Un gran bell'aspetto di essere studenti consiste nella lentezza. È come se il proprio tempo interiore fosse diverso da quello altrui esteriore. È come se avessimo le tasche piene di banconote fruscianti. Peccato solo che non ti renda conto con quale facilità le tue tasche facciano in tempo a svuotarsi tutte in una volta! La metafora del denaro è molto vicina a quella del tempo – ne sapeva qualcosa lo statista americano Benjamin Franklin, che coniò la felice espressione: “Il tempo è denaro!”. Infatti sia il tempo che il denaro sono due risorse, malgrado tutto, limitate. Volendo coniare un'appropriata definizione: i tuoi soldi hanno i giorni contati così come i tuoi giorni. Ci resta difficile abituarci a questo graduale scollamento... Diamine, uno non finisce mai di abituarsi all'idea che presto o tardi dovrà crepare!
C'è un magnifico film, Blade Runner - tratto dal romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick -, in cui il protagonista è un androide al quale è stata appiccicata dai suoi costruttori una data precisa di scadenza – manco si trattasse di un cartone di latte. La pellicola ci mostra come questi faccia di tutto per opporsi alla sua ingloriosa sorte. Nel finale il povero androide ormai prossimo al suo spegnimento, pronuncia una battuta carica di struggimento: “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare... Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire...”. Nei suoi finti occhi robotici, mentre blatera queste ultime parole, è come se una nube temporalesca squarciasse il velo dell'effimero, facendogli gettare finalmente la maschera. È un po' come se nel suo ultimo proponimento manifestasse il suo estremo attaccamento alla vita, per lui ormai giunta al termine. Il meccanismo innescato dalla vicenda filmica è stato semplicemente quello della tragedia. Essa, tra l'altro, ci ha ben mostrato - nella finzione della "scatola magica" del cinema - come ogni umana ribellione finisca pur sempre in una tragica rassegnazione. La ricchissima mitologia greca ci ha propinato racconti epici memorabili come quello dei Titani, i quali vollero scalzare dall'Olimpo i loro padri usurpatori, ottenendo come ricompensa di essere frantumati in minuscole particelle - che andarono poi a generare la nostra stirpe umana. Un altro mito cristiano, di sicuro ben più noto del suo equivalente greco, fu quello di Adamo ed Eva. Essi vollero a tutti i costi assaggiare i frutti dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male, così da scoprire i segreti del Padre celeste. Conoscenza, questa, che fu la loro rovina, scatenando dapprima la collera divina e poi anche, per reazione, il castigo divino. Tradotto in termini concreti: la loro curiosità divoratrice fu la causa del “peccato originale”, che segnò irrefutabilmente il mortale fato umano, oltre a condannare l'uomo alla fatica dei campi e la donna al travaglio del parto.
Tutto ciò sta appunto a testimoniare come l'inizio di ogni agire umano si fondi in primissima battuta sulla ribellione, che si esaurisce con il ristabilimento delle opportune gerarchie da parte della divinità primigenia. Ed è così che s'innesca il complesso meccanismo della tragedia, che contraddistingue ciascuna vicenda umana. L'unico rimedio o palliativo è per noi una tacita accettazione - che, badate bene, non coincide con rassegnazione. Beh, io mi trovo a quel punto della vita in cui una persona deve attuare tale accettazione e questo vuol dire: lasciarsi andare in balia della vita e di tutto ciò che ne consegue, bello o brutto che sia. L'unica nostra consolazione potrebbe essere che tutto quel che di bello noi viviamo, non farà che aiutarci a sopportare meglio tutto quel che di brutto ci attende. Il segreto, per non avvilirsi troppo, sta nella spensieratezza. Più si rimane spensierati e più ci si mantiene vivi, questo significa che si conserva intatta la propria serenità d'animo: unica sorgente rinfrescante di vita, poiché allontana lo spettro inesorabile della falce calata sopra le nostre teste. D'altronde occorrerebbe convenire con Epicuro, almeno in questo: quando c'è la vita non c'è la morte e quando c'è la morte invece non c'è la vita, dunque perché preoccuparsi tanto? Ribadisco: perché preoccuparsi tanto? Ai posteri l'ardua sentenza...
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