2.1.06

Lettere dalla Repubblica “immaginaria” della Krakozia - 2° parte

I sette peccati capitali
di Marco Apolloni


Una settimana è passata e da queste parti in Krakozia sembra di stare al polo nord. Questo freddo pungente ti penetra fin dentro le ossa, tant’è che persino i pinguini non escono di casa senza il cappotto. Pensate, poi, che le renne-auto-ferro-tranviere hanno addirittura indetto uno sciopero dei trasporti della durata di ventiquattrore, facendo montare su tutte le furie il premier locale Babbo Natale, ch’è un po’ il “flagello” di questa landa desolata. Questi, infatti, dopo esser scappato dalla Finlandia per banca rotta fraudolenta della sua rinomata fabbrica di giocattoli, ha chiesto ed ottenuto asilo politico nella super tollerante Krakozia. Cosicché di lì a poco tempo il barbuto e arzillo vecchietto, senza aver minimamente risorto il suo insanabile – a quanto pare – conflitto d’interessi, ha saputo molto presto entrare nelle grazie dei krakoziani. Essi, fattisi abbindolare dalle sue demagogiche promesse, lo hanno eletto Presidente del Consiglio. Di tutte le “panzane” da lui raccontate ai suoi polli-elettori di turno, ce n’è una in particolare, che mi ha più colpito: “Più doni e condoni per tutti…”!
Comunque, ritornando ai “mali nostrani” – nonostante me la sia data a gambe levate dal mio Belpaese –, pare proprio che io non riesca a liberarmi di simili Babbi Natali ovunque vada. Se vi è sembrato che la scorsa volta abbia esagerato un po’, allora vi dico subito che oggi sarò ancora più tremendo. Perciò come dice il detto “uomo avvisato, mezzo salvato”. Il moderatismo è un comportamento estraneo alla mia persona in quanto sono un “democratico radicale”, nel senso che cerco di andare alla “radice” delle questioni cruciali. In questo mi reputo molto mazziniano, cioè non sopporto certa supponente arroganza della maggior parte dei moderati. Diciamo che la mia fiducia nella diplomazia si è leggermente inclinata in questi ultimi tempi. Ad ogni modo, ora avrei l’immenso piacere di commentarvi un’accorta frase di quel “tuttologo” di Pier Paolo Pasolini, il quale ha saputo racchiudere molto sinteticamente i “sette peccati capitali”, che contraddistinguono il nostro essere intimamente un popolo di parrucconi-trasformisti: “L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo”. Cominciamo…
Il primo, l’egoismo. Lo vediamo tutti i giorni, il nostro essere attaccati alle cose che possediamo – le quali poi, però, finiscono sempre a loro volta per possederci – delimita persino i confini del nostro striminzito-cervelletto, che ci rende così schifosamente gelosi dei nostri “averi materiali”. Poco importa se ce ne freghiamo di quanto di più importante ci è rimasto: la nostra dignità. Proteggendo gli oggetti che ci appartengono, più delle persone a cui vogliamo bene, rimpiccioliamo a tal punto da sembrare delle viscide “creaturine” noncuranti di tutto e insensibili a tutti, tranne che ai loro campati all’aria “castelli di sabbia”. Pronti a sventrare chicchessia pur che non venga messa in discussione la “sottana” materna. Ma, dico io, saranno affari delle nostre rispettive madri se hanno trastullato a pagamento qualche smanioso estraneo oppure no…
Il secondo, la stupidità. Anch’essa di certo ci appare in tutte le sue vituperevoli manifestazioni quotidiane, arrivando ad offuscare persino l’unico neurone che ci è rimasto. Basti pensare alle folli corse in macchina a rincorrere chissà quali “ideali suicidi”, per mostrarsi emuli azzoppati e da un soldo di cacio dell’eroe-ribelle per antonomasia James Dean. Corse queste che troppo spesso finiscono in “tragedie annunciate”. Cosicché giovani promettenti infrangono i loro sogni di evasione contro chissà quale pianta nel ciglio di qualche sperduta strada di campagna. Episodi che infarciscono di bei paroloni commoventi certa carta-straccia di alcuni giornali locali, che vanno letteralmente a nozze a far colare giù i “lucciconi” dagli occhi dei loro fedelissimi lettori, ma che – peccato! –, non servono a riportare in vita nessuno. Certo ce ne vuole d’ipocrisia per sprecare così tante “pompose” parole negli epitaffi, invece che preoccuparsi principalmente di evitarli. Sfogliando un giornale di qualche tempo fa, sono venuto a conoscenza che i nostri teenagers hanno la “maglia nera” in Europa, in quanto vantano la maggiore precocità nell’iniziare a bere e a fumare. Pensate c’è chi comincia addirittura intorno ai dieci o undici anni. Sono proprio queste le cose che mi danno più fastidio: ma che ci stanno a fare le famiglie? Chissà, domandiamolo ai “catecumeni”, di solito loro hanno sempre una risposta bella confezionata a tutte le domande; che predichino di meno e vigilino di più nei campi scuola della parrocchia piuttosto, dico io, che spesse volte si trasformano in veri e propri campi d’iniziazione non necessariamente religiosa…
Il terzo, l’incultura. Qui, sarebbe meglio stendere subito un velo pietoso e chiudere la faccenda prima ancora di aprirla. C’è un dato estremamente significativo che dovrebbe darci di che pensare, secondo recenti sondaggi, l’Italia è uno dei Paesi che legge di meno in Europa. Non può più funzionare la scusa che siccome noi italiani abbiamo il clima migliore al mondo, allora preferiamo spassarcela in spiagge assolate da quei “goderecci” che siamo; mentre i nordici, invece, con il loro clima schifoso non fanno altro – per ingannare il tempo – che trombare, scolare pinte di birra e leggere tutto quel che gli passa per le mani. E come se non bastasse, si è pure oltretutto appurato che, nel nostro Paese, i libri maggiormente letti sono quelli con più immagini e con più scritte a caratteri cubitali della serie: fumetti e gazzette varie... Del resto, basti pensare qual è il target dei nostri scrittori, vale a dire: comici-giallisti dell’ultima ora, calciatori improvvisatisi barzellettieri da quattro soldi, ex showman-tossicomani appena usciti da cliniche di disintossicazione, adolescenti-sporcaccione al loro primo e ultimo – almeno si spera – esordio letterario e chi più ne ha più ne metta, la lista sarebbe interminabile… Insomma, per farla breve, vendono tutti i loro libri fuorché gli scrittori stessi di professione, i quali – poveretti – se non si muoiono di fame poco ci manca e vengono giusto relegati a dire stupide cretinate in qualche squallido “salotto televisivo” tipo “Porca a porca”, condotto dal presentatore più “coleottero” che ci sia… Meglio piuttosto che si trovino un altro lavoro costoro, che ne so io magari potrebbero mettersi a fare i gelatai, i paninari o comunque sia i “venditori ambulanti” in qualche recondito angolino della “provincia denuclearizzata”; almeno lì son sicuro troverebbero senz’altro modo di divulgare le loro idee anarco-insurrezzionaliste. Proprio com’è successo ad un mio “deviante” professore del liceo, la cui genialità viene puntualmente scambiata per follia nel mio dolce e ondulato paesello, e come se non bastasse lo fa tuttora passare per il “matto del villaggio”…
Il quarto, il pettegolezzo. È davvero fin troppo facile, per me, sparare a zero su questo peccatuccio così poco veniale, che consuma e divora l’intero genere umano ma, particolarmente, un popolo di “linguacciuti” qual è il nostro. Frequentando salotti di parrucchiere, sono abituato a sentirne di cotte e di crude sugli argomenti più disparati: da chi si sbatte la moglie di quel “cervo” del macellaio, al prete che si chiude a chiave in sagrestia con la sua perpetua, eccetera… Si sa come tra una messa-in-piega e l’altra la lingua sia talmente disinvolta, che proprio non riesce a strasene attaccata al palato per più di dieci secondi consecutivi. A tal proposito vorrei raccontarvi un episodio di cui mi è giunta voce e che sintetizza perfettamente cosa intendo io per “arte bislacca dello sproloquio”. Pare che una assidua frequentatrice si fosse drammaticamente spenta all’ospedale per un male incurabile. Voce questa che risultò poi essere del tutto infondata. Mi ricordo ancora oggi la faccia sbiancatasi della titolare del negozio, quando pochi giorni dopo questa tragica notizia alzò la cornetta del telefono e per poco non cascò giù svenuta. Al telefono, infatti, lei sentì miracolosamente parlarle la sua “rediviva” cliente, la quale mai come in quel momento – ironia della sorte – godeva di così ottima salute e la quale chiamava giusto per fissare un appuntamento. Ovviamente non vi dico gli scongiuri che questa poverina si sarà fatta, quando venne messa al corrente a sua volta, ancora incredula, della voce circolata sul suo conto. Tuttavia tra un attacco isterico e l’altro il giorno dopo le “pettegole” clienti del negozio, le quali avevano inconsapevolmente seppellito la loro amica anzitempo, la riabbracciarono visibilmente commosse e fecero un po’ come Tommaso con Cristo, la toccarono tutta per accertarsi che fosse realmente viva e vegeta… Questo “grottesco” episodio mi è servito solo da esempio, per farvi capire quanto sia controproducente e di cattivo gusto spettegolare a vanvera. Finché non riusciremo a scollarci di dosso la degradante dimensione delle “dicerie” popolari, credo che resteremo sempre un popolo di “babbei”, non che ci sia niente di male, s'intende…
Il quinto, il moralismo. E qui, perdonatemi, ma vorrei rimboccarmi le maniche prima di dar fiato alle mie “trombe squillanti”, poiché di cose da dire in proposito ce ne sono a iosa. Fra le tante ne scelgo una che io credo sia meglio di tutte rappresentativa, per certi versi. Perciò, partirei e finirei – dato che sto per farvi un aggiornato quadro completo della situazione – anche dalla definizione, mica tanto scontata direi, di che cosa potrebbe significare “essere moralisti”. Innanzitutto è da moralisti aiutare la vecchietta mezza sciancata e col bastone tutto tremante ad attraversare la strada un sacco trafficata, poi magari spiattellargli davanti un “mellifluo” sorrisino e allo stesso tempo nel migliore dei casi maledirla mentalmente o nel peggiore, invece, borseggiarla addirittura.
È sempre da moralisti inoltre, aiutare la mammina a fare la spesa, portarle i stracolmi sacchi pieni di varie cibarie, buttarle giù la pasta asciutta, sgrassarle col detersivo i piatti imbrattati dal lauto pasto appena consumatosi e come ciliegina sulla torta, fregarle di nascosto parte del suo stipendio da operaia! Magari solo per fare i “bulli” e uscire fuori a cena con quella “zoccola spocchiosa” della propria seducente fidanzatina, la quale a sua volta si limita soltanto come ricompensa a fare qualche noioso lavoretto di mano. Mentre agli altri l’ha già data furtivamente milioni di volte: “Così va la vita…”.
Infine è ancora da moralisti avere un lavoraccio part-time come babysitter, dimostrandosi all’altezza delle aspettative e facendo, appunto, le coccole amorevolmente ai “paffutelli bambocci” in presenza dei genitori di questi ultimi. E poi – una volta liberatisi di codesti genitori-rompiballe dopo innumerevoli rassicurazioni di preservare l’integrità, sia corporea che morale, dei fanciulli – invitare il proprio fidanzatino e copularci sul soffice letto matrimoniale della giovane coppia di genitori, appena uscita per una cenetta a lume di candela; in uno di quei sciccosi e sciropposi ristoranti francesi all’ultimo grido, che ti servono delle deliziose lumachine striscianti condite in una meravigliosa salsa rosa salmonella. E nel frattempo che, l’assatanata bambinaia “ninfomane”, si rotola fra le lenzuola insudiciate con il proprio “ganzo”, facendo un vero e proprio match di lotta libera, i “batuffoli di ciccia” dei bambocci gattonano dappertutto per la casa, magari anche giocando con le prese della corrente e rischiando cosicché la terribile scossa, tanto chi se ne importa. E si potrebbe continuare di questo passo, portando altri centomila esempi della stessa fattispecie…
Il sesto, la coazione. Qui pure, di roba da dire ce ne sarebbe parecchia, ma vi prego di accontentarvi di questo mio onnicomprensivo predicozzo. La coazione riguarda direttamente il sistema scricchiolante, che regola i complicati ingranaggi della nostra marcescente società, ossia come dice la parola stessa: co-azione vuol dire il compiere per riflesso una qualche azione già compiuta da qualchedun altro. Mi spiego meglio… Prendiamo quel “marchingegno infernale” della playstation, ovvero un simulatore - molto coinvolgente peraltro - di azioni vere, ad esempio, di azioni legate agli sport. In questa nostro tipo di società pare, infatti, che il termine divertimento sia stato fatalmente sostituito dal termine “intrattenimento” e le conseguenze di tale irrevocabile sostituzione, per quel che ho potuto appurare, sembrano esser state a dir poco disastrose…
Un esempio tangibile in questo senso, potrebbe essere questo: molti ragazzini grassottelli e quattrocchi, per di più decisamente pigri, ora come ora preferiscono simulare il gioco del calcio – giusto per prendere il “mostro sacro” del nostro sport nazionale – smanettando come dei dannati su degli appiccicosi joystick, stravaccati sulle loro sprofondanti poltrone di casa; piuttosto che andarsi a fare una bella sudata all’aria aperta sugli infangati campetti dell’oratorio, con tutto quel che ne consegue a loro discapito. Insomma, giusti per farvi la portata di una simile sventura, facendo la fine dei loro coetanei totalmente “rincitrulliti” giapponesi, che giocano mattina e sera con i videogiochi, e i cui gloriosi “avi” samurai di sicuro si staranno rivoltando nella tomba…
La rinuncia a fare sport da piccoli comporta, inevitabilmente, una deprecabile sedentarietà precoce, con danni sempre più irreparabili sia fisici che psichici. Fisici in quanto così facendo essi sviluppano soltanto uno o al massimo due sensi, vale a dire la vista e il tatto, invece che tutti e cinque al completo come sarebbe di gran lunga più auspicabile; tra l’altro, persino questi due miseri sensi, essi rischiano pure di comprometterli ancor prima del tempo, costringendosi a mettersi gli occhiali all’incirca sin dall’asilo o a soffrire di artrite alle dita già in fasce, a furia di pigiare come ossessivamente su quei diabolici tasti. Psichici – che ve lo dico a fare – perché in questo modo si bruciano il cervello già prima di usarlo…
Il settimo ed ultimo, il conformismo. Il quale non vi dico che sia il peggiore in assoluto, ma poco ci manca. In ogni caso credetemi se vi dico che, questo sciagurato peccato capitale, su di me ha lo stesso effetto dell’urticaria: il solo pensarci m’irrita da capo ai piedi. Non a caso quale male peggiore potrebbe esserci di questo, che induce tutti a volere la stessa cosa; non perché essa sia meglio di per sé, ma perché così fan tutti e perciò deve per necessariamente andar bene a tutti. Come si fa, dico io, a non imporre il proprio volere? Guai a conformarsi, chi si conforma si uniforma e dunque merita tutto il mio più gran disprezzo in quanto si confonde con la massa informe. Mentre cosa molto più allettante sarebbe quella d’innalzarsi al di sopra di essa fino a distinguersi per qualche merito…
È roba da matti, dico io, bisogna essere un bel po’ accidiosi o ignavi di cuore, cioè pur sapendo quale sia il sentiero della virtù, bisogna infischiarsene altamente e imboccare quello del vizio. Chi non ha il coraggio delle proprie idee è un individuo abietto e va disprezzato profondamente. Noi siamo fatti per essere dei liberi pensatori e chi si fa imbavagliare merita di essere quel che è, ossia un pensatore semi-libero, che equivale ad essere un’etichetta in un barattolo di pelati oltretutto pure andati a male… “Chi tace, acconsente” recita un saggio detto. Non conosco persona peggiore di quella che tace nel momento propizio in cui, invece, dovrebbe parlare a maggior ragione liberamente, per non lasciarsi mettere i piedi sopra da chicchessia. Dissentire dovrebbe venire promosso a nostro “imperativo categorico” per opporci alle forze soverchianti dei prepotenti di turno. In definitiva, parafrasando una celebre formula cartesiana, non so voi ma: “Io mi ribello, dunque sono…”!
Detto ciò, credo di essere stato abbastanza “blasfemo” per oggi. Malgrado ciò un’ultima cosuccia da dire ce l’avrei anche, con il vostro permesso naturalmente: spero proprio che la “nefasta” profezia pasoliniana non si realizzi affatto. Mi rimetto interamente nelle vostre mani. Voi miei cari compatrioti avete il potere di scongiurare l’imminente “catastrofe”! Per evitar ciò, avete solo un modo, quello di mettere una semplice crocetta dalla parte giusta, alle prossime elezioni politiche di Aprile… Dalla Krakozia è tutto, per ora, mi rifarò vivo molto prima di quanto pensiate…
E mi firmo vostro affezionatissimo,

Viktor Navorski
(l'indimenticabile protagonista del film di Steven Spielberg The Terminal, interpretato da uno straordinario Tom Hanks).

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