21.9.08

Domenica 21 Settembre - Olimpiadi cinesi ed elezioni americane

di Marco Apolloni

Non so se la “Cina è più vicina” adesso, ma di certo è meno lontana... Cosa ci rimarrà della kermesse olimpica cinese? Forse gli otto ori dell'americano Micheal Phelps, per gli amici Fishman – dopo Batman e Superman consiglio a quelli della Marvel & Comics d'inventarsi anche un fumetto in onore di quest'uomo pesce discendente diretto degli Atlantidi –, che da soli eguagliano le medaglie auree della nostra pur valente Italia. Forse la stoccata decisiva con cui nel fioretto femminile individuale la nostra esperta Valentina Vezzali si è assicurata il suo ennesimo trionfo. Forse le carrellate di medaglie d'oro vinte dagli atleti bionici cinesi – e non ce ne voglia un altro atleta bionico tale Oscar Pistorius. O forse ci rimarrà lo stravagante balletto del giamaicano Usain Bolt, due ori e due rispettivi records del mondo intascati nei 100 e nei 200 metri piani (senza contare l'oro della staffetta maschile sempre nei 100), atleta dalle potenzialità infinite ribattezzato non a caso “il padre del vento”, dopo “il figlio del vento” Carl Lewis. Non so voi, ma a me queste Olimpiadi non sono dispiaciute. 

Qualche settimana fa mi è capitato di leggere un trafiletto apparso sul settimanale “A” (di Anna) dove il direttore del Giornale Mario Giordano, cavalcando l'onda di proteste, ha letteralmente sparato a zero sugli scheletri nell'armadio della Cina – pena di morte, diritti umani violati, annichilimento della cultura tibetana, inquinamento globale, concorrenza economica sleale, eccetera. D'accordo con Lei, egregio direttore, tutte le cose dette sul conto della Cina vanno benissimo e rispecchiano, per la gran parte, il vero. Già da quando i telegiornali a reti unificate - diverse settimane prima dell'inizio dei Giochi - si arrovellavano sul dilemma amletico se far sfilare o meno la nostra delegazione olimpica nella cerimonia d'apertura, mi son sempre chiesto: “Ma che c'entra lo sport con 'sto benedetto Tibet?!”. I tibetani possono pure avere tutte le ragioni del mondo – come le hanno del resto, badate bene – ma una cosa è quello che può fare lo sport e ben altra invece quella che potrebbe – ma che poi non fa quasi mai – la politica. Perciò ho apprezzato con piacere le parole sensate del Presidente del nostro Comitato olimpico Giovanni Petrucci, che ha opportunamente ribadito il concetto e rinfrescato le idee ai più duri di orecchie. Lo sport, oltre ad essere palestra di vita ed usato sin dall'antichità per plasmare l'uomo totale – inestimabile a tal riguardo è il detto latino: mens sana in corpore sano –, non può spingersi oltre la sua sfera di competenza. È pressoché inutile, oltre che inutilmente rischioso, cedergli il testimone in affari ben più grandi, che coinvolgono delicati equilibri geopolitici internazionali. In una parola, lo sport non ha le carte in regola per occuparsi delle gravi questioni di politica estera. Protestare è un diritto-dovere di qualunque uomo o atleta che vuol così facendo dare un segnale inequivocabile. Ma complotti o boicottaggi per rovinare quella che dovrebbe essere la più grande festa sportiva mondiale, qual è un’Olimpiade – nell'antichità addirittura si fermavano le guerre fra gli Stati con il pretesto dei Giochi olimpici –, si sarebbe rivelata una colossale idiozia. Per fortuna alla fine ha prevalso il buon senso, malgrado i soliti “bastian contrari”. Come cantava Freddy Mercury: The show must go on... Tibet o non Tibet. E così è stato, infatti. 

Coi Giochi olimpici di Pechino è oramai andata in archivio anche la nostra Estate, rovente come al solito. E a quanto si legge – un po' in tutte le colonne dei più noti quotidiani nazionali: ancor più “rovente” sarà il prossimo autunno. Il conto alla rovescia sta per partire. Il Governo ha in mente di varare parecchi decreti – c'è addirittura chi annuncia il ritorno della benamata Ici, vecchio “cavallo di battaglia” delle nostre celeberrime campagne elettorali. Nel frattempo si spera che l'Opposizione, dopo il varo dell'esperimento anglosassone del “Governo ombra”, non vari anche “l'Opposizione ombra”, perché più “ombra” di così verrebbe notte... Intanto nel più civilizzato e conservatore Paese del mondo, gli Stati Uniti, sta dilagando la “obamite”, malattia neuro-degenerativa che paralizza tutte le sinapsi “razziste” americane. L'ultima speranza dei Repubblicani è riposta nel senatore “osso duro” John McCain – il miglior salvagente possibile dopo i due mandati del cowboy texano “W” Bush. Per chi non ne conoscesse la storia: ex eroe di guerra pluridecorato, che nelle carceri di “ferro” – in tutti i sensi – del Viet“fottuto”Nam seppe resistere a torture sia fisiche che psicologiche ad opera dei vietcong. I sondaggi sembrano oscillare – come un pendolino impazzito – tra i due candidati. Ma se c'è un consiglio che noi italiani abbiamo sperimentato sulla nostra pelle e che possiamo dare ai nostri amici “a stelle e strisce” è proprio quello di non fidarsi troppo dei sondaggi. Chiunque sarà il vincitore speriamo sia migliore del suo disastroso predecessore... (Anche se: I support Barack Obama!) 

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