Che cosa ci si può aspettare da un Paese come gli Stati Uniti dove apri un conto corrente in banca e ti regalano un fucile nuovo di zecca? Come minimo due episodi tanto sciagurati quanto inevitabili come quelli accaduti nella Columbine High School del Colorado nel '99 e pochi giorni fa nel campus della Virginia Tech, rispettivamente: 12 e 32 morti, tralasciando la conta dei feriti. L'escalation di violenza e sangue nelle scuole e università americane vanta una lunga sfilza di episodi del genere, di cui i due summenzionati rappresentano giusto lo sconvolgente apice.
Un coraggioso e corpulento documentarista americano Micheal Moore – barbetta rossa pungente e immancabile cappellino da baseball –, famoso per essere diventato uno dei “nemici pubblici numeri uno” dell'attuale amministrazione statunitense, con la sua applaudita opera Bowling a Columbine (2002) ci ha consegnato il volto di un'America lacerata, con uno stato sociale pressoché inesistente – dove se stai male e non sei assicurato i medici ti lasciano intuire che puoi benissimo andare a farti fottere –, piena di paure spesso infondate – su tutte quella dell'uomo nero – e alle prese con la “caccia ai fantasmi” – vedi: terroristi dispersi fra le montagne pakistane. Moore, con il suo instancabile fiuto per la verità, in questa pellicola ci fa però capire come sia un esercizio del tutto inutile e sfiancante quello di ricercare la ragione mono-causale del perché gli americani hanno la tendenza ad uccidersi gli uni con gli altri. E di come riuscire ad impossessarsi liberamente di armi dall'elevato potenziale omicida è solo una delle tante cause scatenanti un simile putiferio.
Rimanendo alla cronaca degli ultimi giorni, l'interrogativo che noi ci poniamo è come ha fatto un ventenne d'origine asiatica, con forti squilibri della personalità e già accusato di molestie su alcune studentesse, a far passare inosservate: una pistola e una mitraglietta? Per caso le autorità competenti hanno dormito invece che vigilare sulla sicurezza degli abitanti del campus universitario? È molto probabile. Con il senno di poi è facile dire, come ha fatto un'insegnante del ragazzo-stragista, che dai suoi scritti accademici traspariva un forte risentimento contro tutto e tutti. Tuttavia non può e non deve consolarci il fatto che questa sia stata l'ennesima tragedia annunciata. O perlomeno andatelo a dire ai familiari delle vittime innocenti di questa strage e sentirete cosa vi risponderanno...
Dire male dell'America oramai è diventato uno sport, come il calcio, troppo praticato. Ad ogni modo, è vero anche che l'America non fa granché per farsi dire bene. Piuttosto che esportare la democrazia a destra e a manca, ci chiediamo come mai l'attuale amministrazione repubblicana – non che coi democratici cambi molto – non decida di porre fine a irrisolti problemi intestini quali appunto, solo per citarne due: la pena di morte e il possesso incondizionato delle armi. Riguardo a quest'ultimo problema, tra democratici e repubblicani non fanno che tirarsi a vicenda la patata bollente: gli uni danno la colpa alle grandi multinazionali delle armi – fra gli sponsors ufficiali del partito repubblicano; gli altri, invece, incolpano Hollywood, internet e il rock – ovvero una risaputa “triade” vicina al partito democratico. Vista con gli occhi distaccati di un europeo questa infinita querelle tra repubblicani e democratici è quanto meno fittizia. La verità è che l'America è davvero la Nuova Gerusalemme – di biblica memoria – che dice di essere, ma al contempo non riesce a placare le sue apparentemente insanabili contraddizioni interne. Basti pensare a quell'orrendo scempio della vita umana qual è la pena di morte. Non ci sorprende che un Paese con un regime ateo secondo cui non esiste altra giustizia all'infuori di quella terrena, come la Cina, adotti la pena di morte recuperando l'arcaica e mai tramontata legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente...”. Ma che un Paese fra i più cristiani al mondo, se non addirittura il più cristiano in assoluto, che si sente investito del ruolo messianico di Redentore dell'umanità nonché faro di speranza per gli altri popoli della terra, come l'America, possa anche solo concepire la barbarie della pena di morte, questo rimane un fatto oscuro a tutti, tranne che agli americani!
Del resto dell'America si amano sia i pregi che i difetti, ma finché ammetterà nel suo ordinamento interno dei grossolani controsensi, ad un europeo – dall'alto della sua sanguinosa coscienza storica maturata durante conflitti plurisecolari – non resterà che far le veci del fratello maggiore e rimproverare in privato i propri fratelli minori americani, più incorreggibili. Aveva ragione la signora Margaret Thatcher, ex Primo Ministro del governo inglese, ad affermare con gran perspicacia: “Gli Stati Uniti sono figli della loro filosofia, mentre noi europei siamo figli della nostra storia...”. Proprio perché abbiamo tanto sbagliato (noi europei), abbiamo tanto da insegnare...
Un coraggioso e corpulento documentarista americano Micheal Moore – barbetta rossa pungente e immancabile cappellino da baseball –, famoso per essere diventato uno dei “nemici pubblici numeri uno” dell'attuale amministrazione statunitense, con la sua applaudita opera Bowling a Columbine (2002) ci ha consegnato il volto di un'America lacerata, con uno stato sociale pressoché inesistente – dove se stai male e non sei assicurato i medici ti lasciano intuire che puoi benissimo andare a farti fottere –, piena di paure spesso infondate – su tutte quella dell'uomo nero – e alle prese con la “caccia ai fantasmi” – vedi: terroristi dispersi fra le montagne pakistane. Moore, con il suo instancabile fiuto per la verità, in questa pellicola ci fa però capire come sia un esercizio del tutto inutile e sfiancante quello di ricercare la ragione mono-causale del perché gli americani hanno la tendenza ad uccidersi gli uni con gli altri. E di come riuscire ad impossessarsi liberamente di armi dall'elevato potenziale omicida è solo una delle tante cause scatenanti un simile putiferio.
Rimanendo alla cronaca degli ultimi giorni, l'interrogativo che noi ci poniamo è come ha fatto un ventenne d'origine asiatica, con forti squilibri della personalità e già accusato di molestie su alcune studentesse, a far passare inosservate: una pistola e una mitraglietta? Per caso le autorità competenti hanno dormito invece che vigilare sulla sicurezza degli abitanti del campus universitario? È molto probabile. Con il senno di poi è facile dire, come ha fatto un'insegnante del ragazzo-stragista, che dai suoi scritti accademici traspariva un forte risentimento contro tutto e tutti. Tuttavia non può e non deve consolarci il fatto che questa sia stata l'ennesima tragedia annunciata. O perlomeno andatelo a dire ai familiari delle vittime innocenti di questa strage e sentirete cosa vi risponderanno...
Dire male dell'America oramai è diventato uno sport, come il calcio, troppo praticato. Ad ogni modo, è vero anche che l'America non fa granché per farsi dire bene. Piuttosto che esportare la democrazia a destra e a manca, ci chiediamo come mai l'attuale amministrazione repubblicana – non che coi democratici cambi molto – non decida di porre fine a irrisolti problemi intestini quali appunto, solo per citarne due: la pena di morte e il possesso incondizionato delle armi. Riguardo a quest'ultimo problema, tra democratici e repubblicani non fanno che tirarsi a vicenda la patata bollente: gli uni danno la colpa alle grandi multinazionali delle armi – fra gli sponsors ufficiali del partito repubblicano; gli altri, invece, incolpano Hollywood, internet e il rock – ovvero una risaputa “triade” vicina al partito democratico. Vista con gli occhi distaccati di un europeo questa infinita querelle tra repubblicani e democratici è quanto meno fittizia. La verità è che l'America è davvero la Nuova Gerusalemme – di biblica memoria – che dice di essere, ma al contempo non riesce a placare le sue apparentemente insanabili contraddizioni interne. Basti pensare a quell'orrendo scempio della vita umana qual è la pena di morte. Non ci sorprende che un Paese con un regime ateo secondo cui non esiste altra giustizia all'infuori di quella terrena, come la Cina, adotti la pena di morte recuperando l'arcaica e mai tramontata legge del taglione: “Occhio per occhio, dente per dente...”. Ma che un Paese fra i più cristiani al mondo, se non addirittura il più cristiano in assoluto, che si sente investito del ruolo messianico di Redentore dell'umanità nonché faro di speranza per gli altri popoli della terra, come l'America, possa anche solo concepire la barbarie della pena di morte, questo rimane un fatto oscuro a tutti, tranne che agli americani!
Del resto dell'America si amano sia i pregi che i difetti, ma finché ammetterà nel suo ordinamento interno dei grossolani controsensi, ad un europeo – dall'alto della sua sanguinosa coscienza storica maturata durante conflitti plurisecolari – non resterà che far le veci del fratello maggiore e rimproverare in privato i propri fratelli minori americani, più incorreggibili. Aveva ragione la signora Margaret Thatcher, ex Primo Ministro del governo inglese, ad affermare con gran perspicacia: “Gli Stati Uniti sono figli della loro filosofia, mentre noi europei siamo figli della nostra storia...”. Proprio perché abbiamo tanto sbagliato (noi europei), abbiamo tanto da insegnare...
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