26.6.08

Il ritorno del “Boss” – 25.6.08, Stadio S. Siro, Milano

di Marco Apolloni

Dio solo sa da quanto tempo aspettavo di vivere un simile, emozionante ed indimenticabile concerto del mio primo “idolo” musicale – in coabitazione con Bono Vox & Co. – e finalmente sono stato accontentato. Ieri sera, una torrida sera d'inizio estate, il rocker statunitense ha dato vita ad uno spettacolo indescrivibile. L'anno scorso, più o meno in questo periodo, sullo stesso palco di S. Siro avevo visto dimenarsi Mick Jagger e i suoi Stones. Quindi è stato piuttosto inevitabile per il sottoscritto fare dei paragoni. E se vi dico che Mick e i suoi in confronto a Bruce e all'inossidabile E Street Band mi sono sembrati dei dilettanti o quasi, dovete assolutamente credermi.
Parlata italiana meno impacciata del previsto, movenze da cowboy incallito, solita faccia da schiaffi e potenza magnetica contagiosa. Così si è presentato il 58enne – anche se va per i 59 – born in the Usa – come la sua omonima e forse più celebre canzone. Unico appunto, anzi due, che ho da fare a Springsteen è l'aver deliberatamente omesso due hits che noi fans irriducibili ci aspettavamo, pendendo dal suo microfono. Mi riferisco alla già citata canzone scritta contro la disastrosa campagna militare americana in Vietnam e a The river. Ma come si fa, dico io, a non cantare la canzone che ha fatto mettere al mondo più figli negli ultimi due decenni?! Diciamo che Bruce si è fatto ampiamente perdonare cantandoci Born to run, Spirit in the night, I'm on fire, Darkness on the edge of town, Hungry hearts, Racing in the street, Because the night – tanto per citarne alcune.
In particolare durante l'esecuzione della prima, con le luci ad illuminare il parterre “oceanico” tant'era riempito in ogni ordine di spazio – ho avuto la netta impressione di trovarmi nel bel mezzo di una folla giubilante di pellegrini induisti sulle rive del Gange, fatta eccezione che i pellegrini qui in questione erano di altra religione, precisamente springsteeniana –, dove una scossa di pura energia si è impadronita di me e mi ha dato i brividi. Nell'ascoltare la prima strofa della canzone più beat che sia mai stata scritta, mi sono abbandonato ad un nugolo di reminiscenze e fantasticherie adolescenziali e ho rimembrato i bei pomeriggi passati a leggere in giardino, nel pieno della calura estiva, sprofondato nell'ennesima rilettura di On the road e cullato dalle note di Born to run... Oppure della seconda. Qui addirittura, in preda ad una sorta di delirio d'onnipotenza, ho osato sporgermi dal parapetto del mio posto mignon – schiacciato com'ero peggio d'una sardina – tra springsteeniani come me aventi l'unico, a mio avviso, spregevole difetto di fumare come dei turchi. Ho alzato i pugni al cielo in segno di magnum gaudio cantando a squarciagola come un ossesso il ritornello: Because the night belongs to lovers / Because the night belongs to us...

Assistere alle gesta di questo dio-della-musica dei nostri tempi è stata per me una sensazione beatificante. Inutile dirlo, solo chi c'era può capirmi. La bravura di Bruce, oltre che nella sua maestosa voce – che con gli anni sembra aver acquistato una maggiore e più piena consapevolezza di sé e delle sue inesauribili capacità –, oltre al fatto di avere un band con gli “attributi” giusti e che “spacca”, va tutta ricercata secondo me nel suo essere un uomo prima che un artista assolutamente genuino: capace di emozionare e di emozionarsi sul palco. Molti “mostri sacri” alle luci della ribalta come lui, non hanno queste sue essenziali capacità – che sono più facili a dirsi che a farsi. Per raggiungere l'empatia con il suo pubblico a Bruce non serve la bacchetta magica né tanto meno servono effetti spaziali – tipo giochi di luce strani, palchi disegnati su misura dai migliori designer del mondo, fumi densi e mefistofelici o chi più ne ha più ne metta (da notare l'assoluta sobrietà scenica con cui era addobbato il palco e il minimalismo assoluto degli effetti usati per la serata). A lui basta essere semplicemente se stesso, basta metterci la faccia, basta insomma essere al cento per cento Bruce! Noi 61mila in visibilio dalle gradinate ci rivolgevamo a lui – al termine di ognuna delle sue più epocali songs – in un solo coro di: “Brùs brùs brùs brùs brùs brùs brùs”. Coro, questo, che non ha eguali nel mondo della musica e ti fa venire la pelle d'oca tant'è martellante. L'unico parallelo che mi viene in mente è con l'universo calcistico e mi rivolgo nello specifico al tipico modo di festeggiare dei tifosi del Manchester United i goals di quello che all'epoca era il loro bomber di razza – attualmente in forza al Real Madrid – Ruud Van Nisterloy. Il loro coro era: “Rùùd rùùd rùùd rùùd rùùd rùùd rùùd”...
Parallelismi calcistici a parte, c'è poco da fare: il “Boss” è un'autentica forza della natura, la cui potenza potrebbe paragonarsi a quella dell'uragano “Katrina” che si è abbattuto tempo fa sulla Louisiana e ha raso al suolo, o quasi, la bellissima New Orleans. Con l'unica palese eccezione che Bruce è un uragano benefico nel senso che non solo non distrugge, ma nei suoi trent'anni e passa di carriera ha edificato le coscienze di milioni di americani, e non solo, con il magma incandescente delle sue canzoni di denuncia sociale. Canzoni che grazie al potente “grimaldello” della musica sono riuscite a ritagliarsi uno spazio pienamente autonomo e autosufficiente, più simbolico e significativo che altro per carità – ma pur sempre di spazio si tratta –, di anti-potere e contro-cultura. “Anti” il potere di ottusi e prepotenti governanti, “contro” la cultura musicale dominante fatta di popstars ultra-patinate alla Britney Spears – somiglianti in tutto e per tutto alle celeberrime statue di cera del museo londinese Madame Tussaud's.
Prendete la vena autoriale del più ispirato Bob Dylan e la scarica di adrenalina pura di Elvis, e ne otterrete Bruce Springsteen. Lo so, lo ammetto, forse ho esagerato un po'. Non ho nessuna presunzione di ritenermi imparziale ed oggettivo. Lascio l'imparzialità e l'oggettività a quelle “stalattiti” di critici benpensanti del tipo: Mister-so-tutto-io. Anche perché ritengo certa critica l'escrescenza pruriginosa della nostra società consumistica. Io non sono un critico – né tanto meno ci tengo ad esserlo –, sono solo un fan sfegatato – lo riconosco senza problemi –, che ha ancora davanti agli occhi quel meraviglioso miracolo musicale formato da Bruce Springsteen e dalla sua “mitica” E Street Band...

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