16.5.07

Camus, "Il primo uomo". Parla Corrado Accordino

di Silvia Del Beccaro

La compagnia capitanata da Corrado Accordino (Teatro Binario 7 di Monza) ha presentato in anteprima nazionale “Camus, il primo uomo”, una libera elaborazione drammaturgica stesa da Paolo Bignamini e Corrado Accordino. Una riscrittura, inedita, che ha scelto di tenere lo scrittore francese come punto di riferimento ideale e filosofico, raccontando una vicenda (o non-vicenda) originale, ispirata sia all’opera teatrale Il Malinteso sia all’autobiografia incompiuta Il Primo Uomo.


D - Sul palco un uomo, forse lo stesso Camus, e una donna in automobile viaggiano da un tempo indeterminato e senza apparente destinazione. Mi è parso di vedere che voi puntate molto sull’essenzialità. Dunque dire Accordino corrisponde a dire semplicità?

R- «Il nostro è un teatro artigianale, non utilizziamo macchine artificiali. Questo per due ragioni: primo, per una questione economica, di risorse che si hanno a disposizione; secondo, per una questione di gusto. Preferiamo concentrarci sul punto-forza dello spettacolo, che sia esso il testo, la scenografia, la parola o la gestualità.»

D - Ne Il primo uomo mettete in scena un viaggio che rappresenta una sorta di ritorno alle radici e all’origine della vita. Può anche essere un anticipo della morte?

R - «Il viaggio alle origini, che per noi attori sul palcoscenico significa un ritorno alle origini delle storie che raccontiamo, è l’idea di partenza. Per la riscrittura siamo partiti da un luogo noto a Camus, l’automobile, sulla quale è stato trovato morto e sulla quale è stato ritrovato il manoscritto. L’idea è quella di proseguire quel viaggio da lui interrotto. Si tratta di un ritorno alle origini a priori: l’importante è tornare indietro, risvegliare qualcosa, che sia esso un sapore, un’identità o un cambiamento avvenuto a seguito di un corto-circuito interno/esterno. È un ritorno alle origini inteso come tentativo di guardare il mondo con occhi nuovi; azzardando un po’ si potrebbe dire “con lo stupore di un bambino” .»

D - Avete giocato su un tracciato di casualità, di destini incrociati, di percorsi possibili e allo stesso tempo concreti e assurdi. E’ un tentativo di riappropriarsi del senso possibile della vita, che l’assurdo e il tragico dell’esistenza negano quotidianamente?

R - «Sì, ma non è un viaggio verso l’indefinibile bensì un viaggio attraverso la vita. E’ un percorso che dà per scontato la traccia della morte al termine di un viaggio che rappresenta la vita stessa. Ecco perché noi, per raccontare alcune storie, raccontiamo cinque esperienze di vita differenti che hanno cinque percorsi differenti, che si dirigono verso cinque differenti destinazioni, ma che culminano tutte nella morte o hanno comunque a che fare con la morte, in un modo o nell’altro.»

D - Camus è una colonna portante dell’esistenzialismo. Quali aspetti di questa corrente avete cercato di sottolineare nel vostro spettacolo?

R - «La nostra è una lente di ingrandimento su due temi fondamentali: la morte dinamica – tutti i personaggi sono morti o muoiono – e l’indifferenza. Nel primo caso non si tratta di una morte tragica, ma di una morte che ci vive perennemente intorno. Nel secondo caso, quello dell’indifferenza, abbiamo notato un doppio aspetto: uno totalmente salvifico, in quanto vivendo con indifferenza ci si astiene dall’affrontare i problemi, e uno estremamente tremendo, in quanto è triste pensare che la vita venga vissuta con indifferenza totale. Abbiamo toccato anche altri temi dell’esistenzialismo, quali possono essere la distanza o l’aderenza alla vita e il senso di responsabilità, legato comunque in qualche modo all’indifferenza.»

D – Qual è la situazione del teatro contemporaneo? Ho intervistato decine di attori negli ultimi anni e ho visto una moltitudine di commenti al riguardo, tutti però legati fra loro da un’evoluzione continua. Che ruolo associa al teatro odierno?

R - «E’ una forma di divertimento, anche se credo che vada fatta una netta distinzione. Ci sono forme di divertimento inteso come intrattenimento generico, e ci sono forme di divertimento inteso come intrattenimento di qualità. Il teatro non deve essere solo denuncia ma deve essere anche divertimento, racconto, sogno. E sta riuscendo nel suo ruolo. Forse anche a seguito di questo sta crescendo sempre più la voglia di teatro, la fame di conoscenza e la necessità di cultura. C’è un riscontro e lo sto vedendo sempre più.»

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