27.11.08

«I giardini della scrittura» – Riflessioni sul mito di Theuth del "Fedro" platonico

di Marco Apolloni

L'opera di Platone è costellata da miti. In particolare nel Fedro, dopo il mito dell'auriga e delle cicale, si accenna al mito di Theuth: corrispondente al nome della divinità egizia, fra le altre cose inventrice della scrittura. Si narra che Theuth si sia recata da re Thamus per presentargli le sue originali invenzioni. Sicché il re abbia espresso liberamente il proprio parere su ognuna di esse. Quando è stato il turno della scrittura, presentata da Theuth come l'arte del ricordare e del curare i mali che affliggono la memoria, Thamus fa notare come lui non dica il vero accecato dalla paternità della sua invenzione. Infatti il re sostiene che la scrittura non sia altro che una forma di dimenticanza e un invito alla pigrizia per i discepoli, piuttosto che essere una medicina per la loro memoria. Tali discepoli, a quel punto, invece che diventare «sapienti» diventeranno «saccenti». Diversi studiosi, tra cui Giovanni Reale, hanno veduto in questo passo un oscuro rimando alle dottrine non scritte di Platone. Da ciò si può dedurre la maggior preminenza da lui affidata all'oralità rispetto alla scrittura. Poiché la vera sapienza, a suo dire, si tramanda oralmente. In definitiva, la trasmissione di un sapere scritto ha un carattere assolutamente secondario rispetto alla vividezza della trasmissione orale e non può che restituirci soltanto uno sbiadito ricordo della realtà extra-corporea della nostra anima. Inoltre la scrittura ha in comune con la pittura la stessa incapacità di non rispondere se interrogata. Inutile perciò provare a interrogare uno scritto, che non gode del dono della parola – essa è lettera morta per dirlo con il filosofo francese Jacques Derrida. Dunque lo scritto così come il quadro ha sempre bisogno del suo autore, incapace com'è di aiutarsi da solo per difendere le proprie ragioni. A questo punto Platone tramite il suo alter ego, Socrate, propone un tipo di discorso pienamente auto-sufficiente, che si giustifica da sé e «che viene scritto nell'anima di chi apprende, che è capace di difendere se stesso, e che sa con chi deve parlare e con chi tacere.». Compito del vero sapiente è quello di scrivere nell'anima, in quanto solo in essa germoglieranno i semi della conoscenza. Per questo la scrittura svolge un ruolo prettamente ancillare ed è da considerarsi niente più di uno svago per i vecchi. Essi, appunto, si eserciteranno nei «giardini della scrittura» unicamente per dilettarsi nella fase tramontante della loro vita e al solo fine di rimembrare con dolce nostalgia i bei tempi andati, sì da poter riprovare l'antico brivido della giovinezza.

2 commenti:

Cheppalleee ha detto...

Io trovo che Platone sia meraviglioso.
La Repubblica, ad esempio, è uno dei miei libri preferiti. Mio figlio crescerà con i dialoghi di Platone sotto braccio (proprio a mo' di baguette :P).
Il mito di Theuth in particolare ci ha dato il benvenuto appena messo in università :))
Bei ricordi.

K!A

Anonimo ha detto...

A chi lo dici, io ci ho scritto una tesi specialistica - che forse prossimamente pubblicherò - su Platone e l'amor platonico, perciò figurati... Anche se trovo "massacranti" i suoi dialoghi più logici - vedi il "Sofista" - a differenza dei "capolavori" indiscussi - "Repubblica", "Fedro" e "Simposio".
Saluti K!A,

Marco