10.5.06

NoIperborei, ovvero il racconto di com’è nato il nostro Blog “iperboreo”

di Marco Apolloni

L’origine è di chi ha una meta… Non mi ricordo da chi l’ho sentito dire o da chi l’ho letto, può darsi anche me lo sia sognato da solo la scorsa notte, che ho trascorso tra l’altro abbarbicato al mio letto semi-sfondato e in preda ad un sonno alquanto turbato. Comunque sia andata la mia reminescenza, l’origine per chiunque dia inizio ad un qualunque progetto – piccolo o grande che sia – è davvero cruciale. Tanto più per dei pensatori “in proprio”, quali noi amiamo presuntuosamente definirci. Dal momento che io sono il “battezzatore” di questo progetto, nel senso che gli ho dato un nome seppur unicamente simbolico, spetta dunque a me raccontare – in poche parole – come sono andate veramente le cose. Già, raccontare… Non conosco miglior espressione di questa, nonché più felice e più bella. Non so voi, ma io ogni qualvolta sento pronunciare la mitica parola “racconto” mi emoziono tutto, manco ritornassi bambino. Non so, sarà che sin da quand’ero piccolo non mi sono mai lasciato prendere dal sonno, senza però prima sorbirmi un delizioso “racconticino” di quella buon’anima del mio nonno materno – perlopiù legato alla Seconda Guerra Mondiale da lui vissuta in prima linea e conclusasi per sua immensa fortuna in una docile e incruenta prigionia nella lontana Algeria. Ma veniamo alla nostra origine “iperborea” vera e propria…
Questo Blog nasce innanzitutto dalla nostra esigenza di esser letti. Chi dice di scrivere solo per se stesso: mente spudoratamente, pur sapendo di mentire. All’incirca l’idea mi è venuta di comune accordo con uno dei miei soci, in un insulso pomeriggio invernale in cui non avevamo granché voglia di studiare e così non sapevamo come perdere il nostro tempo prezioso, o forse lo sapevamo pure fin troppo bene – dipende dai punti di vista. Sta di fatto che trascorremmo un’ora o poco più, in tortuosi ragionamenti a voce alta, anche se dovremmo meglio definirli sragionamenti, sui nostri due rispettivi stili di scrittura piuttosto agli antipodi: barocco ed elegante il mio, più sobrio ed asciutto il suo!
Tant’è vero che ad un certo punto cominciammo entrambi a prendere appunti, quasi addirittura in scrittura semi-automatica su quanto stavamo blaterando. Quel che ne venne fuori poi, potrei così sintetizzarlo: una pagina intera bagnata d’inchiostro in ogni ordine di spazio per me, una riga nemmeno e per di più mezza stiracchiata per lui. Ci battemmo a colpi di fioretto “dialettico” come due studenti sessantottini, argomentando e battagliando a lungo su questioni di pura teoria, forse le più consone per due fannulloni-perdigiorno par nostro. I nostri due pur divergenti approcci all’universo dell’intelletto ci distinsero nei seguenti termini: il mio sembrava un approccio prettamente più filosofico, il suo più poetico. Ossia la mia visione delle cose era più d’insieme e globale, mentre la sua era molto più minimalista e si concentrava maggiormente sull’essenziale o almeno su quel che lui reputava tale. Dove il mio sguardo coglieva l’universale, il suo coglieva il particolare: se la parola per me significava riempimento, per lui invece significava svuotamento. Proiettarmi al di fuori era la mia specialità, proiettarsi al di dentro la sua. Vena esplosiva era la mia, vena intimistica la sua. Insomma il nostro risultò essere un dualismo intellettuale con una serie di regressi all’infinito…
Detto ciò, non mi resta che riportare qui di seguito quanto dettoci durante il nostro primo fatale incontro-scontro intellettuale, ch’è la ragione dei nostri ambiziosi progetti. Un’ultima cosa, prima di passare ai fatti… Ci piacerebbe pensare che qualcuno possa leggere quello che noi riteniamo innanzitutto “un’interessante esperimento culturale” tra due individui-soggetti, che, pur pensandola in maniera diversa ed avendo diverse sensibilità, si sentono a tal punto avvolti nel vortice della “dialettica delle idee” e arricchiti dalle altrui opinioni, che hanno perciò deciso di rendere di dominio pubblico le loro verbose diatribe. Ci auguriamo vivamente possiate trovarle di vostro gradimento. L’unico palese obiettivo che ci siamo ripromessi è quello di rendere ciascuno giustizia delle ragioni altrui, animati dal sanissimo principio della tolleranza siamo straconvinti che soltanto da un vivificante confronto con l’altro si possa imparare a crescere e maturare, sia come umanisti che soprattutto come uomini. Allo stesso tempo ben consapevoli, però, che il “confronto” deve essere necessariamente uno “scontro”, anche senza inutili spargimenti di sangue. Ad ogni modo sempre di quello si tratta….


P.S. Questo nostro “progetto virtuale” rimase a lungo sepolto in noi, quando un bel giorno Silvia ce lo fece rivenire a galla, disseppellendolo dal fondo della nostra coscienza intorpidita da una lunga inazione, dovuta prevalentemente al nostro abbandono totale allo status quo. Naturalmente il nostro progetto non avrebbe visto la luce, senza che costei (la “migliore” ragazza che esista al Mondo – se non altro anche solo per il fatto che mi sopporta –, la mia musa ispiratrice, nonché mia dolce metà e co-autrice del nostro ambizioso Blog) non mi avesse dapprima stimolato in proposito e dopodiché indotto a fare altrettanto con il mio amico-collega Paolino. Insomma meno male che è venuto a bussare alla mia porta l’Amore e ch’io mi sono fatto trovare bello e pronto, altrimenti questo, come tanti altri nostri progetti da quei “pazzi idealisti” quali siamo, si sarebbe seppellito in quel “dimenticatoio” delle nostre caotiche coscienze…

L’idea mi venne spontanea… Stavamo passeggiando io e il mio amico Paolino, allorché io venni letteralmente folgorato sulla via di casa, un po’ come San Paolo sulla via di Damasco oppure Rousseau sulla via di Vincennes… Cosicché lanciai lì per lì, su due piedi, il “guantone” di sfida che il mio amico raccolse ben volentieri e soprattutto ben conscio delle sue potenzialità di trionfo su un “pivellino” quale il sottoscritto! La sfida da me lanciata, appunto, consisteva nell’ideare un racconto a nostra scelta avente per tema la nostra decadente e nichilista vita studentesca urbinate. Venendo direttamente al “dunque”, il nostro scontro d’ingegni si concluse – come era lecito attendersi – con un perentorio nulla-di-fatto. O meglio, lui rimase convinto di aver fatto un lavoro migliore del mio e io – indovinate un po’ – rimasi persuaso esattamente del contrario. Insomma da questo nostro edificante scontro, tuttavia, ne traemmo poi spunto, in seconda battuta, per dare così l’avvio al nostro summenzionato Blog. Infatti, nonostante le nostre appianabili divergenze legate essenzialmente a due contrapposte weltanschauung, notammo a mente fredda, e quindi senz’altro più lucida, numerose “affinità elettive” da quei due aspirati – non nel senso di due “aspirapolvere”, anche se poco ci manca – scrittori quali ambivamo e ambiamo tuttora ad essere. Del resto la ricchezza consiste proprio nella diversità e perciò più si è diversi e più ci si può arricchire reciprocamente, finanche a costruire un prodotto finale migliore.
Venendo alla cronaca degli argomenti che trattammo la sera di questa sfida, il primo punto sul quale ci confrontammo consistette in questo: meglio dire una “verità fasulla” oppure una “bugia veritiera” quando si scrive? Naturalmente io da quello strenuo difensore del Santo Vero manzoniano quale mi definisco, optai per la prima delle due ipotesi. Il mio amico, invece, fedele al suo imprescindibile principio letterario di “verosimiglianza”, optò per la seconda ipotesi.
Ossia, in definitiva, io rimasi dell’avviso che chi scrive non fa altro che raccontare ciò che vive o che, comunque, ha vissuto sulla propria pelle e per questo motivo dovrebbe narrare in “prima persona” le proprie avventurose vicende personali. D’altronde il mio cavallo di battaglia è: “Vivo ciò che scrivo e scrivo ciò che vivo!”. Per me, infatti, molti scrittori di fantascienza non fanno altro che usare delle “allegorie” per celare altresì dei contesti o scenari loro contestuali. Dicendo ciò ho bene in mente l’esempio del grande Tolkien autore de “Il Signore degli anelli”, romanzo fantasy in cui sia gli orchi cattivi che gli elfi buoni di cui lui ci narra le conturbanti vicissitudini, sono frutto dell’ispirazione a personaggi presumibilmente reali o comunque realmente esistiti, seppur di certo non nelle fattezze o sembianze ivi descritte. Dunque anche i personaggi più fantasiosi non sono altro che delle coperture di personaggi in carne ed ossa e non soltanto in celluloide. Ed è proprio per questo motivo ch’io ho da sempre ammirato particolarmente la schiettezza autobiografica di maestri quali Hemingway, Kafka, Joyce, Kerouac, ecc. Essi sì che hanno saputo trarre i personaggi dei loro racconti dal loro esclusivo bagaglio di esperienze da loro effettivamente vissute. Poi magari unicamente per particolari esigenze editoriali, li hanno presentati al pubblico dei lettori con nomi fittizi, i quali però – ad ogni buon conto – si riferiscono indubitabilmente alla corrispondente persona esistente o esistita appunto.
Inoltre parlammo dell’intelligenza umanistica e di come la si può riconoscere a botta-sicura dal modo in cui si è capaci di saper ascoltare tutti e cinque i propri sensi, che acuendosi sempre più ci permettono di vedere cose che altri non vedono, di sentire cose che altri non sentono, di toccare cose che altri non toccano, di annusare cose che altri non annusano, di gustare cose che altri non gustano… Queste sono le caratteristiche predominanti, a nostro avviso, che fanno di un uomo uno scrittore, dunque un’umanista! Chi soffoca la propria sensualità, presto o tardi ne verrà irrimediabilmente risucchiato. I sensi sono il nostro “tramite” vorticoso con la realtà fenomenica, che assaporiamo nostro malgrado e che ci entra in circolo nel sangue anche se noi non ce ne accorgiamo. Lo scrittore, a dire il vero, affina i propri sensi così come l’arrotino affila le lame dei propri coltelli.
Poi ancora parlammo di politica, un tema al quale io ero decisamente più sensibilizzato, per così dire; mentre il mio amico, n’era molto più disilluso di me. Fateci caso, quando alla maggior parte delle persone si chiede un’opinione politica, di solito essi tendono a risponderti sulla difensiva oppure in maniera qualunquista, propinandoti i consueti luoghi comuni, ossia che la politica è un affare sporco, che non piace a nessuno, ma del quale – mi sentirei di ribattere io – tuttavia nessuno può suo malgrado fare a meno… L’uomo è un “animale politico” diceva un uomo di gran lunga più saggio di me e di voialtri che mi state a sentire. Quindi, a quanto pare, tutto quel che ci riguarda da vicino, ci connette immancabilmente al Sole politico del quale noi siamo tanti piccoli pianeti-satelliti, ad esso irresistibilmente attratti a furia di ronzarci intorno come uno sciame di api brulicanti. La rinuncia alla politica comporterebbe il conseguente abbandono al proprio destino di questo nostro malmesso mondo. È a questo proposito serve il politico, un uomo per il popolo e non del popolo, il quale dovrebbe salvaguardare gli interessi sì delle presenti ma soprattutto delle future generazioni! Per ciò stesso, il mondo si divide essenzialmente in due categorie di pensatori: i catastrofisti e gli evoluzionisti. Ossia: in chi crede nell’ideale pur altamente problematico di “progresso” ed è convinto che si vada incontro al meglio e chi non vi crede ed è altresì convinto che la catastrofe incomba dietro l’angolo.
L’uomo dacché si è riunito in società con l’intento di migliorare la qualità della propria vita è stato costretto per ciò stesso a fare politica, vale a dire a prendere delle decisioni per le quali ne va del suo stesso quieto vivere societario. La politica e la sua “costola”, la diplomazia, sono sempre servite ad evitare obbrobriosi scontri di civiltà oppure a stati di guerra di tutti contro tutti. Chi non si ricorda il celebre motto hobbesiano: Homo homini lupus, ovvero l’uomo è lupo all’altro uomo. Certo finalismo escatologico profetizzato dai catastrofisti andrebbe preso con maggiore cautela. Infatti, anche una volta che sia esploso l’intero nostro sistema solare e con esso l’intera galassia, chi può dire che il destino dell’umanità sia irrimediabilmente segnato? Chi vi scrive è profondamente convinto, dal canto suo, che con l’aiuto di una scienza sapientemente condotta per mano dalla filosofia, si possano fare letteralmente dei “passi da giganti” nelle conquiste del nostro genere umano. Pur tenendo conto, però, di un certo grado d’ineffabilità o sfuggevolezza di alcune grandi questioni che, a mio avviso, temo rimarranno per noi insolute vista la loro pressoché totale inaccessibilità. Questo mio punto di vista tiene conto di una personale concezione religiosa, secondo la quale rimarrà in ogni caso un “ultimo tassello” che sfuggirà immancabilmente all’intricato puzzle delle nostre vite: poiché se è vero che il mistero sta nel fatto che non c’è nessun mistero, allora è altresì vero che – per dirlo con Shakespeare – “noi siamo fatti della stessa materia dei sogni” (detta da Prospero in: The Tempest), cioè svaporiamo nel nulla dal quale siamo stati tratti dall’oscura Potenza oltremondana…
Per finire, la nostra impresa su questa Terra è a dir poco “titanica”, ossia noi viviamo un po’ la stessa condizione dei figli-ribelli degli Dèi appunto i Titani stessi, i quali pur sapendo di essere già sconfitti in partenza ebbero tuttavia il coraggio e la presunzione di affrontare l’impresa della scalata dell’Olimpo, cercando cosicché di scalzare i loro despoti genitori. In definitiva io credo che ognuno di noi abbia una “propria stella” (chi è interessato a questa intrigante tematica filosofica si guardi “Il Timeo” di Platone) e debba seguirla infaticabilmente, per ricondursi alla meta che però, come abbiamo già detto all’inizio, coincide con l’origine. Un po’ come il Serpente che si morde la coda, così funziona il nostro “circolo ermeneutico”, che caratterizza appunto l’andamento circolatorio delle nostre stesse vite. Paradossalmente alla fine veniamo ricondotti all’inizio! A dirla tutta io dubito fortemente vi sia un inizio e una fine in ogni cosa, mentre sono certo del procedimento, ch’è la sola ed unica cosa che conta davvero. In sostanza non importa arrivare, l’importante è mettersi in viaggio.
Già, il “viaggio”… Metafora esistenziale prediletta per descrivere la nostra condizione fisica e metafisica su questa Terra: noi godiamo appieno di una condizione di “libertà assoluta” che significa per noi “solitudine assoluta”. Per capire questa piccola-grande verità basta semplicemente che ritorniamo in noi stessi e soprattutto che siamo felici come dei bambini, la prima volta che alzano gli occhi a contemplare l’azzurro immacolato del cielo; ecco però che non appena ci diciamo felici già non lo siamo più. Dunque, ecco qua, non facciamo altro che rimorderci la coda come il succitato Serpente. Il bello e il brutto della filosofia è proprio questo e cioè: essa è sì una sublime “macchina per fare discorsi”, ma che tuttavia non hanno mai un termine, dato che non hanno mai nemmeno avuto un inizio. Questi discorsi esistono dapprima che noi esistiamo e ci appartengono ancora prima che noi stessi li esprimiamo. Non siamo noi a parlare bensì è il linguaggio che parla attraverso noi; Jacques Lacan disse qualcosa di analogo. L’eterno ritorno è ciò che uccide la singolarità delle nostre vite, che sono state già vissute da altri prima di noi e le quali verranno poi ancora rivissute da altri dopo di noi, e così via infinite volte! Se c’è un mito che può dare un’efficace idea su ciò che siamo, questo è senz’altro il mito di Sisifo, il quale venne condannato per l’eternità a trascinare spalle-in-groppa il peso di un’opprimente macigno fino in cima ad una montagna e poi da lì farlo rotolare giù dal crinale, per poi andarselo a riprendere e ripetere daccapo ogni volta la stessa alienante mansione. Allo stesso modo noi uomini, specialmente noi umanisti – che vuol dire, come già precisato, dotati di una sensibilità più sopraffina –, ci sobbarchiamo sulle nostre spalle il peso del Mondo che però ci schiaccia insostenibilmente. D’altronde la mitologia serve proprio a questo, ossia a decriptare in una forma più semplice e d’immediata comprensione ciò che in altri termini ci apparirebbe molto più complicato e di difficile comprensione, ovvero la nostra criptica Realtà attorniante…
Ritornando, infine, a me e a Paolino e al nostro vivificante scontro-confronto intellettuale, credo che da esso ne abbiamo potuto ricavare dei preziosi insegnamenti reciproci e l’unica cosa forse in cui divergiamo sostanzialmente, ma neanche poi più di tanto, è la nostra inclinazione: la mia decisamente più marxista e la sua più buddistica, o meglio ancora la mia che predica più il ritorno alle questioni meramente terrene; la sua riguardante più le questioni esclusivamente ultraterrene. Ciò non toglie, però, come ho già detto in altri luoghi e come non mi stancherò mai di ripetere, che io sono profondamente convinto che i materialisti marxisti siano dei pensatori spiritualisti del tutto incompresi. Cito testualmente lo “zio” Walt Whitman: “Farò i poemi della materia, poiché credo che siano i più spirituali poemi”. E così sia fatto! Mi auguro…

P.P. (Post Postatum): Credere in noi stessi e nelle nostre enormi potenzialità “in quanto uomini” io credo sia il miglior modo per vivere appieno la “scintilla divina” ch’è in ognuno di noi. Per far ciò occorre da parte nostra perseverare nella ricerca spasmodica della vera gnosis (dal greco “conoscenza”) discesa su di noi con il “gettito” su questa Terra della Sophia o Sapienza. Dopo di che dobbiamo ricordarci il più infinitesimale insegnamento, ma non per questo meno grandioso e cioè: Cogliere l’attimo prima che l’attimo colga noi!

“Onestà e spietatezza” (questo è il nostro “motto”…)

1 commento:

Anonimo ha detto...

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