Correva l’anno 1994. La meta del viaggio era già stata definita: avremmo dovuto sostare qualche giorno in un campeggio medio-grande e studiare attentamente le ripide dell’Ardeche, poi affrontarne la furia nei giorni seguenti. Avremmo disceso il fiume francese, chi in canoa chi in kayak. Solo dopo essere arrivati a destinazione ci saremmo mossi verso sud, verso la costa meridionale della Francia e le sabbie bianche di Thaiti. La discesa andò liscia, nonostante qualche capottamento nelle ripide più note. E così partimmo, alla volta del Sud. Decidemmo di avventurarci verso un terreno da noi ancora inesplorato: la Camargue. Dopo un tour improvvisato, avanzando per tentativi, e sbagliando spesso strada, giungemmo a destinazione.
Mi avevano detto che la Camargue fosse un terreno ancora incontaminato, la patria della natura, dove i cavalli e gli aironi vivono in totale libertà senza vincoli né cacciatori. Mi aspettavo un’oasi naturale, immensa, in cui uomini e animali vivono a stretto contatto, senza vincoli, nel pieno rispetto delle specie.
Arrivammo al tramonto. Il sole era un cerchio di fuoco, proprio come nelle stampe vendute dai baracchini ai margini della strada. Ne acquistammo una. Il paesaggio era identico. Mozzafiato.
Entrammo a Saintes-Maries-de-la-Mer, “capitale” della Camargue ma, soprattutto, punto di raccolta per tutti i gitani del mondo. In ogni angolo della città chitarristi rom si esibivano proponendo il repertorio musicale dei Gipsy Kings. Che musica. Muovevano le dita con una tale leggerezza... Erano tutti rom, o quasi. Beh, la stragrande maggioranza di quei musicisti apparteneva ad una popolazione nomade. Eppure in Camargue il nomadismo era - ed è tuttora - considerato alla stregua di una virtù. Esiste perfino una festa, nel mese di maggio, a Saintes-Maries-de-la-Mer, in onore del popolo gitano. È la festa di Santa Sara, protettrice dei nomadi, alla quale i fedeli fanno risalire l'antica evangelizzazione della regione.
Sono più di 10.000 gli zingari che da ogni parte del continente si radunano in Camargue per prendere parte alla processione religiosa. Fra veglie, preghiere e canti si assiste e si partecipa a una suggestiva cerimonia di folklore. La vera festa però è nelle strade, nella piazzetta, fra gli accampamenti, tra gli zingari che trascinano anche chi non è prettamente uno di loro: danze, veglie notturne, canti e falò.
La tradizione gitana emerge e non può essere ignorata dai passanti. Scoppia nelle urla d’allegria delle sue donne, divampa negli animi dei musicisti che invitano tutti ad accompagnarli coi canti.
E poi la processione: una vera fiumana di gente che, credente, venera la propria protettrice - forse unico vero punto di riferimento in una vita senza legami. Oggi “nomadismo” è associato a “criminalità”. Non si può scappare da questo pregiudizio, è ormai parte della nostra cultura. Ma pensiamo che a pochi chilometri da noi, in un Paese col quale confiniamo, esistono popolazioni intere che riescono a radunarsi e fare del loro girovagare una virtù, degna di essere fotografata e vissuta dai turisti - che ogni anno accorrono a centinaia per assistervi. Riflettiamoci su. E magari... Viviamola insieme a loro!
Il libro della settimana : “Il circolo dei nichilisti”.
Un romanzo sui “beati” anni universitari. Di Marco Apolloni.
23.6.08
Festa gitana in Camargue
di Silvia Del Beccaro
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