A Ballarò questa sera parlavano – strano a dirsi – di stipendi e pensioni. Un binomio che corre come due binari ferroviari. Protendono verso l’infinito, paralleli l’uno all’altro, non toccandosi mai, ma puntando verso un’unica direzione: l’abisso. Purtroppo è vero quel che si dice, non si riesce ad arrivare a fine mese. Ci si inventa di tutto pur di lavorare, si fanno quattro lavori, dormendo 6 ore a notte – a malapena – e cercando di mantenere sempre e comunque una vita sociale. Ma d’altronde non si può avere tutto dalla vita. Come si può tirare avanti quando un lavoro part-time ti offre 500 euro al mese, che aggiunti ai 150 euro che ti guadagni arrabattandoti come “smanettane-tuttofare del pc” diventano 650, che aggiunti alla paghetta mensile che le ripetizioni ti portano diventano 800… E non ho preso un caso limite, ho semplicemente associato il lavoro di un amico a quello di un’altra amica e ho accomunato le loro esperienze a quelle di un’ulteriore conoscenza. Giusto per far capire come sia dura con tre lavori portare a casa uno stipendio normale. Figuriamoci con uno solo di questi “lavori”. La scorsa notte ho avuto una folgorazione. Intorno all’1 ho ripensato alle mie vecchie conoscenze giornalistiche e nessuna di queste – in ambito politico – rispondeva alla figura che stavo cercando nella mia mente: un assessore alle politiche giovanili, di nome e di fatto. Ho ripensato al modo in cui queste persone amministravano l’assessorato del mondo giovanile. Ho ripercorso le loro iniziative, i loro spunti, le loro riflessioni. E più meditavo, seppur nel sonno, più mi convincevo del fatto che nessuno di loro è mai stato in grado di svolgere correttamente il proprio compito ossia tutelare i giovani. L’assessorato alle politiche giovanili dovrebbe essere quello che analizza a 360 gradi l’universo giovanile – lo dice il nome stesso. E invece no. Si pensa a coinvolgere i ragazzini con iniziative culturali, manifestazioni hip hop – che io adoro ma non sono utili seriamente in un contesto come quello odierno. Per questo ho deciso di candidarmi. Voglio diventare assessore alle Politiche Giovanili. Voglio essere il primo assessore a dedicarsi seriamente al problema del lavoro giovanile. Non voglio aspettare che qualcuno, dall’alto degli edifici romani, mi dica cosa è meglio per me. Ho ventisei anni, so io ora cosa è meglio per me e voglio aiutare anche gli altri a dire la loro. Voglio riuscire a fare un primo passo importante verso la non-precarietà. Ci riuscirò, io che ho lavorato per anni come precaria in prima linea, sprovvista di ferie e malattia, tredicesima e quattordicesima solo nei sogni… Certo, forse sono spinta dalla mia delusione personale, ma in fondo c’è sempre bisogno di un motivo per andare avanti e compiere il primo passo. In tutto. Nel mio caso è la stanchezza, la delusione, l’amarezza di fronte alla totale e generale impassibilità dei “giovani assessore alle politiche giovanili” (tutti di età compresa fra i 24 e i 30 anni). Ma soprattutto è la voglia di cambiare le cose. Il mondo si deve rinnovare. E io voglio essere la sua stilista.
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