l’ha e chi no. Aveva ragione Heidegger ad affermare che chi, meglio dei poeti, può fare da tramite con il Divino!? Ci basti sapere che lassù c’è un Occhio Vivente che ci osserva, per dirlo con il mio amico Gian Giacomo Rousseau. Probabilmente Dio, ammesso che esista, come unica occupazione ha quella di osservarci e fulminarci con il suo sguardo penetrante in caso combinassimo qualche pasticcio dei nostri oppure di strizzarci l’occhio quando ne combiniamo una giusta. In ogni caso andatevi ad ascoltare la bellissima canzone Eye in the sky degli Alan Parson Project. Potreste avere una vera e propria folgorazione in proposito! Nessuno può conoscere Dio, sostengono gli gnostici, già un po’ come chi vorrebbe conoscere il Tempo, che non fa manco in tempo – perdonate il gioco di parole – a nominarlo che subito gli sgattaiola via.
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Se la Metafisica è morta insieme a Dio, allora si può sapere che diamine ci stanno a fare i filosofi? Ve lo dico io: grazie ad essi la gente s’interroga ancora sulla propria infausta condizione umana, invece che preoccuparsi unicamente a viverla. Se casomai divenissi un filosofo, mi son sempre detto, per prima cosa vorrei abrogare qualsivoglia filosofia assoluta. Per ognuno, infatti, esiste una sola filosofia: la propria! Rifacciamoci indietro, il primo filosofo occidentale Socrate – ammesso non sia solo il frutto della fertile vena letteraria platonica, come affermano alcuni – d’altronde è stato molto chiaro in questo, ossia bisogna fare della propria vita la propria filosofia. Dunque occorre vivere e filosofare insieme, alla maniera greca. In definitiva: la filosofia non è che il ripensamento della vita stessa. Infatti si fa della filosofia per rivivere la propria vita in misura tale da renderla un’esperienza davvero unica e impareggiabile.

12.9.06

Filosofia “fai da te”

di Marco Apolloni

La filosofia è la ricerca instancabile della scintilla divina che risiede in ognuno di noi…

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Gli uomini che coltivano la terra sono quelli più a stretto contatto con il Senso vero e ultimo delle cose. La saggezza di uomini siffatti è quanto mai provvidenziale per noi poveri ignoranti sgobboni dei libri…

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In un mondo pieno di finzioni come questo, tanto vale chiudere gli occhi e sognare una volta per tutte, così da risparmiarsi una bruttura dopo l’altra e vivere completamente immersi nel proprio Grande Sogno: poiché ciascuno si merita il proprio…

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Il sapere è un’essenza profumata che inebria tutti quelli che l’incontrano durante il loro cammino. Io l’ho incontrato e mi sono lasciato contagiare da esso e da quella volta in poi mi ha pervaso tutto. Provatelo anche voi, lasciatevi contaminare dalla conoscenza che riempie i cuori, slarga le anime e rimargina le ferite aperte dell’agonizzante umanità. Fate attenzione però, state alla larga da quegli uccelli del malaugurio dei preti, ciò di cui voi siete a conoscenza è la Grande Menzogna, perciò guardatevi bene da essa. La vera “gnosis” – dal greco “conoscenza” – è stata volutamente occultata, cosicché gli Arconti che dominano su questa Terra – da loro gettata nello sconforto più totale e nelle nebbie dell’insipienza – venissero beffati e fosse preservato il mistero di tutti i misteri, e cioè che non c’è nessun mistero…

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S’impara a conoscere, non per dominare bensì per non essere dominati. E per contribuire alla liberazione dell’intero genere umano. Finché vi sarà un solo uomo oppresso dal giogo dell’ignoranza, tutti noi non potremo dirci davvero liberi: poiché o vinciamo tutti insieme o non vince nessuno…

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Quando non avremo più mete, sarà perché l’abisso ci avrà risucchiati nel suo vortice sprofondante. Le mete che ci prefiggiamo sono quel che ci fornisce un buon motivo per incamminarci di buona lena lungo il Sentiero dell’Eternità…

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L’Intelletto non “lì ‘ntel letto” – celebre espressione proveniente dal mio dolce e ondulato paesello natio – , ma vuol dire per l’esattezza ciò che di più di elevato e divino vi è nella nostra mente illuminata…

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Il pensiero è il Due in Uno, ossia le due entità costituenti: il soggetto pensante e l’oggetto pensato, che si fondono in un perfetto tutt’uno fino a formare la Monade, ch’è all’origine di qualunque filosofia…

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La conoscenza funziona tale e quale come un percorso ad ostacoli, ci si arriva sempre per gradi, ammesso che ci si arrivi, e non è mica detto. Dopodichè una volta percorso per intero il tortuoso ma luminoso Sentiero, ci si dovrebbe finalmente imbattere nella sconvolgente e fausthiana rivelazione finale: A-T-T-I-M-O! Ossia: “Bisogna cogliere l’attimo, prima che l’attimo colga noi”!

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Ma chi lo dice che la matematica non è un’opinione… La matematica non è mai stata il mio forte, ho sempre dato i numeri quando si trattava di giocare coi numeri e, a dire il vero, non mi sono mai spremuto più di tanto le meningi, per risolvere degli irrilevanti problemi che m’insegnassero a ragionare, quando ho sempre ragionato più che egregiamente con la mia testa, da solo e senza bisogno di triturare la mia asettica ragione, ma magari soltanto sfruttando la mia incandescente passione. Quindi quest’oscura e incomprensibile materia, per me, è sempre stata un’opinione – checché se ne dica – e la mia di opinione è che serve a ben poco, ammesso che non si voglia diventare ingegneri o tecnici-informatici o meccanici o architetti. In fatto di numeri credo bastino le tabelline, oltre il fatto che si sappiano fare tutte le più elementari operazioni di addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione e nient’altro! Per questo ero solito ripetere, alla mia simpaticissima professoressa del liceo, una citazione di Marco Tullio Cicerone, ogni volta che dovevo consegnarle un compito in bianco: “Meglio essere nel torto coi platonici, che nella ragione coi pitagorici”! Da quella prima volta che ho letto questa frase, ne sono rimasto fulminato e Cicerone è subito diventato uno dei miei miti adolescenziali, al secondo posto solo dopo il “Che”, forse, ma neanche…

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Filosofia e poesia hanno la stessa comunione d’intenti, ma divergono per i loro procedimenti: circolare, tortuoso, intellettivo – per la prima –, lineare, prezioso, intuitivo – per la seconda…

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È possibile una verità senza volontà? Per me no, se s’intende una volontà di vivere secondo il desiderio di essere se stessi e di compiere il proprio progetto di vita: poiché una vita senza progetto è una vita che non vale la pena di essere vissuta. Infatti la vita è progetto e non potrebbe essere altrimenti, a meno che non si scelga la via più facile del suicidio, ponendo fine al problema prima del tempo…