Esistono numerose fonti che celebrano le gesta dei due amanti più famosi d'Occidente: Tristano e Isotta. Tuttavia qui prenderemo in considerazione la summa di tutta la leggenda compiuta dal filologo francese Joseph Bédier intitolata appunto Il romanzo di Tristano e Isotta, che ha saputo miscelare le tre versioni classiche di Béroul, Tommaso e Goffredo.
Già la venuta al mondo di Tristano lascia presagire un'esistenza tribolata, il suo nome infatti gli viene dato dalla sua morente madre Biancofiore. Orfano sia di madre che di padre (il re Rivalen di Leonis, ucciso dal feroce Morgano), Tristano viene cresciuto da Roalto: fedele vassallo di suo padre. Questi a sua volta lo affida alle cure del saggio scudiero Governale, che lo inizia ai segreti della cavalleria e della cortesia.
Le avventure di Tristano iniziano con il suo rapimento ad opera di pirati norvegesi, i quali però lo abbandonano ai flutti per paura di attirarsi la malevolenza divina. Miracolosamente il prode Tristano riesce a trarsi in salvo e sbarca su una costa a lui sconosciuta. Qui, durante una battuta di caccia – arte di cui lui è un fine conoscitore –, s'imbatte negli uomini di re Marco di Cornovaglia, che è oltretutto suo zio in quanto fratello della sua defunta madre Biancofiore.
Re Marco accoglie Tristano nella sua reggia di Tintoille e pur non conoscendone la vera identità nutre ugualmente per lui, sin da subito, una speciale venerazione. Infine, una volta scoperta la verità sul conto di Tristano, lo abbraccia definitivamente come suo legittimo nipote. Tristano si guadagna in breve tempo l'amicizia del siniscalco di corte, Dinasso di Lidan, e dalla sua terra, Leonis, fa richiamare al suo servizio il fido Governale.
Tuttavia la vita di corte per lui è piena d'insidie: quattro baroni – Andretto, Ganelone, Gondoino e Denoalen – non lo vedono di buon occhio, anzi scorgono in lui una vera e propria minaccia per la futura successione al trono di re Marco, ancora senza prole.
Un giorno approda in Cornovaglia un gigantesco cavaliere per reclamare, da parte del suo re, il tributo dovutogli di cinquecento tra giovanetti e giovanette indigene. Nessuno osa levare la propria voce contro l'ingiusta pretesa dell'Amoroldo – questo è il suo nome –, tranne il coraggioso Tristano, il quale sprezzante del pericolo lo sfida a singolar tenzone. Il caso vuole che nell'isola di San Sansone – luogo destinato alla sfida – Tristano abbia la meglio sul campione d'Irlanda. Ferito da una punta di spiedo avvelenata, egli fa ritorno presso la corte di re Marco. Nessuno pare in grado di poter curare la sua ferita, così dopo aver molto insistito, Tristano prega lo zio di lasciarlo fluttuare nel vasto mare, con la speranza – ultima a morire – di trovare un luogo dove poter ricevere le cure necessarie.
In simili pietose condizioni lui approda nel porto irlandese di Weisefort, dove ottiene le cure miracolose della “maestra di filtri”: Isotta la Bionda, principessa d'Irlanda. Tristano per non farsi riconoscere da tutti come l'uccisore dell'Amoroldo, nonostante sia già sufficientemente irriconoscibile a causa del veleno, usa tutta la sua astuzia spacciandosi per un giullare naufragato in quei lidi.
Una volta ritornato in patria, Tristano si trova a dover fronteggiare l'ostilità dei soliti quattro baroni, che gettano discredito sulla sua persona. Addirittura essi insinuano il dubbio che lui sia una specie di stregone, perché solo così sarebbe riuscito a curare la sua altrimenti letale ferita. Costoro inoltre, timorosi che, una volta morto il re suo zio, Tristano salga sul trono di Cornovaglia, si premuniscono come possono: consigliano al re di prender moglie e di assicurarsi degna progenie. Re Marco sulle prime si mostra restio all’idea, poi però un giorno due rondini conducono alla sua finestra un sottile capello biondo. Sicché re Marco, cambiando parere, rivela ai suoi cortigiani che avrebbe sposato soltanto colei a cui apparteneva quel luccicante capello biondo.
Tristano, per affetto verso suo zio, si mette quindi alla ricerca della sua futura regina: arma una flotta e nuovamente approda nelle coste irlandesi. Qui dimostra ancora una volta tutto il suo valore, uccidendo il drago che flagella questa terra – analogie con il Beowulf –, per ottenere la lauta ricompensa: la mano della principessa Isotta la Bionda. Come prova del suo eroismo Tristano strappa la lingua del drago e se la infila nel suo calzare. Tuttavia Aguingherrando, il siniscalco di corte, quando apprende la notizia dell'uccisione del drago – con il quale lui per codardia non era mai riuscito a battersi – lo decapita e ritorna presso la corte per chiedere la mano d'Isotta la Bionda, fingendosi uccisore dello sputafuoco. La principessa, che detesta Aguingherrando, si fa accompagnare fino alla tana del drago dal suo fedele valletto Perinis e dalla sua serva di fiducia Brangiana. Qui Isotta scopre la verità, rinvenendo il vero eroe: Tristano.
Di nuovo ferito in combattimento il valoroso cavaliere viene per la seconda volta curato da costei, che però stavolta non si lascia ingannare e riconosce la lama dell'uccisore dell'Amoroldo. Infuriata Isotta tenta di ottenere vendetta con la stessa lama, ma l'abile-oratore Tristano riesce a persuadere la principessa dal suo intento omicida.
Il giorno dell'assemblea dei baroni, Tristano fa valere i suoi diritti su Isotta la Bionda, come vero uccisore del drago. Per codardia Aguingherrando si fa indietro e riconosce di non essere lui a meritare la mano della bella principessa. Ed è così che Tristano propone un accordo al re d'Irlanda: ovvero combinare un matrimonio tra il re di Cornovaglia e la principessa d'Irlanda, in modo tale da sancire una duratura pace tra i due regni a lungo in conflitto. Isotta, sentendosi tradita, detesta sinceramente Tristano, che la conduce come prezioso bottino in Cornovaglia per darla in sposa a suo zio.
È durante il viaggio di ritorno, in alto mare, che si compie il destino di Tristano e Isotta. La madre-regina di costei, infatti, ha lasciato l’incarico alla serva Brangiana di far bere ai due novelli sposi un filtro magico, che sarebbe servito a legarli per sempre. Il caso vuole, però, che Brangiana distraendosi non si accorge che Tristano e la stessa Isotta bevono sciaguratamente il filtro, credendolo bevanda dissetante. Questo tragico malinteso è all'origine della tragedia dei due, che da quel momento in avanti diventano segreti amanti e vengono, a poco a poco, consumati dal divorante fuoco della passione. Combattuto tra la lealtà incondizionata per il suo re e l’amor-passione per la sua Isotta, Tristano si tormenta continuamente e trova consolazione solo nel fatto che un artifizio – il filtro appunto – è la causa del suo indicibile travaglio.
Intanto i baroni spiano i due amanti e decidono d’incastrarli avvalendosi delle doti profetiche del nano Frocin. Questi tende un’astuta trappola con la farina, nella quale Tristano cade grondante di sangue da una ferita, facendo così scoprire la tresca amorosa all’incredulo re Marco. Il re infuriato con la moglie e il nipote, senza nemmeno dar loro la possibilità di difendersi equamente, ordina che vengano giustiziati. Tristano con l’aiuto della Provvidenza, riesce a scampare al rogo per lui allestito dal re, saltando da una cappella diroccata. Isotta invece viene condotta innanzi alle fiamme e nonostante l’intercessione di Dinasso di Lidan in favore dei due amanti, che a suo dire non possono venire giustiziati senza un equo processo, la sorte della giovane principessa sembra ormai segnata. Finché una schiera di lebbrosi, capitanati da un certo Ivano, non persuade re Marco che una morte immediata per la regina sarebbe troppo poco, piuttosto ella meriterebbe una lenta agonia stretta fra le loro piaghe purulente. Il re, accecato dalla rabbia, acconsente e gliela affida. I lebbrosi trionfanti si allontanano con la loro ambita preda, ma non possono prevedere due ostacoli che si frappongono al loro cammino: Tristano e Governale. I due riescono a togliere Isotta dalle grinfie dei lebbrosi e durante il combattimento Governale frantuma il cranio dell’abnorme Ivano.
È qui che ha inizio un periodo relativamente felice per i due amanti, nella foresta del Morois, dove rei del loro tradimento cercano e trovano riparo dalla loro innocente colpa. Qui i due incontrano Frate Ogrin, a cui raccontano la loro innocenza di fronte all’Onnipotente, poiché è a causa del filtro se il loro amore è sbocciato. Successivamente Tristano e Isotta vengono scovati nel sonno da un boscaiolo, che corre subito ad avvertire il re. Questi accorso sul posto nota che i due dormono separati da una “spada nuda” – simbolo di castità – posta tra i loro corpi e senza toccarsi con le labbra, fintanto che non sembrano affatto degli amanti. Così decide di graziarli e sostituisce la sua spada a quella di Tristano, per testimoniare il suo passaggio e il suo ripensamento. Al loro risveglio i due si accorgono del mutamento di sentimenti nell’animo travagliato del re e grazie all’intercessione di Frate Ogrin si ricongiungono finalmente con il loro amato sovrano, non più in collera con loro. Tuttavia la riconciliazione finale tra Tristano e re Marco viene procrastinata ancora una volta dai baroni, che temono la ripicca del principe e lo fanno esiliare dal reame di Cornovaglia. Nel frattempo Isotta viene ristabilita come legittima sovrana.
Un giorno il re torna furibondo da una battuta di caccia e rivela ad Isotta che ha scacciato dalla sua corte i baroni traditori, perché ancora una volta essi hanno osato infangare l'onorata reputazione della sua sposa. A questo punto Isotta per fugare qualunque insinuazione, decide di sottoporsi di sua spontanea iniziativa alla prova del ferro rovente e chiede a re Marco di avere come garante nientemeno che re Artù. Venuto a conoscenza del coraggio della regina, Tristano, segretamente ospitato dall'amico Dinasso, corre in suo soccorso e l'aiuta a sostenere la prova. La regina, al cospetto dei due sovrani, promette solennemente davanti a Dio che nessuno l'ha mai cinta fra le braccia all'infuori di suo marito, il re, e del mendicante (Tristano travestito) che l'ha appena sorretta durante la traversata del fiume – per impedirle di bagnarsi le vesti. Il trucco funziona a meraviglia e Isotta supera immune la prova.
Dopo varie vicissitudini avventurose Tristano si trova in Bretagna e qui partecipa attivamente alla difesa del castello di Carhaix, assediato dal conte Riol. Questi si era ribellato al duca di Hoel poiché in precedenza costui si era rifiutato di dargli in sposa sua figlia Isotta dalle Bianche Mani. Qui Tristano stringe una proficua amicizia con il principe Caerdino, figlio del duca e fratello dell'altra Isotta decantata come “la semplice, la bella”. Al solo sentire il nome “Isotta” Tristano si figura che si tratti della sua amata perduta e perciò acconsente a sposarla. Queste nozze non serviranno, tuttavia, a placare il vortice auto-distruttivo che l'amor-passione riserva per Tristano. Egli si tormenta per aver sposato Isotta dalle Bianche Mani, a tal punto che a letto non le si concede inventandosi una fasulla scusa. Durante una battuta di caccia nei boschi alla sposa di Tristano sfugge una maliziosa battuta riguardante uno schizzo d'acqua dello stagno, che a detta sua sarebbe assai più audace del suo sposo. Suo fratello Caerdino insospettito, la interroga finché non viene a sapere del matrimonio non consumato fra l'amico e la sorella. Questi, poi, infuriato chiede di riscattare l'onore della sorella in duello. Tristano non solo non acconsente, ma gli racconta la sua sfortunata vicenda amorosa. Caerdino commosso dall'appassionata – dunque sofferente – storia d'amore tra Tristano e Isotta la Bionda, non solo perdona l'amico ma pure si presta ad accompagnarlo in patria, a rivedere la sua Dama tanto sospirata – che, intanto, non lo ha per nulla dimenticato.
Proprio mentre i due amanti si rinnovano giuramenti d'eterna fedeltà, il loro amore disperato – nel senso che è “senza speranza” – si approssima alla Fine, irrefutabile e drammatica. D'altronde, con una storia come la loro, non poteva succedere altrimenti. Tristano, infatti, agonizzante – a causa di una ferita prodottasi in combattimento – chiede un ultimo favore all'amico Caerdino: andare a Tintoille a chiedere il soccorso della regina, l'unica in grado di rimarginare ogni tipo di ferita. Caerdino e Tristano si accordano che se il primo farà ritorno in Bretagna con la regina, navigherà con una vela bianca o altrimenti, se lei non ci sarà, con una vela nera. Isotta dalle Bianche Mani, moglie di Tristano, origliando la conversazione tra i due dapprima si sconcerta e poi decide di vendicarsi. Vendetta la sua che trova compimento quando lei, mentendo, dice a Tristano di vedere all'orizzonte una barca che ha issata una vela nera. Lui, credendosi perduto, si lascia morire. Di lì a poco la stessa sorte beffarda tocca a Isotta e così il vortice distruttivo, innescato dalla loro passione, trova proprio nell'im-possibilità della morte la sua unica possibilità...
Nel testo di Bédier si legge il commovente epilogo della loro storia:
Quando il re Marco apprese la morte dei due amanti, passò il mare e, venuto in Bretagna, fece lavorar due bare, una di calcedonio per Isotta, l'altra di berillo per Tristano. Egli portò sulla sua nave verso Tintoille i loro cari corpi. Presso una cappella, a sinistra e a destra dell'abside, li seppellì in due tombe. Ma, durante la notte, dal sepolcro di Tristano germogliò un rovo verde e fronzuto, dai forti rami, dai fiori odoranti, che, innalzandosi sopra la cappella, s'insinuò nel sepolcro d'Isotta. La gente del paese tagliò il rovo: il dì appresso esso rinacque, altrettanto verde, altrettanto fiorito, altrettanto vivace e di nuovo s'immerse nel letto d'Isotta la Bionda. Tre volte vollero distruggerlo; invano. Infine, essi riferirono il prodigio a re Marco: il re vietò di tagliare il rovo.1
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1 Bédier, J., Il romanzo di Tristano e Isotta, TEA, Milano, 1988.
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