27.12.08

"Water horse – La leggenda degli abissi" (2007)

di Marco Apolloni

Water horse – del regista Jay Russell – è un film sui buoni sentimenti, animalista fino al midollo, che tocca con incisività il delicato tema del rapporto tra uomo e bestia. Mostrandoci degli uomini bestiali capaci di scempiaggini come le guerre e bestie invece dai risvolti umani. Altro tema affrontato è quello di un'amicizia tanto impossibile, quanto resa possibile dalla materia fiabesca qui trattata. Il film comincia con una giovane coppia di turisti che entra in un locale e viene adescata da un vecchio sconosciuto, uno del posto, il quale, come il protagonista del poemetto di S.T. Coleridge The rime of the ancient mariner si porta dentro una storia sensazionale, che sente di dover condividere. Il racconto del vecchio ci riporta ai tempi della seconda guerra mondiale, dove facciamo la conoscenza di Angus MacMorrow, un ragazzino problematico – traumatizzato dalla perdita del padre, avvenuta in guerra –, che un giorno rinviene sulle rive del lago di Loch Ness un uovo primitivo e decide di portarselo a casa. Qui all'insaputa della madre apprensiva – interpretata dalla molto british Emily Watson – Angus alleva la bestiola, sgusciata fuori nel frattempo, che ha tutta l'aria di essere un piccolo dinosauro e la cui voracità lo porta a cercar cibo ovunque si trovi. Angus quindi ribattezza la sua simpatica creatura con un nome d'arte: Crusoe. Intanto un reparto della Royal Army si acquartiera nella tenuta dei MacMorrow. Il raccomandato comandante della brigata, con la sua ottusa disciplina militaresca sconvolge i piani di Angus. Egli, però, aiutato dalla sorella maggiore e dal faccendiere nuovo arrivato nella casa, riesce fortunosamente a trasferire Crusoe nel lago. Nell’elemento acquatico, che gli è più proprio, Crusoe può crescere indisturbato e sviluppare la sua mole eccezionale. Crusoe si rivela infatti un drago marino, unico nel suo genere. La leggenda narra che creature simili ne nascono una per volta e che quando una di esse sta per morire deposita un uovo per perpetrare la specie. La fama di Crusoe, soprannominato il mostro di Loch Ness, si sparge fra gli abitanti del luogo, dove c'è chi presente la calamita turistica che una bestia simile potrebbe portare al loro piccolo villaggio, distinguendolo finalmente nelle mappe geografiche. La goccia che fa traboccare il vaso e spezza l'incantesimo di quiete è un'esercitazione militare, ovvero un bombardamento a tappeto nel lago, che minaccia la sopravvivenza di Crusoe. Questi, costretto a rifugiarsi negli abissi, s'inferocisce. Il finale, formato famiglia, è presto detto: e tutti vissero felici e contenti! Ad ogni modo, merito di questa pellicola strappalacrime, che potrebbe scoraggiare lo spettatore più avveduto vista la poca originalità della materia trattata – si è perso il conto delle trasposizioni cinematografiche girate sul presunto abitante del tal lago scozzese –, è quello d'intrattenere e far riflettere al tempo stesso, avvalendosi di una sapiente mistura composta da: spettacolari effetti speciali, efficace sceneggiatura e incantevole fotografia – quest'ultima facilitata anche dalla paradisiaca bellezza della location d'eccezione. Il viscerale animalismo del film, come accennato all'inizio, traspare dalla forte denuncia contro il maltrattamento delle povere bestie, che diventano feroci solo se provocate dalla sconfinata e deplorevole ferocia umana. Contestualizzando la pellicola all'oggi, come i fatti di cronaca c'insegnano, spesso dietro alle aggressioni dei cani – ad esempio – si cela la stoltezza dei padroni, che invece di trasmetter loro calore e affetto, li battono e affamano, rendendoli pertanto – contrariamente alla loro intrinseca natura – aggressivi. Film come questi ci riconnettono alla nostra dimensione più originaria. E, una volta tanto, dovrebbero ricordarci di essere sì uomini, ma prima di tutto animali anche noi; il che vuol dire creature fra le altre, le quali, avendo il prezioso dono della ragionevolezza, proprio per ciò dobbiamo farne uso per rispettare chi condivide la nostra stessa natura: animale...

16.12.08

Presentazione musicata "CineFilosofando", Sabato 13 Dicembre


Si è riassunto in due ore di piacevole approfondimento il dibattito fra cinema e filosofia, svoltosi sabato 13 dicembre nella biblioteca “Silvio Zavatti” di Civitanova Marche. In compagnia dello scrittore Marco Apolloni, intervenuto per presentare il suo libro “CineFilosofando” (Patti, 2008), i minuti sono trascorsi velocemente anche grazie all’intervallarsi di riflessioni filosofico-letterarie, letture interpretative ed esibizioni musicali. Ad accomunare questi tre elementi è stata in primis la cinematografia, che ha fatto da filo conduttore per tutto l’evento – basato per l’appunto sul testo portante “CineFilosofando”. «L’approccio di questo mio libro è fondamentalmente misto e prevede all’inizio di ogni saggio una breve recensione sintetica delle problematiche cruciali di ciascun film – ha spiegato l’autore –. Dopodiché segue l’analisi delle pellicole da un punto di vista più rigoroso, nella quale do soltanto delle pillole contenutistiche evitando così le lunghe citazioni di rito che i filosofi di solito tendono ad utilizzare». Per allietare ulteriormente il pubblico, durante la conferenza è stata inserita la partecipazione del cantautore Michele Serrani e del musicista Alberto Crucianelli, che si sono esibiti in un live fatto di sola chitarra acustica e basso. Sonorità, le loro, che hanno rievocato in questo particolare contesto quelle di cantautori come De Andrè e De Gregori e che hanno ben accompagnato le letture interpretative degli spettatori: Anna Maria Caldarola, Monia Ciminari, Emanuele Follenti, Sergio Fucchi, Chiara Rosati, Bruna Salvitti. Ovviamente la conferenza non sarebbe stata possibile senza la disponibilità dello staff bibliotecario e, in particolar modo, della direttrice Carla Mascaretti. Oltre al prezioso lavoro come moderatrice di Silvia Del Beccaro, giornalista nonché capo-redattrice del bimestrale “Impegno Sociale”. 
Sette i film trattati sia nelle letture che negli approfondimenti: “Ghost dog”, “Donnie Darko”, “L’ultima tentazione di Cristo”, “Il tredicesimo guerriero”, “Tristano & Isotta”, “La caduta”, “L’appartamento spagnolo”. Tutti film, questi, che racchiudono una propria parola chiave – a seconda, infatti, si parla di onore, sacrificio, eroismo, follia, coraggio, amor passione, amicizia – ma che tuttavia sono al contempo legati da un comun denominatore, e cioè: la vita è come un film. Non solo. L’excursus che l’autore effettua all’interno del suo testo invita a riflettere sulla possibile nascita dei futuri Stati Uniti d'Europa. Sulla base di questo spunto, il dibattito conclusivo ha assunto un carattere dialogico ed interattivo e in virtù di questo il pubblico presente è stato chiamato più volte a partecipare ponendo domande sul saggio, dando così vita ad una curiosa riflessione. È logico che passati divisi portino a futuri divisi? Oppure esiste un futuro comune a tutti i popoli europei, nonostante le differenze linguistiche? «Al giorno d’oggi ci vengono riproposti nuovi ed edificanti sogni, com’erano all’origine Roma caput mundi e l’Italia unita. Su tutti spicca uno per imponenza, ovvero l’Europa unita – ha risposto l’autore –. A molti questo sogno potrebbe sembrare una blasfemia. Un passato di soprusi inconfessabili e di guerre fratricide non sembrerebbe loro dar torto. Paradossalmente, però, le divisioni del nostro passato ci uniscono a maggior ragione in un connubio tanto inestricabile. E l’insopprimibile necessità di non ripetere gli errori fin qui commessi, ci induce a sperare di poter essere un giorno ancor più uniti sotto un’unica bandiera, quella europea». 

5.12.08

Presentazione musicata di "CineFilosofando" - Sabato 13 Dicembre


Un connubio di musica e cinema. Una fusione di discipline umanistiche. "CineFilosofando" raccoglie cinefili e storici, linguisti e filosofi. Perché il libro di Marco Apolloni non solo riporta alla luce pellicole più o meno note del panorama cinematografico, ma dà alle stesse un valore aggiunto, estrapolando e spiegando in maniera accessibile a tutti le tematiche portanti di ciascuna.

Lontano dai linguaggi utilizzati nelle Accademie, seppur sia uno studioso plurilaureato, l'autore fidardense Marco Apolloni racconta momenti salienti della storia dell'Occidente e della cultura europea analizzando accuratamente sette film.

Gli Stati Uniti d'Europa, si interroga l'autore, sono davvero possibili? E' logico e necessario che passati divisi portino a futuri divisi? Oppure esiste un futuro comune per tutti i popoli, nonostante le differenze linguistiche?

Su questi ed altri interrogativi il prossimo 13 dicembre – nuovo appuntamento marchigiano – l'autore rifletterà e si raffronterà con il pubblico, dialogando con esso ed instaurando un incontro dialogico, del tutto informale. Ma non solo. Naturalmente si parlerà di cinema, primo e vero protagonista dell'appuntamento civitanovese. L'incontro è previsto sabato 13 dicembre, ore 17.30, nella biblioteca comunale “S. Zavatti” di Civitanova Marche.

Sette i film che verranno presi in oggetto: "Ghost Dog", "Donnie Darko", "L’ultima tentazione di Cristo", "Il tredicesimo guerriero", "Tristano & Isotta", "La caduta", "L’appartamento spagnolo". Per ciascuna pellicola avrà luogo una riflessione storico-filosofico-letteraria, che verrà abbinata a momenti musicali inerenti a ciascuna pellicola e volti ad intrattenere il pubblico presente. L'allestimento musicale sarà a cura del cantautore Michele Serrani.

Proiezioni cinematografiche e musica daranno dunque vita ad un connubio piacevole, che mirerà in primo luogo a divertire il pubblico ma, al contempo, a farlo riflettere su quello che siamo, quello da cui veniamo e quello verso cui ci stiamo dirigendo...

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Per contattare direttamente l'autore: 333.3495829

Per informazioni: silandgreg@hotmail.com; www.noiperborei.blogspot.com

27.11.08

«I giardini della scrittura» – Riflessioni sul mito di Theuth del "Fedro" platonico

di Marco Apolloni

L'opera di Platone è costellata da miti. In particolare nel Fedro, dopo il mito dell'auriga e delle cicale, si accenna al mito di Theuth: corrispondente al nome della divinità egizia, fra le altre cose inventrice della scrittura. Si narra che Theuth si sia recata da re Thamus per presentargli le sue originali invenzioni. Sicché il re abbia espresso liberamente il proprio parere su ognuna di esse. Quando è stato il turno della scrittura, presentata da Theuth come l'arte del ricordare e del curare i mali che affliggono la memoria, Thamus fa notare come lui non dica il vero accecato dalla paternità della sua invenzione. Infatti il re sostiene che la scrittura non sia altro che una forma di dimenticanza e un invito alla pigrizia per i discepoli, piuttosto che essere una medicina per la loro memoria. Tali discepoli, a quel punto, invece che diventare «sapienti» diventeranno «saccenti». Diversi studiosi, tra cui Giovanni Reale, hanno veduto in questo passo un oscuro rimando alle dottrine non scritte di Platone. Da ciò si può dedurre la maggior preminenza da lui affidata all'oralità rispetto alla scrittura. Poiché la vera sapienza, a suo dire, si tramanda oralmente. In definitiva, la trasmissione di un sapere scritto ha un carattere assolutamente secondario rispetto alla vividezza della trasmissione orale e non può che restituirci soltanto uno sbiadito ricordo della realtà extra-corporea della nostra anima. Inoltre la scrittura ha in comune con la pittura la stessa incapacità di non rispondere se interrogata. Inutile perciò provare a interrogare uno scritto, che non gode del dono della parola – essa è lettera morta per dirlo con il filosofo francese Jacques Derrida. Dunque lo scritto così come il quadro ha sempre bisogno del suo autore, incapace com'è di aiutarsi da solo per difendere le proprie ragioni. A questo punto Platone tramite il suo alter ego, Socrate, propone un tipo di discorso pienamente auto-sufficiente, che si giustifica da sé e «che viene scritto nell'anima di chi apprende, che è capace di difendere se stesso, e che sa con chi deve parlare e con chi tacere.». Compito del vero sapiente è quello di scrivere nell'anima, in quanto solo in essa germoglieranno i semi della conoscenza. Per questo la scrittura svolge un ruolo prettamente ancillare ed è da considerarsi niente più di uno svago per i vecchi. Essi, appunto, si eserciteranno nei «giardini della scrittura» unicamente per dilettarsi nella fase tramontante della loro vita e al solo fine di rimembrare con dolce nostalgia i bei tempi andati, sì da poter riprovare l'antico brivido della giovinezza.

14.11.08

"Diario di uno scandalo" (2006)

di Marco Apolloni

Judi Dench e Cate Blanchett danno vita ad un dramma dalle tinte torbide. Barbara – la Dench – è un’insegnate attempata ed estremamente arcigna. Le sue uniche occupazioni consistono in prendersi cura di Porzia, la sua gatta, e redigere un meticoloso diario quotidiano: nel quale tiene il conto delle sue frustrazioni e degli episodi insignificanti che le succedono. La sua monotona routine viene spezzata un giorno quando nella sua scuola entra un’insegnante inesperta e molto più giovane di lei: Sheba – la Blanchett. Barbara dopo le iniziali incomprensioni sarà sempre più morbosamente attratta dalla liberale e fresca collega, tanto che le due diverranno presto amiche. Un episodio, però, catalizza la loro amicizia squilibrata: Barbara scopre Sheba intenta ad avere rapporti sessuali con un suo alunno quindicenne. Per lei l’episodio costituisce un ulteriore incentivo per spingersi ancora più in là nell’amicizia con la collega, facendo leva sul timore della sua vittima di venire esposta al pubblico dispregio. Sheba, infatti, teme si scateni un putiferio sulla sua apparentemente normale vita familiare. Lei è madre di due figli, di cui uno affetto dalla sindrome di down, e moglie di un marito più anziano e di vedute progressiste. Senza stare a raccontare il finale che – comunque – tiene bene la suspense, ciò che mi ha spinto a recensire questa pellicola è la sua indubbia originalità. Temo di non ricordare pellicole analoghe che indaghino così a fondo gli intricati meccanismi della psiche femminile. Nella fattispecie che trattino di omosessualità e pedofilia al femminile. A Barbara si addice a pennello l’identikit dell’insegnante bacchettona, che tuttavia scopre un’intimità assai tormentata. Le sue rigide convenzioni nascondono delle pulsioni viscerali latenti e proprio per questo potenzialmente più esplosive. La sua ruvidezza esteriore cela un’inusitata fragilità interiore. Del resto lei si accontenterebbe di poco, una manciata di carezze e un briciolo di compagnia per non trascorrere sola i giorni che le rimangono da vivere sulla terra. Anche Sheba presenta i connotati di un personaggio a dir poco complesso. La sua moderna pedofilia può essere rapportata a quella dell’antica Grecia, quando le mogli trascurate non si tiravano indietro nel rivaleggiare coi loro mariti libertini per assicurarsi le grazie e i favori dei bei giovinetti. Ma la pedofilia al femminile non ha nulla a che vedere con quella maschile. Sarà per il ruolo di passività occupato dalle donne nell’atto amoroso – esse, infatti, si lasciano penetrare e dunque fungono da ricettacolo per il membro maschile; sarà perché la sessualità femminile è un abisso ancora tutto da scoprire; sarà insomma per la dolcezza insita nel modo di fare l’amore delle donne; fatto sta che l’opinione pubblica tende di solito ad essere più conciliante quando si verificano casi di pedofilia al femminile, forse data anche la loro scarsa rilevanza statistica, e a mantenere un atteggiamento seppur ugualmente indignato, tuttavia più tollerante rispetto alla barbara pratica della pedofilia al maschile. Si potrebbe persino congetturare che le attenzioni di Sheba per un imberbe quindicenne siano da attribuire ad un suo perlopiù inconsapevole atto di ribellione nei confronti di una Natura matrigna che le ha donato un figlio anormale. In conclusione, a mio avviso, due sono i punti a favore del regista Richard Eyre: il primo, l’aver affidato il dipanarsi dell’intera vicenda filmica alla bravura di due attrici superlative – provenienti da due scuole di recitazione diverse: più minimale la Dench e più espressiva la Blanchett; il secondo, l’essersi affidato ad una sottile e psicologica sceneggiatura ad opera di Patrick Marber – già noto al grande pubblico per essere autore della pièce teatrale Closer, da lui poi riadattata in chiave cinematografica. Un consiglio a tutti gli amanti del cinema d’autore: Notes on a Scandal è un film assolutamente imperdibile. Potrebbe piacervi o meno, ma garantisco che al termine dell’ora e mezza di visione della pellicola avrete l’impressione di non aver sprecato il vostro tempo e di esservi arricchiti di ulteriori spunti per decifrare alcuni aspetti troppo spesso dimenticati o occultati della torbida natura umana.   

5.11.08

Mercoledì 5 Novembre - NO FEAR!

di Marco Apolloni

Oggi è un gran giorno per l'umanità! Barack Hussein Obama è il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti d'America. Un afroamericano alla Casa Bianca. La realtà ha superato di gran lunga la fantasia hollywoodiana. Onore delle armi all'ex combattente ufficiale di marina, candidato repubblicano, John McCain. (Ora posso dirlo: per il suo passato eroico mi stava pure simpatico. Normalmente, se non ci fosse stato Obama, sono convinto che McCain sarebbe stato un buon Presidente degli Stati Uniti d'America.) Che Obama vincesse ci speravo proprio, lo confesso. Anche se, in fondo, temevo due cose: 1) che non sarebbe arrivato tutto intero al fatidico giorno; 2) che molti bianchi americani non l'avrebbero votato. Per fortuna i miei timori sono risultati infondati. Qualcosa è cambiato in America. Un vento democratico ha pervaso quello che è forse il paese più conservatore al mondo. Siamo realisti, la sinistra americana non è uguale a quella europea. Il professor Angelo Panebianco, celebre editorialista del Corsera, nelle sue illuminanti lezioni mi ha convinto di questo. Tuttavia, credo che il mio esimio professore non obietterebbe nulla se si dicesse che Barack Obama è un progressista. Tirando le somme, se quella di questa lunga e interminabile tornata elettorale – era dagli anni d'oro in cui lavoravo nelle discoteche che non tiravo le cinque di mattina – non può reputarsi una vittoria a tutti gli effetti delle sinistre europee, certamente però il fatto rappresenterà una dura batosta, a lungo andare, per tutte le destre conservatrici europee.

Del resto, con un Presidente così outsider e improbabile – come lui stesso ha voluto definirsi –, che ha saputo trionfare – la sua infatti non è stata una semplice vittoria, ma un autentico trionfo – grazie ad una campagna elettorale tutta basatasi sulla parola cambiamento, me ne aspetto delle belle. Una cosa è certa, il neo-eletto Presidente turberà, e non poco, le coscienze di non pochi lobbisti sia americani che non. Nei suoi splendidi discorsi, che ritengo studieranno i nostri figli un giorno e che sono già entrati nel nostro immaginario collettivo, Obama ha proclamato quella che sarà la sua guerra non al terrore – come il suo infantile predecessore seriamente convinto dell'esistenza del male assoluto –, bensì al privilegio in tutte le sue forme più abiette. Con Obama la nostra speranza, e quella anche evidentemente della stragrande maggioranza degli americani, che il divario fra ricchi e poveri si assottiglierà sempre più acquista una sua fondatezza. Dal mio canto, mi rendo perfettamente conto che il suo tanto agognato cambiamento avverrà per gradi, con grande lentezza e non senza dover scavalcare gigantesche barriere che gli si frapporranno nel suo difficile cammino da mister President. So molto bene, inoltre, che questo cambiamento non potrà avvenire se non mediante un estenuante processo di riforme. Ma dopo gli otto anni di buio profondo con Giorgino Bush, finalmente con Obama s'inizia ad intravedere una fioca luce in fondo al tunnel.

Il sogno del reverendo Martin Luther King ha preso corpo e anima con quest'uomo e ora si è finalmente realizzato. Ricordiamo le sue profetiche parole: “Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!” (discorso pronunciato a Washington il 28 agosto 1963). Per festeggiare ho sparato nel mio stereo, a tutto volume, una canzone degli U2 a lui dedicata: Pride – In the name of love, da quel fine sperimentatore di sogni che è stato. Passeggiando per strada ieri e sentendo alcuni discorsi nei bar, ho avvertito tutt'intorno a me un'aria strana. Dentro di me ho pensato: “Forse è tutta qua l'essenza del cambiamento, in quest'aria diversa!”. Gente a cui non è mai importato un fico secco della politica nazionale, figuriamoci internazionale, ha iniziato per la prima volta a scaldarsi per un argomento non concernente il calcio, un rigore regalato ad una squadra, oppure una punizione assegnata ingiustamente da un arbitro. Da ciò ho avuto la precisa sensazione ieri di vivere un momento storico. Per la prima volta da quando sono nato mi sono sentito parte integrante della storia, che non può prescindere da una sola parola: cambiamento. Senza cambiamenti il nostro genere umano non sarebbe progredito, anche se in certi casi è regredito – si veda il periodo delle due guerre/carneficine mondiali del secolo scorso –, fino a diventare quello che è oggi. Per attuare dei cambiamenti a volte ci sono volute le rivoluzioni cruente; a volte, come questa, basta semplicemente un uomo coraggioso, il quale pur tenendo presente la fine fatta da altri due sognatori come lui, John e Bob Kennedy, ha voluto lo stesso andare avanti. In un commovente discorso a sostegno del marito, la nuova first lady Michelle Obama si è detta stanca di darla vinta alla paura. Come stanchi sono tutti gli americani di vedersi ammazzare chiunque voglia introdurre all'interno della loro società la benché minima forma di cambiamento. L'America ha già avuto fin troppi martiri per la sua nobile causa, troppi omicidi politici, neanche fosse una Repubblica delle banane qualsiasi. Fino ad oggi, e spero mai più in futuro, quella americana è stata una democrazia tenuta sotto scacco da assassini psicopatici. L'augurio che tutti gli americani, oggi, credo si staranno facendo è quello di vedere interrompersi quest'insensata striscia di sangue. Proprio per ciò mi sento d'augurare al nuovo Presidente americano di: sbagliare vivendo...

NO FEAR!




26.10.08

"CineFilosofando" in tour ad Ascoli Piceno

Il centro storico di Ascoli Piceno ha ospitato lo scorso sabato 25 ottobre una nuova tappa di “CineFilosofando in tour”, serie di incontri atti a spiegare le correlazioni esistenti fra discipline umanistiche (filosofia, letteratura e storia su tutte) e il meraviglioso universo cinematografico.
A fare da location per questo evento culturale è stata la Libreria Rinascita, distante pochi passi da piazza del Popolo. Il compito di moderare l'intervento dell'autore Marco Apolloni, scrittore e fondatore del blog NoIperborei, è spettato a Silvia Del Beccaro, capo-redattrice della rivista bimestrale “Impegno Sociale” (per la quale Apolloni svolge il ruolo di capo-sezione Cultura).
«Marco è un redattore in gamba e un autore decisamente promettente – ha dichiarato Silvia Del Beccaro –. Seppur sia ancora giovane d'età, è già riuscito ad affermarsi pian piano nel mondo dell'editoria con due saggi alle spalle e un romanzo in uscita. “CineFilosofando” in particolare ha suscitato particolare interesse, in tutta Italia, grazie anche alle competenze che l'autore vanta in ambito umanistico. Due lauree in Filosofia e un ruolo come capo-sezione Cultura presso la nostra rivista ne sono la riprova». La presentazione del libro si è svolta come una chiacchierata informale,
durante la quale si è venuto ad instaurare anche un rapporto dialogico col pubblico presente. I film non sono stati trattati seguendo l'ordine del libro, bensì i due relatori hanno ripercorso il filo comune che lega una pellicola all'altra, in particolar modo la costruzione dell'identità europea. «Attraverso le ere medievali, de “Il tredicesimo guerriero” e di “Tristano e Isotta”, passando per la seconda guerra mondiale, di cui si parla ne “La caduta” - ha aggiunto l'autore Marco Apolloni -, siamo giunti alla costruzione di una nostra identità occidentale. Non a caso il mio auspicio è che si creino prima o poi degli Stati Uniti d'Europa, in cui i Paesi non vengano più visti solamente come Nazioni dai passati divisi, bensì come un corpus unico legato da un futuro comune».

22.10.08

Martedì, 22 Ottobre - W i maestri! La scuola siamo noi

di Silvia Del Beccaro

Se getto uno sguardo al passato, i ricordi dei primi giorni di scuola sono ancora limpidi, nella mia mente. Ricordi di genitori che ti lasciano in mezzo ad altri bambini, perlopiù sconosciuti, ma che di lì a una settimana diventano i tuoi migliori amici. Ricordi di nuovi ambienti, nuovi modi di organizzare la tua vita in erba, le tue giornate di bambina. Ricordi di una maestra, una suora nel mio caso, che ti insegna tutte le materie - ginnastica e inglese escluse - e che ti cresce. 
La Ministra Gelmini ha espresso il desiderio di ristabilire il maestro unico. In fondo non credo sia del tutto sbagliato. Io sono cresciuta con questo metodo di insegnamento e non è stato poi così deleterio. La gravità vera però sta nel fatto che ogni governo debba per forza ripristinare le proprie abitudini ad ogni successione. Non importa se nel frattempo il mondo è andato avanti, se la scuola si è evoluta e se sono state necessarie delle manovre per cercare di adeguarsi ai tempi moderni. Tutti vogliono sempre e comunque recuperare le proprie proposte. E questo a discapito dei cittadini - in questo caso degli allievi, che pagano la loro cultura - e dei professori - che ci mangiano. 
Ripristinare oggi il maestro unico, ora che la scuola si è adeguata alle recenti riforme, sarebbe come dire ripristinare i vecchi 4/5 anni universitari dopo che la Moratti ha optato fortemente per i famosi 3+2.  Insomma... fare un passo indietro ad ogni governo è davvero logico e necessario? Per non parlare delle sezioni separate, di cui si è tanto discusso recentemente. Ghettizzare gli allievi significherebbe riesumare i tempi delle discriminazioni razziali e del ku klux klan. I tempi in cui i “nigger” (ndr. letteralmente “negri”) sui pullman dovevano sedere lontano dai “whites” (ndr. i cosiddetti “bianchi”). I famosi anni Trenta di Malcolm X, quando fu proprio un insegnante a stroncare il suo sogno adolescenziale dicendogli che diventare avvocato non era un obiettivo realistico per un negro. 
Conservare il passato, rimanere attaccati a ciò che è stato fatto dal proprio partito in precedenza, senza riconoscere i mutamenti adottati successivamente dalle varie linee di governo, significa non saper accettare il futuro. E negare l’avvento del futuro significa aver paura di fare del bene alla propria società. Occorre piuttosto guardare avanti, cercare di proporre delle novità per far sì che la propria Nazione possa progredire e camminare, a poco a poco, sulle proprie gambe. La scuola in primis deve essere, per l’appunto, un luogo di rinnovamento. Certo non potremo essere tutti dei professori Keating (ndr. L’attimo Fuggente), innovativi e geniali, ma se non altro possiamo cercare di risaltare quello che già abbiamo: ritornare al maestro unico e chiudere alcune specializzazioni universitarie significa togliere posti di lavoro, chiudere le SSIS senza disporre di un progetto alle spalle significa negare a giovani volenterosi la possibilità di esercitare una professione per la quale hanno studiato a lungo, separare i bambini stranieri da quelli italiani significa ricreare i ghetti - a partire dagli istituti, prima fonte di convivenza. E’ possibile allora tutto questo? Ma a che prezzo? Riflettiamo, gente, riflettiamo.

17.10.08

Venerdì, 17 Ottobre - Sociologia della piazza

di Marco Apolloni

Itinerari speciali

Trento ha un centro davvero delizioso, tipo: centrino da tavola. Non so se mi spiego. Però non chiedete mai informazioni ai trentini – si chiaman così gli abitanti di Trento, no? – se non volete perdervi in città. Ci sono parecchi vicoli angusti e antichi in questa suggestiva località alpina. Ma al mattino, quando ti svegli, non è niente male vederti le montagne attorno. È una strana sensazione, nuova per me, stimolante direi. Come ogni città montanara consimile, anche Trento dopo una certa ora chiude i battenti. Le uniche colonie notturne studentesche si rintanano in locali malfamati, stile: peggiori bettole di Caracas, oppure in locali oltremodo chic. Questi ultimi per la componente più in, della serie: tanto paga babbo. Decisamente non il mio target, più out che in. Il tanto paga babbo con me non attacca, a meno che non voglia finire bastonato da quelle manone d’orso del “mi babbo”. Poi di giorno la città si ripopola. La popolazione è piuttosto meticcia. Donne col velo spuntano da ogni angolo come i funghi finferli del sottobosco locale. (La comunità marocchina è talmente radicata che in certi momenti ti pare di stare a Marrakech, nel bel mezzo della Casbah.) Ciclisti in tutina si danno appuntamento presso la stazione degli autobus, a pochi passi da quella dei treni. Rasta provenienti da Bolzano sbucano dalla stazione ferroviaria. Centri sociali ci devono essere. Io non li ho visti, ma da qualche parte ci saranno senz’altro. Tracce che me l’hanno fatto pensare, a parte i suddetti rastoni, sono: scritte NO A BASI MILITARI sulle strisce bianche d’attraversamento pedonale; manifesti clandestini incitanti al FATE L’AMORE NON LA GUERRA disseminati un po’ in tutta la città, oltre ai rinomati PEACE & LOVE. Tra la fauna locale ho intravisto anche qualche potenziale bombarolo altoatesino – pur essendo in trentino – con minacciosa barba teutonica e chioma ingrigita fino alle ginocchia, del tipo: HANS CASTORP – chi non lo conosce si legga La montagna incantata di Thomas Mann. Per non parlare dei turisti, specialmente francesi, con quella loro pronuncia très jolie. Molte buzziche, a dire il vero. Perché quelle carine sono al 90% creole. Le francesi bone, di carnagione lattiginosa come la VIA LATTEA, sono rare quanto Brigitte Bardot e Catherine Deneuve. Ma che dire d’altro: TRIDENTUM è una città a portata d’uomo, "la Città del Concilio" come recita lo slogan agghiacciante dei dèpliants turistici. Una visitina se la merita, direi.

Cari saluti trentini,

Vostro umilissimo e reverendissimo

Inviato Sociale

(riverisco e bacio le mani!)

Consigliati speciali (molto easy e pure cheap)

Pizzeria da Andrea. Per chi vuol mangiarsi una buona pizza napoletana, sia al taglio che al piatto, fatta da un pizzaiolo partenopeo dòc, con tanto di: profumate foglioline di basilico, mozzarella di bufala campana e pummarola rustica San Marzano.

Döner Kebab. Per chi vuol farsi un paninozzo infarcito di questa specialità arabo-mussulmana, il marchio è di una multinazionale del settore – potete trovarlo ovunque, persino sotto casa vostra –, vero e proprio Mac Donald’s per gli amanti del genere MUCCA PAZZA; la bontà del posto l’ho intuita dall’odorino mica male che mi ha penetrato le narici e sarei quasi entrato a farmene uno anch’io, tanto mi solleticava le papille gustative, se solo non avessi visto tutto quel lardo colante, ogni volta che lo guardo m’attorciglia le budella dal disgusto.

Caffè Tridente. Per due motivi: 1) per il belvedere sulla sontuosa Fontana centrale; 2) per i bei davanzali attornianti, si va da una terza abbondante in su – per chi volesse cogliere l’assist

Ostello Giovane Europa. Con tanto di bagno in camera, annesso e connesso, roba da non crederci. Lenzuola pulite, poco importa se stracciate. Colazione inclusa, anche se colazione è una parola grossa in questo caso. Tutto compreso: 25 euro per una camera singola, che non è malvagio come prezzo. L’unica pecca è la tavola calda chiusa la domenica, giusto il giorno in cui sono andato io.

10.10.08

Venerdì 10 Ottobre – Anche i banchieri piangono (e, quel che è peggio, fanno piangere anche noi poveretti!)

di Marco Apolloni

Non so come voi abbiate vissuto quest’ultimo periodo di psico-drammi economici, ma a me è venuto il panico. Anche a causa delle recenti dichiarazioni del nostro – “mi consenta” – Cavaliere nazionale, in cui rassicura – come suo solito – tutti gli italiani, dicendo di non preoccuparsi. Al che io, se prima non mi preoccupavo, dopo la sua dichiarazione ho cominciato a preoccuparmi seriamente. Tutta ‘sta economia sparata in prima pagina mi ha travolto, devastato, frustrato. Anche perché giuro di non capirci un “acca” quando mi si mettono davanti termini come: asset, commercial papers, euribor, hedge found, rating, subprime, stagflazione, indice di patrimonializzazione, deflazione, banca d’affari e via discorrendo. Tutte parolacce, per i non addetti ai lavori come me. Ma visto che si parla sempre di quello, cioè di soldi/denaro/quattrini/cash/liquidità, pure chi come il sottoscritto non ci capisce molto è costretto, dalle contingenze del momento, a sforzarsi di capire. E io, in poche parole, mi sono sforzato – il mio impegno è da apprezzare. Bene o male un’idea me la sono fatta. Della serie: anche i banchieri piangono (e, quel che è peggio, fanno piangere anche noi poveretti!).
Il problema del denaro sta tutto nella sua astrattezza. Un mondo senza denaro è stato il più illustre auspicio di molti filosofi. Ne scelgo due a caso, due estremi, cioè uno di “destra” e un altro di “sinistra”: Oswald Spengler e Karl Marx. Entrambi vagheggiarono ardentemente un mondo senza denaro ed una società a tal punto evoluta da non averne più bisogno. Ah, se solo i sogni dei grandi filosofi potessero avverarsi, se solo questi non fossero talmente utopici… Persino i moderni “santoni” della new age – il cui sincretismo culturale convoglia un po’ tutte le più brillanti intuizioni filosofiche – auspicano il tramonto di un’economia basata sull’artifizio del denaro e la re-introduzione di un’economia più terrestre, basatasi sull’antico baratto insomma: tu dai una mollica di pane a me e io do una crosta di pane a te, per farla breve.
Ad oggi le mie competenze d’economia si limitano ad un esamino da tre crediti dato l’anno scorso, il cui argomento principale – voglio essere sincero – è stato il Faust di Goethe, che con l’economia c’entra quasi come la barriera corallina sulla catena dell’Himalaya… Però, sentendo alcune trasmissioni e leggendo allarmanti titoloni in prima pagina, ho giocoforza dovuto drizzare le mie antenne ricettive. Sempre più opinionisti – il cui numero è in continua impennata – stanno parlando di noi piccoli risparmiatori e dei nostri risparmi affidati ad autentici “masnadieri” del business, i quali s’arricchiscono sull’ignoranza di noialtri. Conosco un paio di tipi del genere, ve li raccomando… Ad alcune persone, a me care, costoro hanno consigliato all’epoca di acquistare titoli governativi argentini poiché avrebbero ottenuto un guadagno quasi garantito – insisto su quel “quasi”, ho imparato a diffidare di chi fa sperpero di simile approssimazione. Poi, come andò a finire, lo sappiamo tutti. Queste persone a causa dei loro cattivi consiglieri, oggi faticano ad arrivare alla fine del mese e si arrabattano tra una bolletta e l’altra da pagare, ma continuano imperterriti ad avere fiducia nel domani.
Fiducia, ecco un termine molto caro agli opinionisti summenzionati, che continuano a rivolgere solenni proclami circa l’indispensabile fiducia dei risparmiatori. Sin da quand’ero piccolo, mi è stato insegnato che la fiducia è una conquista quotidiana, che va meritata: non con le chiacchiere, ma coi fatti. “Fatti, non pugnette!” recita lo slogan di quel comico di Zelig. Ecco qua che io, misero e insignificante risparmiatore, come posso aver fiducia dei miei aguzzini, ossia di chi tenta in tutti i modi – ed in questo almeno c’entra il Faust di Goethe con l’economia – di vendere la mia anima al diavolo del guadagno? La domanda, riconoscerete, quanto meno è lecita. Le poche volte che sono entrato in banca, spintonato da mio padre – che ha la stoffa di un Fugger inside –, ho sempre fatto discorsi chiari coi miei interlocutori: “Intendiamoci, io non voglio guadagnare una lira con voialtri. Mi basta che alla fine dell’anno mi garantiate i miei quattro soldi. Ok?”. Questo perché il mio presupposto è che: sin dal nascita delle prime rudimentali banche – databile intorno al 2000-3000 a.C., ad opera dei Sumeri e Babilonesi – lo scopo delle medesime è sempre stato quello di spillar quattrini ai loro clienti, ovvero concedere prestiti per poi alzare il tiro e ricavarne dei succosi interessi. Ciò detto, secondo me, non ha molto senso: voler speculare con chi fa della speculazione un’arte. Altro che il 5% d’interessi, io sui miei risparmi preferisco lo 0%, ma che almeno mi venga garantito.
Garanzia, ecco un’altra parola che ricorre spesso in questo periodo. Tale parola, va detto, cessa di aver valore se le banche falliscono. Difatti se la tua banca fallisce, amen! Nel senso che: dai un bacio ai tuoi soldi… Persino il nostro habitué Ministro dell’economia ha ammesso che, ora come ora, rispetto alle banche sono più sicure le Poste italiane, il cui capitale sociale per il 70% è in mano al Governo e solo un ridotto 30% veicolato in depositi e prestiti misti. Risultato: un numero crescente di risparmiatori sta commutando i propri conti bancari in conti postali. Come se non bastasse, un altro dato rilevante concerne il trend al ribasso nell’acquisto di auto e moto. E si capisce: ottenere un mutuo agevolato di questi tempi è impresa assai ardua… Vista l’economia schizofrenica dell’ultimo periodo, la perenne instabilità dei mercati, il fantasma del fallimento calato come un falce sopra le banche, c’è solo un rimedio – badate bene, non cura – che ci rimane: quello di smetterla di fregarcene dell’economia, perché il solo modo per non finire in pasto ai “pescecani” del settore è sbalordirli con il nostro bagaglio di conoscenze acquisite. E a chi ci dovesse chiedere, ad esempio, cosa sia un asset, noi d’ora in poi dovremmo rispondere a colpo sicuro: “Termine inglese concernente i beni materiali e immateriali di un’impresa”. Della serie: “Tiè, beccate questa…”. La conoscenza è la sola cura all’ignoranza!


3.10.08

Venerdì 3 Ottobre - Cronache dei baronati universitari

di Marco Apolloni

(Contro le critiche preventive o pregiudiziali... questo post è scritto con la mente e con il cuore. L'astio, vi garantisco, non c'entra nulla. Sono soltanto sincero, dico la mia con molta serenità e pacatezza. Se questo può dar fastidio a qualcuno, bene, è proprio quello che volevo. La verità, spesso, è fastidiosa!)

Dicesi baronati universitari il sistema clientelare vigente all’interno delle università italiane. Chi sono i baroni – nel senso dispregiativo del termine – delle suddette università? Delle sotto-specie di professori, poiché tutto fanno fuorché fare il loro mestiere con correttezza e trasparenza. Vorrei raccontarvi una storia che mi ha visto protagonista in negativo, nel senso che per me è finita male.
Mi trovavo la scorsa settimana su al nord per un concorso di dottorato. Francamente non volevo andarci, per un mucchio di ragioni. Non voglio sembrarvi il solito “vittimista”, che prima mette le mani avanti solo per non fare dopo brutta figura. È proprio che io – non mi chiedete come o perché – sapevo già chi sarebbe passato in questo dottorato. Sarà che sono un sensitivo, inconsapevole di esserlo. Sarà che possiedo una sfera di cristallo da qualche parte nella mia testa, che mi ha permesso di decifrare gli oscuri eventi futuri. Chissà… o forse, più semplicemente, sarà che sono un incrollabile empirista, che fa tesoro della propria esperienza per interpretare i comportamenti poco chiari di chi gli sta intorno. Non lo so, non chiedetemelo. Una cosa, però, la so quasi per certo. Il concorso a cui ho preso parte è stata una rocambolesca messa in scena. Certo, non ne ho le prove, ma quanti colpevoli sono a piede libero perché non si trovano stracci di prove da imputargli contro? Tanti, troppi anche.
Stranamente in commissione vi erano tre professori, ognuno proveniente da un’università diversa. Altrettanto stranamente sono passati due candidati per ognuno di questi professori incriminati. Sarà stato un caso, una coincidenza oppure una combine in piena regola. Chi lo sa. Sta di fatto, però, che due di questi candidati – di cui non discuto le capacità intellettuali – li conoscevo bene e sapevo che erano “sponsorizzati” da alcuni membri influenti delle gerarchie di facoltà. Prima di dare fuoco alle polveri, come si suol dire, ossia prima d’iniziare la prova scritta, parlando con un paio di colleghi, mi sono scappati detti i due nominativi sicuri – quelli insicuri eravamo io e altri due – che secondo le mie previsioni ce l’avrebbero fatta ad accedere al dottorato. Magia delle magie, il mio pronostico si rivelò azzeccato. Lì per lì ho pensato: “Sarà il caso che mi dia all’Enalotto, visto che azzecco i nomi chissà che non vi riesca pure con i numeri…”.
L’esame scritto è filato via liscio. È stata sorteggiata una delle tre buste – sembrava di stare in qualche trasmissione televisiva, del tipo: scegli la busta giusta. È uscito un tema – che naturalmente, come sfiga vuole, c’entrava ben poco con quello che ci aspettavamo tutti, o quasi tutti – insisto su quel quasi. Ci sono state date due buste, una grande e una piccina, un foglietto, un paio di fogli a righe, una penna anti-sofisticazione uguale per tutti. Sulla busta piccola ci hanno detto d’infilarci il foglietto con tanto di nome, cognome e data di nascita, e di sigillarla, inserendola poi nella busta grande insieme ai fogli scritti, a sua volta debitamente suggellata. Tutto ciò per trasparire l’aura di massima imparzialità dei commissari giudicanti. Peccato che per ogni regola esista sempre l’eccezione che serve ad aggirarla. Basta un nonnulla, infatti, per far saltare tutto il sistema, come ad esempio: avvertire un professore della commissione con quale incipit si è voluto iniziare il proprio scritto; o magari, fare un minuscolo scarabocchio identificativo a bordo pagina; per non parlare della calligrafia talmente diversa e così particolare per ognuno, che può benissimo essere riconosciuta da chiunque. Se proprio si volessero fare le cose per bene, si dovrebbe far scrivere tutti al computer, così almeno si renderebbe più ardua la vita a certi imbroglioni patentati…
A questo punto chiunque potrà pensare di me: “È arrivato il solito deluso, che per problemi di acidità e ripicca incomincia a sparlare di tutto e tutti, sputando sulla minestra che voleva mangiare pure lui.”. Il che, lo confesso, potrebbe essere più che verosimile se solo chi vi parlasse fosse davvero interessato a venire ammesso in qualche dottorato. Tuttavia, personalmente, non ci tengo a fare il precario a vita e ad essere in balia di loschi figuri, che a seconda di come gli gira decidono delle tue sorti. Iniziare e concludere un dottorato, in realtà, se non ti dai parecchio da fare a tirare leccate a destra e a manca, quasi certamente non ti servirà a prendere in consegna qualche cattedra universitaria, una volta nominato ricercatore. Resta il fatto, però, che a me non importa una sega di questa stramaledetta ammissione. Ciononostante – e ciò non è una contraddizione – ho voluto sperimentare di persona – della serie: sbatterci proprio il muso frontalmente – alcune risapute dicerie. Il mio tentativo di spuntarla in un dottorato di ricerca è voluto essere un esperimento sociologico, che qui lo dico e non lo nego è stato solo il primo di una lunga serie, visto che sono più che mai persuaso a ritentare in futuro – fino ad esaurimento nervoso.
Come ogni buon sociologo che si rispetti, pur non essendolo io stesso – tutto ciò che finisce in “ologo”, compreso “soci-ologo”, non m’interessa affatto –, ho individuato un ambito d’indagine e quindi ora non faccio altro che sgobbare sodo sul campo. Come fanno i sociologi di professione, inoltre, anch’io ho cercato di aiutarmi non solo con le parole, ma anche con i numeri, precisamente con alcune statistiche. Fra le tante, ne basti una – a titolo esemplificativo: ho calcolato che vi sono per me, candidato privo di raccomandazioni ai piani alti del Palazzo, più probabilità di vendere un milione di copie del mio romanzo, prossimamente in uscita, che venire selezionato in un concorso di dottorato. Come spiegazione pseudo-razionale – ad una statistica che di razionale ha ben poco – ho trovato che nonostante il calcolo numerico mi dia una possibilità su venti di accedere al dottorato, mentre per la vendita di un milione di esemplari del mio romanzo il rapporto è sfavorevolmente uno a un milione, il mio calcolo morale mi dice esattamente il contrario. Tale conteggio trae lo spunto da un episodio significativo – uno di molti –, che mi è stato raccontato e che più mi ha colpito, in assoluto, per la sua sorprendente assurdità. Vi avverto: siete liberi di non crederci, neppure io ci credo tuttora o almeno non voglio crederci…
Il protagonista è un importante professore ordinario di un’università italiana. Costui seleziona i suoi candidati in base a quanto sfacchinino per lui e per la moglie. Nel senso che se tu vuoi essere scelto come suo “dottorando” devi reggere dei ritmi infernali – tipo quelli della segretaria tuttofare protagonista del film Il diavolo veste prada, tanto per capirci. Devi… lavargli la macchina il sabato o la domenica. Portare due volte a settimana la moglie a far la spesa o commissioni varie – tipo in banca, in posta, in giro per negozi a far compere, eccetera. Rispondere alle e-mail dei suoi “laureandi”, nonché leggere le tesi di laurea dei medesimi e riferirne poi il contenuto nientemeno che al boss in persona. Allacciargli la cravatta, con il doppio nodo come piace a lui. Servirgli il caffè d’orzo, regolarmente in tazza grande, nel suo studiolo privato. Fargli la barba tutte le sacrosante mattine. Gestire i suoi appuntamenti clandestini con le sue amanti-studentesse, poco modello ma molto modelle – che per un trenta e lode nel loro curriculum studiorum sono ben disposte a sottomettersi nella posizione canonica del “missionario”. Infine, proprio in-fine, il requisito indispensabile per diventare un suo “cane di razza” è redigere le bibliografie dei suoi libri. Qui il candidato-schiavo dovrà citare dettagliatamente ogni singola pubblicazione del suo mentore, senza dimenticarsi neppure un solo articolo apparso in qualche rivista specialistica – e siccome stiamo parlando di un professorone ordinario “cariatide” vantante una carriera accademica trentennale –, vi assicuro che c’è un bel po’ di roba da ricordarsi…
Non possedendo i suddetti requisiti mi sono subito persuaso che forse quella del “dottorando” fosse una professione non adatta a me. Allergico ad ogni forma di sottomissione come sono, penso proprio che al posto del candidato sopra descritto avrei… Rotto i finestrini della sua macchina invece che pulirglieli. Azzoppato la moglie così non si sarebbe mossa da casa. Insultato via mail i suoi “laureandi”, cestinando i file contenenti le loro tesi del cazzo – ho detto cazzo?! Scusate, chiedo venia. Stretto volutamente forte il nodo della sua dannata cravatta. Sputato sul suo caffè d’orzo, correggendolo alla mia maniera. Usato il machete per fargli la barba, ferendolo ripetutamente. Filmato i suoi incontri “a luci rosse” con le studentesse-squillo, mettendo poi i video su YouTube. E, dulcis in fundo, avrei inserito per protesta nelle sue bibliografie indicazioni errate, quali: Siffredi, R., Io e lui, Edizioni Cazzi Dritti, Pornolandia, 2023. Oppure mi sarei sbizzarrito ad elencare tutti i numeri di Topolino, Tex, Dylan Dog, Corto Maltese e così via. (Del resto, io aborro le bibliografie. Credo siano un inutile perdita di tempo. Se vuoi citare il libro di qualcuno lo metti in nota, punto. Conosco certi filosofi, che sembrano dare più importanza ai loro riferimenti bibliografici, che ai contenuti delle loro opere. Uno di questi è stato buono a dire ad un suo “laureando” capace di scrivergli cento pagine di bibliografia, che comunque non andava bene ed era ancora troppo superficiale. Figuriamoci cos’avrebbe detto a me, che di norma nei miei scritti non supero le tre pagine di bibliografia. Non sono molto lontano dal vero se dico che mi avrebbe fucilato seduta stante, o peggio ancora bocciato! Sarà… ma io prediligo, quando scrivo, dare più importanza a quanto vado dicendo, che a quanti libri riesco a citare esibendo tutta la mia smodata paraculaggine…). Vale per i "dottorandi" il motto dantesco: "Abbandonate ogni speranza voi che entrate..."! 

26.9.08

Venerdì 26 Settembre - Impronte digitali. Do you remember Goebbels?

di Marco Apolloni

Italia, in un futuro non troppo lontano...

Il suo visino sporco di terra e bruciato dal sole si era rabbuiato, non appena gli avevano dato la notizia, non voleva saperne di farsi accompagnare in Caserma. Voleva giocare con la sua nuova amica, Maia, per cui aveva appena raccolto un ciuffo di margheritine. Ma papà e mamma erano irremovibili: “Niente storie, dobbiamo andare, se no questi ci rimandano a far la fame in Romania”.

***
Erano romeni di etnia rom, suo padre e sua madre, e in linea teorica lo era anche lui. Solo che Florian era nato e cresciuto in Italia, precisamente a Roma: originariamente ribattezzata caput mundi e adesso governata da uno sbiadito esemplare della razza dei Cesari. Da sette anni si erano trasferiti nel Belpaese, che di bello ormai aveva solamente il nome. Tanti anni quanti ne aveva il piccolo Florian, che da quando stava nel pancione materno si era abituato a respirare la frizzante aria romana. Roma di maggio... uno spettacolo! Il cielo era terso quel giorno e il sole ardeva alto in cielo. Fosse stato per lui se ne sarebbe rimasto volentieri al campo, dove tutto sommato non viveva poi così male.
Nonostante la giovanissima età, gli altri bambini avevano già imparato a rispettarlo. Da quella volta che si era preso a calci e pugni con un ragazzino più grande di tre anni, ruzzolando per terra e facendosi valere come combattente nato. D'altronde se sei cresciuto in un campo rom e a tre anni ti mostrano già i primi trucchetti per derubare la gente, portandoti in spalla sui binari della stazione Termini, impari presto che la vita non è tutta rosa e fiori. Impari a cavartela da solo. Ma che ne sanno i bambini italiani, con la loro pancia piena, dei loro coetanei rom meno fortunati che invece devono imparare a farsi valere senza l'ausilio di mamma e papà...
Una volta nella roulotte di un suo cugino Florian vide uno strumento che credeva appartenere al mondo incantato di Narnia, non avendolo mai visto né tanto meno toccato prima in vita sua: era una playstation lucidata a puntino per l'occasione. Quando Florian prese in mano il joystick, le sue dita quasi tremarono al contatto con quei pulsanti scintillanti. Indescrivibile fu l'emozione del suo primo goal a Fifa, il gioco preferito da tutti gli amanti del calcio su console. Lo segnò Del Piero, il suo idolo. Sopra al letto aveva perfino attaccato il poster del giocatore juventino, con la casacca zebrata e i ricciolini svolazzanti dei suoi migliori vent'anni. Quante lattine vuote aveva spiaccicato nel tentativo di provare il famoso goal “alla Del Piero”. Era solito posizionarle su un muretto e poi tentare di colpirle con un pallone sdrucito che aveva trovato, un giorno, per strada. Appena lo aveva visto, senza pensarci neppure un attimo se l'era infilato subito sotto la maglietta portandoselo in roulotte. Era l'oggetto più prezioso che aveva e lo custodiva gelosamente, come fosse il tesoro più ambito dei Caraibi. Ma ora nella gerarchia delle priorità della sua vita, il calcio era passato in secondo piano. In primo si era saldamente ancorata Maia, la ragazzina di nove anni con sangue gitano che viveva anche lei nel campo rom. Due tizzoni ardenti al posto degli occhi, capelli lunghi e lisci color dell'ebano. Florian impazziva ogni volta che se la trovava davanti. I primi tempi non riusciva nemmeno a spiccicar parola quando l'incontrava. Poi un giorno si fece avanti lei, mentre lui era troppo indaffarato a prendere a calci il suo pallone. La loro divenne presto un'amicizia sincera. Un paio di volte andarono a vedere insieme dei films sdolcinati in un piccolo cinema di periferia. Naturalmente il biglietto per loro era omaggio, visto che s'intrufolavano furtivi facendola in barba al gestore troppo concentrato nello strappare i biglietti dei paganti.
Di scuola neanche a parlarne. Sia lei che lui, però, si divertivano a vedervi uscire i loro coetanei romani: li trovavano così buffi con i loro zainetti stracolmi di libri, che pesavano quasi più di loro. Florian e Maia, invece, col cavolo si sognavano di andare a scuola. Per di più avrebbero dovuto fare cinque chilometri a piedi ogni sacrosanta mattina per raggiungere l'istituto scolastico più vicino. A nulla servirono i continui incontri con quelli dei servizi sociali, che per convincerli elargivano caramelle e cioccolatini. A loro non serviva la “carota” dei servizi sociali, né tanto meno il “bastone” delle forze dell'ordine. Bensì occorrevano loro i pulmini promessi da quelli del Comune, bravi a parole ma asini patentati quando si trattava di attuare i loro bei proponimenti. Far fare cinque chilometri a piedi sotto l'acqua e il gelo, in inverno, oppure sotto al caldo e al sole schiacciasassi, in primavera, non serviva da incentivo per la già scarsa smania di studio dei bambini del campo. Con la camicia c'è chi ci nasce e chi no: e questi ultimi difficilmente nel corso della loro vita avranno modo d'indossare ciò che non hanno.

***
“È inutile spingermi, tanto io non vengo” ripeteva il piccolo puntando i piedi con tigna. Papà Victor fu così costretto a fare il suo dovere di capofamiglia, tanto ingiusto quanto spesso ineluttabile: prese energicamente a ceffoni l'amato, ma disubbidiente figlioletto. Dall'espressione sofferente del suo volto sembrava disgustato di quel che aveva appena fatto.
“Basta così” furono le sole parole che riuscì a pronunciare Maria, guardando il marito con sguardo comprensivo. Anche lei, del resto, sapeva bene che il marito aveva fatto ciò che era giusto per loro tre.
Intanto Florian si era accasciato a terra, rannicchiandosi in una posizione fetale. Non aveva la forza di piangere e soprattutto non voleva dar spettacolo, vista la folla che si era assiepata lì attorno per assistere a quella straziante scenata familiare. Nel viso portava i segni impressigli dal volere paterno e in cuor suo non sentiva di dover biasimare suo padre. Anche lui si rendeva conto della necessità di quelle botte. Suo padre, in fondo, aveva agito per il loro bene... Florian alla fine dovette cedere e non oppose più alcuna resistenza quando papà e mamma lo trascinarono di peso nella sgangherata Cinquecento, con la targa pericolante e appiccicata dietro con lo scotch. Al loro arrivo in Caserma furono accolti dall'appuntato Corelli, che fece loro cenno di seguirlo. Li condusse nell'ufficio del comandante in capo, dove papà Victor appose la sua firma quasi stenografata nel punto indicatogli con il dito dal comandante. Dopodiché l'appuntato, senza tanti preamboli, eseguì gli ordini del suo superiore e prese con forza la mano del piccolo, che accennò appena ad una mezza reazione, subito placata da un'occhiataccia del padre. Quei “carambolieri” – come li avevano ribattezzati al campo – non meritavano la soddisfazione di vederlo umiliato. Sicché, dopo l'iniziale reticenza, Florian distese i suoi lineamenti e con un sorrisino enigmatico si lasciò prendere l'impronta delle dita, senza far storie, con dignità. Nonostante il Governo italiano, capace di un simile barbaro provvedimento, avesse in quel modo tentato di strappargliela.

Do you remember Goebbels?

24.9.08

Mercoledì 24 Settembre – Vota Silvia, vota Silvia, vota Silvia!

di Silvia Del Beccaro
A Ballarò questa sera parlavano – strano a dirsi – di stipendi e pensioni. Un binomio che corre come due binari ferroviari. Protendono verso l’infinito, paralleli l’uno all’altro, non toccandosi mai, ma puntando verso un’unica direzione: l’abisso. Purtroppo è vero quel che si dice, non si riesce ad arrivare a fine mese. Ci si inventa di tutto pur di lavorare, si fanno quattro lavori, dormendo 6 ore a notte – a malapena – e cercando di mantenere sempre e comunque una vita sociale. Ma d’altronde non si può avere tutto dalla vita. Come si può tirare avanti quando un lavoro part-time ti offre 500 euro al mese, che aggiunti ai 150 euro che ti guadagni arrabattandoti come “smanettane-tuttofare del pc” diventano 650, che aggiunti alla paghetta mensile che le ripetizioni ti portano diventano 800… E non ho preso un caso limite, ho semplicemente associato il lavoro di un amico a quello di un’altra amica e ho accomunato le loro esperienze a quelle di un’ulteriore conoscenza. Giusto per far capire come sia dura con tre lavori portare a casa uno stipendio normale. Figuriamoci con uno solo di questi “lavori”. La scorsa notte ho avuto una folgorazione. Intorno all’1 ho ripensato alle mie vecchie conoscenze giornalistiche e nessuna di queste – in ambito politico – rispondeva alla figura che stavo cercando nella mia mente: un assessore alle politiche giovanili, di nome e di fatto. Ho ripensato al modo in cui queste persone amministravano l’assessorato del mondo giovanile. Ho ripercorso le loro iniziative, i loro spunti, le loro riflessioni. E più meditavo, seppur nel sonno, più mi convincevo del fatto che nessuno di loro è mai stato in grado di svolgere correttamente il proprio compito ossia tutelare i giovani. L’assessorato alle politiche giovanili dovrebbe essere quello che analizza a 360 gradi l’universo giovanile – lo dice il nome stesso. E invece no. Si pensa a coinvolgere i ragazzini con iniziative culturali, manifestazioni hip hop – che io adoro ma non sono utili seriamente in un contesto come quello odierno. Per questo ho deciso di candidarmi. Voglio diventare assessore alle Politiche Giovanili. Voglio essere il primo assessore a dedicarsi seriamente al problema del lavoro giovanile. Non voglio aspettare che qualcuno, dall’alto degli edifici romani, mi dica cosa è meglio per me. Ho ventisei anni, so io ora cosa è meglio per me e voglio aiutare anche gli altri a dire la loro. Voglio riuscire a fare un primo passo importante verso la non-precarietà. Ci riuscirò, io che ho lavorato per anni come precaria in prima linea, sprovvista di ferie e malattia, tredicesima e quattordicesima solo nei sogni… Certo, forse sono spinta dalla mia delusione personale, ma in fondo c’è sempre bisogno di un motivo per andare avanti e compiere il primo passo. In tutto. Nel mio caso è la stanchezza, la delusione, l’amarezza di fronte alla totale e generale impassibilità dei “giovani assessore alle politiche giovanili” (tutti di età compresa fra i 24 e i 30 anni). Ma soprattutto è la voglia di cambiare le cose. Il mondo si deve rinnovare. E io voglio essere la sua stilista. 

22.9.08

Lunedì 22 Settembre – Sul Ministero della “pubblica distruzione”

di Marco Apolloni

Oggi vorrei parlarvi di una tragedia tutta italiana. Vorrei parlarvi della Scuola italiana. Immagino quello che starete pensando e me ne rattristo. Vi assicuro che non è mia intenzione sparare sulla croce rossa. Come sport non mi è mai piaciuto e, a dire il vero, non vi ho mai aderito. Ma come saprete bene, c’è sempre una prima volta per tutto nella vita. Navigando in rete negli ultimi giorni sono rimasto allibito nel vedere quanti post[1] sono stati sprecati sull’Istituzione più scalcinata che ci ritroviamo in Italia. Un’Istituzione che ha dovuto subire ad ogni cambio di Governo, una nuova invasione barbarica che deliberatamente l’ha saccheggiata privandola della sua anima profonda. Pur essendo politicamente schierato, in materia scolastica non mi faccio problemi a sputare veleno a destra e a manca – anche se più a destra che a manca, ad essere sincero.
Ponete il caso di un pischello come me, che ha conseguito da poco una laurea specialistica in filosofia – materia che già di per sé non ti garantisce il “pane”, men che meno il “companatico” – e che vorrebbe imboccare la via “infernale” – a giudicare dagli eventi degli ultimi giorni – dell’insegnamento nei licei[2]. Tu pischello, incalzato dai tuoi genitori previdenti – che non ne potevano più di sponsorizzare i tuoi studi – e messo in allerta dalle notizie allarmanti che hai letto sui giornali – vedi alla voce SSIS[3] – ti decidi a fare una telefonata sconsolata agli alieni del Ministero. Alieni perché tu provi a chiamarli una, due, tre, quattro, cinque volte e niente. Dall’altra parte della cornetta il telefono squilla a vuoto. Al che tu, visibilmente incazzato, non ne puoi più, vorresti rinunciare ma poi chi li sente i tuoi sponsor… Allora provi e riprovi e… No, non è possibile: c’è vita su Marte! Una ragazza dalla voce umana, incredibile a dirsi, e pure simpatica – chi l’avrebbe mai detto all’interno del Ministero della “pubblica distruzione” – ti aggiorna sullo stato delle cose. Sarà pure simpatica ‘sta tipa, ma quello che ha da dirti ti affossa il morale sotto le suole delle scarpe. Ti senti ripetere un: “Sono spiacente, ma al momento non posso dirle con certezza se e quando la situazione si risolverà. L’unico consiglio che posso darle è controllare periodicamente il sito aggiornato – sì, ha detto proprio la fatidica parola, aggiornato – del nostro Ministero. Quando si saprà qualcosa di più preciso, vedrà che verrà inserito nel sito”. Tu, a questo punto, cerchi di farle compassione e tenti di sollecitarle i buoni sentimenti: tentativo riuscito! T’illudi che forse la simpatia è reciproca e allora lei ti fa: “Ascolti, prima di Aprile-Maggio prossimi la situazione non dovrebbe cambiare. Dovrà attendere quella data per chiedere di venire inserito nella graduatoria della Terza fascia – e che roba è, ti chiedi, ma sorvoli perché pendi dalle sue labbra e vuoi che continui –, in ogni caso potrà sempre tentare di far domanda diretta al singolo dirigente scolastico della singola scuola e non è detto che non le assegnino qualche supplenza”.
In sostanza, ti metti a disposizione dei presidi, confezioni il tuo bel C.V.[4] nella speranza di lasciarli a bocca aperta. E così fai, cominciando da quei presidi che conosci meglio, anche qui nella speranza – quante speranze per un mestiere già disperato in partenza – che siano più propensi degli altri a farsi impressionare dai tuoi titoli. Il più onesto di questi presidi, il tuo ex preside del liceo, ti dice chiaro e tondo: “Vedrò quello che potrò fare, ma non voglio illuderti. Questo Ministro non si sa bene che intenzioni abbia con voi giovani leve. La situazione è questa: le assunzioni sono bloccate più o meno dall’era della pietra, per quest’anno dovremmo ancora attenerci alle graduatorie del Ministero, poi pare, dall’aria che tira, che dall’anno prossimo ciascun Istituto potrà arruolare i propri docenti con un sistema davvero innovativo: a chiamata! Sai cosa significherebbe? Creare nei licei lo stesso e identico sistema clientelare dei Baronati universitari. Sono piuttosto preoccupato, non te lo nego. Se così fosse sarebbe la fine della trasparenza e l’inizio di una meritocrazia particolare, che più che alla bravura di un insegnante mira alle simpatie personali del preside. Bah…”.
Ora lasciamo perdere questo presunto pischello, trattandosi del sottoscritto. Il quesito che mi pongo è: cosa diamine balena in testa alla Ministra Gelmini, che da vera avvocatessa sono sicuro saprà far fronte ai dilemmi di un Ministero - che, in fin dei conti, c’entra con il suo precedente mestiere un po’ come i cavoli a merenda. Mi rimane il sospetto che dietro ai tagli da lei annunciati – oltre alle SSIS, si veda anche quella curiosa riproposizione del “maestro unico” alle elementari – ci sia lo zampino del commercialista più ricco e famoso d’Italia. E chi se non lui, il “nuovo” – anche se suona un po’ come un eufemismo – Ministro dell’economia: Giulio Trimon’ – come direbbero alcuni miei amici pugliesi.
Persino una dittatura come Cuba si è resa conto dell’essenzialità di due Ministeri, uno la Sanità e l’altro la Scuola. Perché: senza il primo verrebbe meno il nostro unico bene assoluto, la Vita, la quale verrebbe penalizzata tanto in termini qualitativi che quantitativi; e senza il secondo invece, che razza di avvenire daremmo ai nostri figli privandoli di quel valore supremo, la Cultura, la quale è la sola che li renderà liberi un giorno – e sappiamo tutti quanto possa valere la libertà per un essere umano…
Beh, Cuba ci è arrivata. Noi no. I cubani si procurano il loro approvvigionamento energetico, scambiando – coi loro alleati strategici – dottori e insegnanti per il petrolio. Noi in Italia, tutt’al più, potremmo scambiare veline e calciatori per avere qualche misero barile di “oro nero”… Un Paese che non fa nessun affidamento sulla Scuola e, di riflesso, sulla Cultura, è un Paese ridotto male ed è quasi “alla frutta”, in un certo senso. Ma come stupirci di tutto ciò, visto che il nostro sempiterno Presidente del Consiglio ha più volte dichiarato in pubblico che sono anni che non legge un libro. Lui che, in fondo, è solo il più grande “magnate” dell’industria editoriale italiana. Dettagli a parte, quel che conta è che mi candido a diventare uno scrittore in un Paese dove non si leggono libri, o dove quelli che leggono libri sono diventati una minoranza tale per cui sono pure meno dei Testimoni di Geova. E come se non bastasse, visto che - come mi ha detto il mio ex preside - non si può vivere di sola “gloria”, per di più s’è “letteraria”, mi accingo ad intraprendere una carriera come insegnante liceale talmente in salita da fare sembrare una passeggiata in lieve pendenza la scalata dell’Everest... Ma io, impavido – più di Mel Gibson nei panni dell’eroe scozzese William Wallace in Braveheart –, voglio crederci lo stesso poiché se una cosa ho appreso nella mia vita è che: se non credi in te stesso è vano sperare che ci creda qualcun altro

[1] Chi non è a conoscenza del significato di questa parola è da ritenersi un indegno lettore di questo post
[2] Lo ammetto, sono un fan sfegatato del professor Keating. Quello dell’Attimo fuggente. Il film, tanto per capirci. Chi non l’avesse visto, per penitenza, è seriamente invitato a rimediare.
[3] Scuole di specializzazione per l’insegnamento, che dopo la chiusura dei concorsi pubblici – anni fa – hanno svolto fino all’altro ieri il ruolo d’inserire, si fa per dire, nuovi precari all’interno delle scuole medie e superiori, però munendoli della famigerata “abilitazione”, senza la quale i dirigenti scolastici – i presidi cioè – non ti si filano neanche di striscio e ti storcono la bocca se gli vai ad elemosinare una pur misera supplenza.

[4] Letteralmente: "Curriculum Stronzate"…

21.9.08

Domenica 21 Settembre - Olimpiadi cinesi ed elezioni americane

di Marco Apolloni

Non so se la “Cina è più vicina” adesso, ma di certo è meno lontana... Cosa ci rimarrà della kermesse olimpica cinese? Forse gli otto ori dell'americano Micheal Phelps, per gli amici Fishman – dopo Batman e Superman consiglio a quelli della Marvel & Comics d'inventarsi anche un fumetto in onore di quest'uomo pesce discendente diretto degli Atlantidi –, che da soli eguagliano le medaglie auree della nostra pur valente Italia. Forse la stoccata decisiva con cui nel fioretto femminile individuale la nostra esperta Valentina Vezzali si è assicurata il suo ennesimo trionfo. Forse le carrellate di medaglie d'oro vinte dagli atleti bionici cinesi – e non ce ne voglia un altro atleta bionico tale Oscar Pistorius. O forse ci rimarrà lo stravagante balletto del giamaicano Usain Bolt, due ori e due rispettivi records del mondo intascati nei 100 e nei 200 metri piani (senza contare l'oro della staffetta maschile sempre nei 100), atleta dalle potenzialità infinite ribattezzato non a caso “il padre del vento”, dopo “il figlio del vento” Carl Lewis. Non so voi, ma a me queste Olimpiadi non sono dispiaciute. 

Qualche settimana fa mi è capitato di leggere un trafiletto apparso sul settimanale “A” (di Anna) dove il direttore del Giornale Mario Giordano, cavalcando l'onda di proteste, ha letteralmente sparato a zero sugli scheletri nell'armadio della Cina – pena di morte, diritti umani violati, annichilimento della cultura tibetana, inquinamento globale, concorrenza economica sleale, eccetera. D'accordo con Lei, egregio direttore, tutte le cose dette sul conto della Cina vanno benissimo e rispecchiano, per la gran parte, il vero. Già da quando i telegiornali a reti unificate - diverse settimane prima dell'inizio dei Giochi - si arrovellavano sul dilemma amletico se far sfilare o meno la nostra delegazione olimpica nella cerimonia d'apertura, mi son sempre chiesto: “Ma che c'entra lo sport con 'sto benedetto Tibet?!”. I tibetani possono pure avere tutte le ragioni del mondo – come le hanno del resto, badate bene – ma una cosa è quello che può fare lo sport e ben altra invece quella che potrebbe – ma che poi non fa quasi mai – la politica. Perciò ho apprezzato con piacere le parole sensate del Presidente del nostro Comitato olimpico Giovanni Petrucci, che ha opportunamente ribadito il concetto e rinfrescato le idee ai più duri di orecchie. Lo sport, oltre ad essere palestra di vita ed usato sin dall'antichità per plasmare l'uomo totale – inestimabile a tal riguardo è il detto latino: mens sana in corpore sano –, non può spingersi oltre la sua sfera di competenza. È pressoché inutile, oltre che inutilmente rischioso, cedergli il testimone in affari ben più grandi, che coinvolgono delicati equilibri geopolitici internazionali. In una parola, lo sport non ha le carte in regola per occuparsi delle gravi questioni di politica estera. Protestare è un diritto-dovere di qualunque uomo o atleta che vuol così facendo dare un segnale inequivocabile. Ma complotti o boicottaggi per rovinare quella che dovrebbe essere la più grande festa sportiva mondiale, qual è un’Olimpiade – nell'antichità addirittura si fermavano le guerre fra gli Stati con il pretesto dei Giochi olimpici –, si sarebbe rivelata una colossale idiozia. Per fortuna alla fine ha prevalso il buon senso, malgrado i soliti “bastian contrari”. Come cantava Freddy Mercury: The show must go on... Tibet o non Tibet. E così è stato, infatti. 

Coi Giochi olimpici di Pechino è oramai andata in archivio anche la nostra Estate, rovente come al solito. E a quanto si legge – un po' in tutte le colonne dei più noti quotidiani nazionali: ancor più “rovente” sarà il prossimo autunno. Il conto alla rovescia sta per partire. Il Governo ha in mente di varare parecchi decreti – c'è addirittura chi annuncia il ritorno della benamata Ici, vecchio “cavallo di battaglia” delle nostre celeberrime campagne elettorali. Nel frattempo si spera che l'Opposizione, dopo il varo dell'esperimento anglosassone del “Governo ombra”, non vari anche “l'Opposizione ombra”, perché più “ombra” di così verrebbe notte... Intanto nel più civilizzato e conservatore Paese del mondo, gli Stati Uniti, sta dilagando la “obamite”, malattia neuro-degenerativa che paralizza tutte le sinapsi “razziste” americane. L'ultima speranza dei Repubblicani è riposta nel senatore “osso duro” John McCain – il miglior salvagente possibile dopo i due mandati del cowboy texano “W” Bush. Per chi non ne conoscesse la storia: ex eroe di guerra pluridecorato, che nelle carceri di “ferro” – in tutti i sensi – del Viet“fottuto”Nam seppe resistere a torture sia fisiche che psicologiche ad opera dei vietcong. I sondaggi sembrano oscillare – come un pendolino impazzito – tra i due candidati. Ma se c'è un consiglio che noi italiani abbiamo sperimentato sulla nostra pelle e che possiamo dare ai nostri amici “a stelle e strisce” è proprio quello di non fidarsi troppo dei sondaggi. Chiunque sarà il vincitore speriamo sia migliore del suo disastroso predecessore... (Anche se: I support Barack Obama!) 

20.9.08

Sabato 20 Settembre - Lady Trivella

di Marco Apolloni

La signora Sarah Palin, candidata alla Vicepresidenza nel Paese più potente del mondo, da vera irriducibile repubblicana ha le idee ben chiare su come non-risolvere lo stato d'inquinamento del Pianeta. Per sopperire alla crisi energetica – vista l'oramai stabile impennata dei prezzi del petrolio –, in qualità di Governatrice dell'Alaska la Palin si è resa disponibile a trivellare il territorio del proprio amato Stato – fiore all'occhiello oltre che paradiso faunistico degli Stati Uniti d'America – alla ricerca di chissà quale fantomatica Eldorado petrolifera... La ricetta della signora Palin appare chiara: aumentano i consumi? No problem! Ecco servita come portata speciale “'a trivella” – come direbbero a Napoli. Il nostro Pianeta sta per terminare le proprie risorse energetiche naturali? No problem! Lady Trivella Palin si è già infilata la tutina e il caschetto pronta a spremere come un limone il Pianeta da quel fottuto democratico qual è. Madre Natura è democratica, secondo la Palin, lo sapevate? Come se non bastasse la sua vena anti-ecologista, c'è pure dell'altro nella signora Palin. In una storica gaffe, rispondendo alla domanda di una giornalista sull'intervento militare della Russia in Georgia, lei si è detta subito pronta – in caso venisse eletta insieme a John McCain – a dichiarare guerra al nemico “rosso” (anche se di rosso gli ci sono rimaste solo le matrioske).
I venti repubblicani che spirano da oltreoceano non sembrano ben auguranti. Anche se si è trattato di una terribile gaffe – e chissà che non contenga una pur infinitesimale particella di verità...
Intanto gira voce che la crisi georgiana sia stata escogitata ad hoc per favorire un candidato – facile intuire quale – in vista delle prossime elezioni presidenziali americane. Fonti russe affermano di aver trovato all'interno di un commando delle forze speciali georgiane un passaporto molto “sospetto” di un cittadino americano... Magari si tratta del solito bluff, magari no. Quello che persino un neonato potrebbe capire è che se il candidato repubblicano venisse eletto il mondo intero correrebbe il rischio di ripiombare nell'incubo di una nuova, ancor più sottile e psicologica, “guerra fredda”. Scenari del genere mi fanno venire la pelle d'oca. Tanto è inutile, i membri del partito repubblicano – seppur della caratura morale di McCain, il cui eroismo è risaputo – hanno nel loro Dna il vizio di dar la “caccia alle streghe”. La parola “maccartismo”, come anche del resto la parola “armi di distruzione (o distrazione) di massa”, non vi dice niente? Intanto diverse organizzazioni razziste americane, che si rifanno al fantasma dello “Zio Adolfo”, sono sulle tracce – come i segugi dietro all'osso – del candidato democratico, nonché “speranza nera” di milioni di persone nel mondo, Barack Obama: la cui stoffa del Predicatore è impressa in tutti coloro che hanno avuto occasione di assistere alle sue performance oratorie. Nei suoi discorsi mi ricorda incredibilmente il tono gospel del reverendo Martin Luther King...
Alla resa dei conti, ci auguriamo che Obama scampi alla fine cruenta dei Kennedy e vinca le prossime elezioni, ricacciando al mittente l'ondata conservatrice spirante dai gelidi ghiacci dell'Alaska. Per quanto vogliamo fare i distaccati, noialtri europei, ho il timore che dovremmo ancora interessarci a lungo agli affari americani. Almeno finché i nostri Paesi europei non staccheranno le loro lingue appiccicose dal “culo” della super-potenza americana, da quei fini “Americadipendenti” quali sono.
Concludo questo mio primo giorno da blogger con una chicca di Einstein, che una volta interrogato sull'utilizzo di nuove armi in un'ipotetica Terza guerra mondiale rispose pressapoco che non sapeva con quali armi potesse essere combattuta questa guerra ma che – in caso fosse scoppiata – sapeva per certo con quali armi sarebbe stata combattuta la Quarta: con le clave di pietra!

P.S: La Storia è maestra-di-vita o maestra-di-niente? Io sostengo la prima ipotesi, anche se conservo seri dubbi sulla seconda, vista l'incredibile e sempre imprevedibile dose d'idiozia umana...


[1] Una malattia silenziosa e strisciante di nome “uomo”, che lentamente ma inesorabilmente lo sta soffocando, riducendolo ad una poltiglia di piogge acide, buchi dell'ozono, uragani, terremoti/maremoti, eccetera.

19.9.08

Terza tappa di "CineFilosofando": simposio cinefilo.

di Silvia Del Beccaro



Dinamico, espressivo, coinvolgente. In occasione della sua prima conferenza brianzola - dopo le tappe di Civitanova Marche e Castelfidardo - Marco Apolloni ha dimostrato ancora una volta di saper essere una personalità intraprendente e brillante, culturalmente attiva e dalla parlantina sciolta - nonostante i suoi venticinque anni. Incalzato nel corso della conferenza da Giuseppe Girgenti, professore dell'Università "Vita-Salute" San Raffaele, l'autore di "CineFilosofando" ha intrattenuto il pubblico presente con una serie di approfondimenti relativi alle pellicole da lui trattate fra cui "Ghost Dog", "L'ultima tentazione di Cristo", "La Caduta" e "L'appartamento spagnolo". La serata è stata allietata dalla proiezione introduttiva di un breve video esplicativo (che ha riassunto in pochi minuti film e parole-chiave trattati nel libro), nonché da un omaggio donato ai due relatori dalla responsabile della biblioteca cesanese Myriam Colombo, prima organizzatrice della serata.

17.9.08

Presentazione "CineFilosofando" - Marco Apolloni - Cesano Maderno


Comune di Cesano Maderno
Biblioteca Comunale “Vincenzo Pappalettera”

presenta

“CineFilosofando – La vita è come un film”
Presentazione del libro di Marco Apolloni

GIOVEDI 18 SETTEMBRE 2008
Ore 21.00

Sala Pavoni c/o Biblioteca Civica “Vincenzo Pappalettera”
Via Borromeo, 5 - Cesano Maderno (Milano)

Modera: prof. Giuseppe Girgenti dell’Università “Vita-Salute” San Raffaele

***

Giovedì 18 settembre, alle ore 21.00, la “Sala Pavoni” della Biblioteca Civica cesanese di via Borromeo 5 ospiterà la presentazione del libro CineFilosofando (2008, Kimerik Edizioni) di Marco Apolloni. Dopo le affollate presentazioni di Civitanova Marche e Castelfidardo, questa nuova tappa del tour divulgativo del venticinquenne fidardense toccherà dunque Cesano Maderno, la città in cui ha vissuto e studiato negli ultimi due anni e in cui ha conseguito la laurea magistrale/specialistica lo scorso 14 luglio. «Trascorrere questi due intensi anni in Brianza è stata per me un’esperienza significativa, che mi lascerà dentro dei ricordi molto positivi. Soprattutto la gente, con cui ho avuto a che fare, mi si è rivelata quasi sempre disponibile e amicale. Inoltre, a Palazzo Borromeo ho avuto modo di affinare i miei strumenti di studio e di maturare come studioso» dichiara a tal proposito l’autore Apolloni.
La serata prevedrà la partecipazione del professor Giuseppe Girgenti, Ricercatore di Storia della Filosofia Antica presso la sede cesanese dell’Università “Vita-Salute” San Raffaele, che per l’occasione indosserà le vesti di moderatore.
CineFilosofando un saggio anticonvenzionale a cavallo fra cinema e letteratura, che analizza sette pellicole in maniera scorrevole e soprattutto evitando ogni riferimento puramente tecnico. Si tratta infatti di un testo che – a dispetto di quanto possa far intuire il titolo – è accessibile a tutti, in particolar modo a coloro che si ritengono dei veri e propri amanti della cinematografia in senso lato. Attraverso gli occhi di uno spettatore attento e al tempo stesso curioso di scovare sempre nuovi particolari, l’autore Marco Apolloni tenta di recensire le sette pellicole dando una spiegazione umanistica di esse, ricollegando i sette film alle rispettive epoche – dal Medioevo e l’era dei vichinghi all’epoca nazista e all’era odierna – e filosofie di vita – ad esempio, il sacrificio del samurai e il sacrifico messianico per il bene dell’umanità.
I film analizzati sono più o meno noti al grande pubblico e comprendono sia pellicole storiche che recenti realizzazioni. Ghost Dog, Donnie Darko, L’ultima tentazione di Cristo, Il tredicesimo guerriero, Tristano & Isotta, La caduta, L’appartamento spagnolo: sono tutti film conosciuti, per un motivo o per l’altro. Il primo parla di un samurai dei nostri tempi con le movenze di un rapper; il secondo tratta l’avventurosa esperienza dei viaggi nel tempo; il secondo il terzo racconta la storia di un dio che si è fatto uomo ed è morto per lavare i peccati degli uomini; il quarto è ambientato nelle lande brumose del nord in un’epoca buia, il Medioevo; il quinto riguarda una delle storie d’amore più famose, nonché tra le più tormentate di tutti i tempi; il sesto racchiude – per dirlo con Hannah Arendt – la «banalità del male» del Novecento, il nazismo; infine il settimo rappresenta un inno all’europeismo.