La semplice-presenza, diremmo con Heidegger, è nemica degli amanti. Cosa vuol dire questo? L'amore o meglio la malattia d'amore per eccellenza, la melanconia, può realizzarsi soltanto nell'assenza dell'oggetto amato. Poiché il desiderio non è più tale se viene consumato, deve protrarsi il più a lungo possibile, solo rimandandolo di continuo si può provare tanto più piacere. Tristano e Isotta, d'altronde, non si amano per il semplice fatto di possedersi; o meglio il loro possedersi non è legato tanto a un mero atto di congiunzione carnale, bensì proprio perché questo è insoddisfacente loro cercano un possesso superiore e oseremmo dire trascendentale, poiché trascende dalla materia fisica. Perciò il loro amore metafisico può in un certo senso essere il paradigma stesso della metafisica occidentale.
Come ha mirabilmente evidenziato Giorgio Agamben nel suo saggio Stanze: la fantasmagoria è l'elemento predominante dell'Eros unita anche alla componente pneumatica – da pneuma: soffio caldo proveniente dall'anima, che si manifesta durante il coito nello sperma. Per fantasmagoria, in particolare, s'intende quel continuo ritrarsi dell'oggetto amato, che per questo viene tanto più vagheggiato, nonostante il suo essere totalmente irreale. I due casi emblematici in questo senso sono: Narciso, che desidera ardentemente tuffarsi nella sua immagine riflessa nell'acqua, e Pigmalione, che vorrebbe stringersi in un abbraccio amoroso con la nuda statua di pietra da lui plasmata. Dunque: sottrazione, negazione, infelicità sembrerebbero essere le costanti dell'equazione costituente l'amore occidentale. Invece che essere un qualcosa di più, l'amore è propriamente un qualcosa di meno; negandosi si rende accessibile pur nella sua inaccessibilità di fondo; la sua sola eterna condizione può essere l'infelicità. Se da questa preferenza masochistica per l'infelicità si dovesse leggere il futuro dell'Occidente, temiamo che esso avrebbe ben poche possibilità di rigenerazione e comprensibile sarebbe a questo proposito il perenne stato di guerra – poiché la guerra è soltanto una delle innumerevoli manifestazioni del distruttivo amor-passione, vedi De Rougemont – che ha condizionato gli ultimi secoli della nostra storia.
La storia dell'amore, dunque, sembrerebbe ripercorrere per intero la storia dell'Occidente; tanto che queste due storie comparate sembrerebbero come intrecciarsi in un connubio inestricabile. La brillante intuizione di Denis de Rougemont nella sua opera L'amore e l'occidente è stata precisamente quella di aver saputo scovare, nel mito di Tristano e Isotta, la fondazione della metafisica occidentale. Il mito, originariamente custodito nel segreto, in realtà è un lascito del mondo pagano originatosi come reazione e perciò, in opposizione, all'istituzione artificiale del matrimonio cristiano. Nel secolo decimosecondo sia i trovatori, con la loro lirica cortese professante il culto della Dama, che i catari – detti poi anche albigesi –, con la loro eresia che riportò in voga altre due potenti e precedenti eresie – quali quella manichea e quella gnostica –, s'impossessarono del mito dei due amanti sfortunati e lo diffusero in tutti gli ambiti della società. Tant'è che la loro opera di consolidamento del mito tuttora sopravvive nella produzione artistica-letteraria contemporanea, come scadimento del mito originario stesso. La concezione catara, recuperando quella già appartenuta alla gnosi, è che un Dio sommamente buono non avrebbe potuto creare questo infimo mondo, attraversato e dominato dalle forze del maligno. Di conseguenza, quest'opera degradata è stata prodotta da un Arconte – divinità inferiore, vendicativa e sanguinaria. Da questa particolare concezione religiosa – nota a molti come sorta di marcionismo culturale – ha avuto origine il deprezzamento del corpo e la successiva elevazione dell'anima, nella quale sarebbe contenuta la scintilla divina che è il segno distintivo con cui ci ha marchiato la divinità superiore. Di riflesso la poesia medievale, soprattutto – come già detto – la lirica cortese, ha contribuito a svilire la componente carnale dell'atto amoroso, nobilitando l'omaggio del cavaliere verso la sua Dama – promettendole eterna fedeltà –, anche se questo spesso significava un amore viziato in partenza dall'infelicità propria di ogni spossessamento – già, perché, vagheggiando il possesso della persona amata, nell'individuo si produce un inevitabile frattura che lo conduce ad un graduale spossessamento di sé.
Una tipica prova alla quale si sottoponevano gli amanti dell'epoca era giacere a letto completamente nudi senza tuttavia sfiorarsi in alcun modo, resistendo agli impulsi più irrefrenabili della loro debole carne, che veniva pertanto mortificata. Questi comportamenti ci rimandano ad una certa concezione orientale dell'amore nota come tantrismo che consiste, appunto, nel rimandare interminabilmente il godimento per accrescere a dismisura il paradisiaco piacere finale. Oppure ai precetti dati dal grande legislatore spartano, Licurgo, ai giovani amanti di Sparta, cioè di contenere il più a lungo possibile il piacere in modo tale da ricavare un'intensità maggiore nel momento del concepimento e ottenere così una prole più vigorosa. Emblematica è la scena nel romanzo di Bédier in cui i due amanti si trovano a giacere nudi e divisi da una spada nella foresta del Morois. Re Marco, sopraggiunto nel luogo, non riesce a non provare tenerezza per quei due e per questo li perdona – vedi la spada posta fra due corpi: simbolo di castità.
La struttura del mito di Tristano e Isotta è servita da capostipite per tutta la letteratura occitanica di stampo amoroso. Il ménage à trois, ovvero il desiderio mimetico girardiano è ciò che caratterizza tutta la produzione letteraria e non solo d'Occidente. Esso consiste nel fatto che un soggetto A desidera un altro soggetto B solo perché quest'ultimo è desiderato da un altro soggetto C. Rifacendoci al mito: Tristano è attratto da Isotta proprio perché re Marco è anch'egli attratto da lei. Più che il filtro d'amore, usato solo come pretesto, è il desiderio mimetico a far desiderare Isotta la Bionda a Tristano. Essi, infatti, non amano per amarsi ma amano per poter amare. Parafrasando potremmo dire: l'amour pour l'amour! Il loro amore non è azione, bensì è agito. È il prodotto di una suggestione – seppur amorosa, glielo concediamo –, però prodottasi unicamente nella loro mente. E in ciò almeno hanno ragione a dar la colpa al filtro, solo che esso non è la bevanda magica da loro scolata in un momento di arsura. Ciò che loro inseguono e non potranno mai raggiungere è il fantasma della loro mente. Proprio in questo consiste il ruolo giocato dalla fantasmagoria in amore. Infatti il loro amore, per chissà quali strane combinazioni alchemiche, si accende maggiormente proprio con l'assenza dell'oggetto amato. Già, perché solo quando esso non c'è il soggetto innamorato lo desidera e vagheggia tanto più ardentemente.
Aveva capito questo intricato meccanismo Sigmund Freud, argomentandolo da par suo nel saggio Lutto e malinconia. Qui lui rintraccia nel soggetto malinconico la medesima inclinazione comportamentale di un soggetto vittima di un lutto. A pensarci bene, infatti, anche per il malinconico si produce quel sentimento pervasivo noto come mancanza, con l'unica eccezione che costui non ha la benché minima intenzione di elaborare la propria malinconia – solo il lutto può venire elaborato, cioè superato consapevolmente dopo un ragionevole lasso di tempo. Sempre Freud in questo suo breve saggio evidenzia come nel soggetto malinconico non vi sia più alcuna spinta all'auto-conservazione. Appunto per questo il malinconico può essere considerato un nichilista viscerale, che desidera sopra ogni altra cosa il nulla, ovvero il totale annichilimento del proprio essere. La morte luminosa è il faro che intravede all'orizzonte Tristano prima di esalare il suo ultimo respiro. Il trionfo della Morte sulla Vita è dunque il nichilistico manifesto del mito di Tristano e Isotta. Tale trionfo è ben testimoniato, d'altronde, dal rovo sepolcrale che unisce i due tormentati amanti, che sembrano aver trovato pace giusto nell'ora della loro morte.
Il desiderio di morte, l'abisso vertiginoso che tutto inghiotte, questa sembrerebbe essere la più autentica natura dell'Amore e di conseguenza dell'Occidente. Al desiderio del nulla di Tristano si oppone unicamente il contraltare di Don Giovanni. Tuttavia per entrambi non si può parlare di un amore sano ed equilibrato. Se per l'uno vi è l'amore infinito per una sola donna, per l'altro non vi può che essere un affannarsi disperato di donna in donna per ricercare un amore mai del tutto appagante. Poi ancora se nel primo vi è un'eccessiva idealizzazione della donna amata, nel secondo, invece, vi è una altrettanto eccessiva strumentalizzazione della donna nelle sue molteplici manifestazioni. Comunque la si rigiri, il centro e il fulcro di tutto è sempre e solo lei: la Donna esaltata o screditata. Per il cristianesimo è il simbolo del peccato originale e del successivo declassamento della razza umana agli occhi di Dio. Per la gnosi è la Pistis Sophia, l'unica speranza di spiritualità e di salvezza per l'intero genere umano. Come uscire da questo circolo vizioso? Semplice: impossibile! Ci viviamo dentro, perciò, non esiste alcuna via di fuga...
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