25.9.07

"Ghost Dog" (1999)

di Marco Apolloni

“Cane fantasma” è il protagonista di questo noir-zen del regista indie Jim Jarmush. Forrest Whitaker veste i panni di un killer-samurai dai buoni sentimenti, il quale ha come suoi migliori amici: un buffo gelataio francese con il quale comunica a gesti e una bambina lettrice insaziabile alla quale lui regala libri sul Giappone. Con le movenze di un rapper – stupenda la colonna sonora del gruppo Rza –, vive sopra il tetto di un palazzo, dove ha un vero e proprio allevamento di piccioni-viaggiatori che gli fanno da tramite con il mondo esterno. Ghost Dog è al servizio di Louie, un mafioso a cui deve la vita. Per sdebitarsi di tanto in tanto deve uccidere personaggi della mala su commissione. Per un incidente di percorso, Ghost Dog si inimicherà il boss Vargo, contro il quale reagirà da par suo compiendo una meticolosa strage.
La particolarità di questo killer burbero è quella di meditare giorno e notte su un libro misterioso: l'Hagakure – Il codice segreto dei samurai. Da esso trarrà spunto per vivere secondo una regola di condotta, da vero samurai postmoderno. Vivere per servire, questa può dirsi in sintesi l'etica del samurai e per quest'etica, eccentrica per noi occidentali, Ghost Dog sacrificherà la sua stessa vita; una vita che non gli appartenne più dal momento stesso in cui Luoie lo salvò da un pestaggio mortale, quand'era poco più di un adolescente molto goffo. In un'epoca come la nostra dove la riconoscenza non si sa più dove stia di casa e se ancora abbia una casa, l'esempio di questo nero corpulento, pronto a immolarsi per onorare il suo debito fino in fondo, ci pare davvero encomiabile. Louie, infatti, seppure affezionato a Ghost Dog quasi come a un figlio, dovrà infine liquidarlo per placare una altrimenti inarrestabile striscia di sangue e ritorsioni. Ghost Dog, dal canto suo, non gli opporrà alcuna resistenza, consapevole che se proprio qualcuno dovrà ucciderlo, chi meglio del suo signore – al quale ha dedicato i suoi anni migliori. Nell'accettazione della sua irrefutabile fine, lui terrà fede a quanto sta scritto nel Codice: «Quando ci si accorge che è arrivata la propria fine, è bene accettarla con coraggio. Comportandosi in questo modo, si può anche evitare la caduta.»1
La pellicola si avvale di una sceneggiatura forte, a tratti grottesca e a tratti invece molto filosofica. Deliziose sono le sequenze durante le quali Ghost Dog sta con il suo amico gelataio, che pur parlandogli solo in francese – sua lingua madre – e non ricevendo alcuna risposta in cambio, nello sguardo comprensivo dell'amico scorge una grandissima umanità. Oppure i momenti in cui, goffamente, “cane fantasma” viene avvicinato dalla bambina, incuriosita dal suo bizzarro e serioso aspetto. Tra i tre – Ghost Dog, il gelataio e la bambina – nasce un insospettato quadretto d'amicizia, che farà da cornice ad una vicenda complessivamente sanguinosa.
Amicizia, onore, dedizione, oltre ad essere i caratteri distintivi di Ghost Dog sono anche i concetti-chiave dell'Hagakure. La prima analogia cinematografica che viene in mente guardando questa toccante pellicola è Leon e non potrebbe essere altrimenti. Tuttavia laddove il film di Luc Besson manca di poesia, pur presentandoci il prototipo di un altro killer con l'anima – anch'egli con una migliore amica bambina –, non riesce a toccare la profondità emotiva del film di Jim Jarmush. Ciò che rende il killer Ghost Dog ancor più affascinante di Leon è lo spettro inesorabile della morte, che lui sembra portarsi sempre con sé e con il quale dialoga nell'intimità dei suoi pensieri. Perché il primo pensiero di un samurai dev'essere appunto: la morte. Per vivere appieno la vita del guerriero, un samurai quando si alza al mattino e si va a coricare la notte, deve sempre avere ben impresso il pensiero costante che la sua vita è appesa ad un filo sottilissimo, che può spezzarsi da un momento all'altro. La perenne fragilità della sua vita è continuamente minata da una serie di calamità imponderabili. L'unica cosa che lui, “cane fantasma”, da vero samurai può fare: è scagliarsi come uno scavezzacollo contro il nemico e digrignargli in faccia i denti. Nell'Hagakure si racconta un aneddoto misterioso, dove si parla di un samurai che nella furia della battaglia perde la testa – non in senso figurato, gli viene letteralmente mozzata – ma il cui corpo nonostante ciò continua a battersi nella mischia e la sua katana a vibrare colpi ferali, facendo incetta di nemici. Alla fine molti ne rimarranno al suolo, prima che l'ultima fiammella di vita si sarà estinta definitivamente dal corpo senza testa dell'indomabile samurai...
Chiudiamo con un'altra citazione tratta dall'Hagakure, che potrebbe fornire un'ulteriore chiave di lettura all'onirica pellicola di Jarmush: «Si dice giustamente che tutto il mondo non è altro che un sogno. Quando ci si sveglia dopo aver fatto un brutto sogno, ci si tranquillizza subito pensando che è stato solo un sogno. Il mondo presente non è per niente diverso.»2. (Chi ha orecchie per intendere, intenda...).

***

1 Y., Tsunetomo, Hagakure – Il Codice Segreto dei Samurai, Einaudi, Torino, 2001, cit. p. 111.
2 Ibidem, cit. p. 98.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante, grazie Giulia

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Mi fa piacere che l'hai trovato interessante, grazie a te!
Marco

Anonimo ha detto...

Good words.