Oggi è un gran giorno per l'umanità! Barack Hussein Obama è il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti d'America. Un afroamericano alla Casa Bianca. La realtà ha superato di gran lunga la fantasia hollywoodiana. Onore delle armi all'ex combattente ufficiale di marina, candidato repubblicano, John McCain. (Ora posso dirlo: per il suo passato eroico mi stava pure simpatico. Normalmente, se non ci fosse stato Obama, sono convinto che McCain sarebbe stato un buon Presidente degli Stati Uniti d'America.) Che Obama vincesse ci speravo proprio, lo confesso. Anche se, in fondo, temevo due cose: 1) che non sarebbe arrivato tutto intero al fatidico giorno; 2) che molti bianchi americani non l'avrebbero votato. Per fortuna i miei timori sono risultati infondati. Qualcosa è cambiato in America. Un vento democratico ha pervaso quello che è forse il paese più conservatore al mondo. Siamo realisti, la sinistra americana non è uguale a quella europea. Il professor Angelo Panebianco, celebre editorialista del Corsera, nelle sue illuminanti lezioni mi ha convinto di questo. Tuttavia, credo che il mio esimio professore non obietterebbe nulla se si dicesse che Barack Obama è un progressista. Tirando le somme, se quella di questa lunga e interminabile tornata elettorale – era dagli anni d'oro in cui lavoravo nelle discoteche che non tiravo le cinque di mattina – non può reputarsi una vittoria a tutti gli effetti delle sinistre europee, certamente però il fatto rappresenterà una dura batosta, a lungo andare, per tutte le destre conservatrici europee.
Del resto, con un Presidente così outsider e improbabile – come lui stesso ha voluto definirsi –, che ha saputo trionfare – la sua infatti non è stata una semplice vittoria, ma un autentico trionfo – grazie ad una campagna elettorale tutta basatasi sulla parola cambiamento, me ne aspetto delle belle. Una cosa è certa, il neo-eletto Presidente turberà, e non poco, le coscienze di non pochi lobbisti sia americani che non. Nei suoi splendidi discorsi, che ritengo studieranno i nostri figli un giorno e che sono già entrati nel nostro immaginario collettivo, Obama ha proclamato quella che sarà la sua guerra non al terrore – come il suo infantile predecessore seriamente convinto dell'esistenza del male assoluto –, bensì al privilegio in tutte le sue forme più abiette. Con Obama la nostra speranza, e quella anche evidentemente della stragrande maggioranza degli americani, che il divario fra ricchi e poveri si assottiglierà sempre più acquista una sua fondatezza. Dal mio canto, mi rendo perfettamente conto che il suo tanto agognato cambiamento avverrà per gradi, con grande lentezza e non senza dover scavalcare gigantesche barriere che gli si frapporranno nel suo difficile cammino da mister President. So molto bene, inoltre, che questo cambiamento non potrà avvenire se non mediante un estenuante processo di riforme. Ma dopo gli otto anni di buio profondo con Giorgino Bush, finalmente con Obama s'inizia ad intravedere una fioca luce in fondo al tunnel.
Il sogno del reverendo Martin Luther King ha preso corpo e anima con quest'uomo e ora si è finalmente realizzato. Ricordiamo le sue profetiche parole: “Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!” (discorso pronunciato a Washington il 28 agosto 1963). Per festeggiare ho sparato nel mio stereo, a tutto volume, una canzone degli U2 a lui dedicata: Pride – In the name of love, da quel fine sperimentatore di sogni che è stato. Passeggiando per strada ieri e sentendo alcuni discorsi nei bar, ho avvertito tutt'intorno a me un'aria strana. Dentro di me ho pensato: “Forse è tutta qua l'essenza del cambiamento, in quest'aria diversa!”. Gente a cui non è mai importato un fico secco della politica nazionale, figuriamoci internazionale, ha iniziato per la prima volta a scaldarsi per un argomento non concernente il calcio, un rigore regalato ad una squadra, oppure una punizione assegnata ingiustamente da un arbitro. Da ciò ho avuto la precisa sensazione ieri di vivere un momento storico. Per la prima volta da quando sono nato mi sono sentito parte integrante della storia, che non può prescindere da una sola parola: cambiamento. Senza cambiamenti il nostro genere umano non sarebbe progredito, anche se in certi casi è regredito – si veda il periodo delle due guerre/carneficine mondiali del secolo scorso –, fino a diventare quello che è oggi. Per attuare dei cambiamenti a volte ci sono volute le rivoluzioni cruente; a volte, come questa, basta semplicemente un uomo coraggioso, il quale pur tenendo presente la fine fatta da altri due sognatori come lui, John e Bob Kennedy, ha voluto lo stesso andare avanti. In un commovente discorso a sostegno del marito, la nuova first lady Michelle Obama si è detta stanca di darla vinta alla paura. Come stanchi sono tutti gli americani di vedersi ammazzare chiunque voglia introdurre all'interno della loro società la benché minima forma di cambiamento. L'America ha già avuto fin troppi martiri per la sua nobile causa, troppi omicidi politici, neanche fosse una Repubblica delle banane qualsiasi. Fino ad oggi, e spero mai più in futuro, quella americana è stata una democrazia tenuta sotto scacco da assassini psicopatici. L'augurio che tutti gli americani, oggi, credo si staranno facendo è quello di vedere interrompersi quest'insensata striscia di sangue. Proprio per ciò mi sento d'augurare al nuovo Presidente americano di: sbagliare vivendo...
NO FEAR!
2 commenti:
Anch'io penso che in queste elezioni si sia realizzato il sogno del reverendo King.
Spero solo che Obama abbia la possibilità di mettere in pratica ciò che ha promesso di fare.
Voglio pensare in positivo: ci riuscirà.
Speriamo...
"Change has come to America!".
Saluti,
MA
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