18.9.07

"La caduta" (2004)

di Marco Apolloni



Der Untergang, tradotto con La caduta è un film di Oliver Hirschbiegel – regista anche del celebre telefilm canino Il commissario rex. La pellicola racconta con molto coraggio la caduta luciferina di un intero popolo, attraverso gli ultimi dodici giorni di vita di Adolph Hitler: dal 20 aprile al 2 Maggio del 1945, rispettivamente dal giorno dell'ultimo compleanno del Führer a quello della resa finale della Germania. La parte del cattivo più famoso del XX° secolo è affidata ad un Bruno Ganz in stato di grazia, che ci restituisce tutti i tic – a cominciare da un braccio tremante per le prime avvisaglie di un Parkinson – e i continui sbalzi d'umore di un ricurvo – chissà se per il pesante fardello di colpe portato – Adolph Hitler, indicativi di una sempre più strisciante follia. Proprio essa lo fa inveire contro i suoi generali inventandosi soldati e carri armati inesistenti per riuscire a contenere l'inarrestabile invasione del nemico bolscevico, oppure lo fa da un lato essere gentile coi bambini e dell'altro affermare giudizi perentori sulla popolazione inerme, schiacciata nella morsa del nemico, del tipo: «Se la guerra è persa, non mi importa che il popolo muoia. Non verserò una sola lacrima per loro, non meritano nulla di meglio.». L'ambiente di questa mise-en-scène è il bunker posto sotto la Cancelleria del Reich di Berlino. La vita all'interno di questo rifugio claustrofobico e disperato sembra svolgersi febbricitante, fuori si percepisce il senso dell'imminente disfatta ma dentro al contempo si cerca di auto-ingannarsi, facendo finta di niente e continuando il carosello dell'assurda giostra quotidiana. Scene di ordinaria follia si susseguono come quella dove i bombardamenti russi interrompono l'orgia danzante dei gerarchi nazisti accompagnati dalle loro mogli e amanti, che consegna al nostro immaginario un'ambientazione fortemente decadente e ricca di nonsense.
La caduta ha il merito di essere, fra le altre cose, un film corale. Fuori nelle strade si assistono a scene strazianti: corpi maciullati dalle bombe, l'inutile affannarsi dei medici tra la massa dei feriti perlopiù morenti, l'eroismo inaspettato di soldati-bambini della «gioventù hitleriana» come Peter – addirittura decorati dal Führer in persona, che li esalta come modelli della stoica resistenza berlinese al nemico “rosso”. La protagonista, sia nella finzione cinematografica che nella realtà storica – dato che dai suoi diari di quei giorni scritti a quattro mani con Melissa Müller, Fino all'ultima ora, è stato tratto il film (ispirato anche da un altro testo, La disfatta di Joachim Fest) – è Traudl Junge, segretaria personale di Hitler. È molto interessante notare l'evoluzione di questo sfaccettato personaggio, la cui colpevolezza – come del resto quella di tutto il popolo tedesco – consiste appunto in un volontario auto-accecamento, nel dire – per scaricarsi la propria coscienza – di non aver saputo, anche se bastava solo per un momento aprire gli occhi e vedere quanto stava avvenendo, invece di tapparseli volontariamente, mentre in milioni passavano per i camini in campi di sterminio come Auschwitz. La perdita dell'incanto per la figura carismatica del Führer, coincide per la protagonista nel rendersi finalmente conto di esser stata in quanto tedesca, almeno in parte, connivente dei nazisti e corresponsabile delle loro nefandezze.
Una cosa è certa: bisogna dare atto al coraggioso tentativo attuato da questo film, poiché è stato capace di toccare il nervo ancora più scoperto del popolo tedesco, quale il nazismo, affrontando con dovizia di particolari questo inesauribile argomento che è e continuerà ad essere nei giorni a venire di scottante attualità. È come se qui il popolo tedesco si fosse messo, per la prima volta – dopo l'immane catastrofe di quegli anni –, davanti allo specchio per capire come una lucida follia – come quella nazista – avesse potuto insinuarsi, per poi radicarsi tanto profondamente, in ogni singolo strato della società tedesca, fino a farla arrivare ad un grado simile d'incomparabile disumanità. Il merito della pellicola, a tratti un po' troppo didascalica e documentaristica, è stato quello di essersi limitata a mostrare dal buco della serratura, piuttosto che arrogarsi la presunzione di spiegare l'inspiegabile costituito dalla razzista e nichilista ideologia nazista. Il gap tra un saggio storico e una produzione artistica come questa consiste nella seguente dovuta distinzione: il primo ha il diritto-dovere di fornire precise spiegazioni agli avvenimenti storici, diversamente la seconda ha all'opposto il diritto-dovere di non fornire spiegazioni di sorta, limitandosi bensì ad osservare il fenomeno con brechtiano distacco in modo tale da raccontarlo con maggiore obiettività.
Particolarmente scioccante è il finale del film, dove si assiste ad una lunga catena di suicidi, culminata nei suicidi dello stesso Hitler e della sua inseparabile compagna Eva Braun – sepolti prima e bruciati poi in una triste fossa comune, per non farli trovare dal nemico, proprio come le vittime dell'Olocausto. Addirittura si vede i coniugi Goebbels avvelenare nel sonno i loro innocenti pargoli prima di togliersi loro stessi la vita, poiché secondo essi farli vivere in un mondo senza il nazionalsocialismo sarebbe stato ancor peggio della morte: una specie di morte-in-vita a dir poco intollerabile... Solo per due personaggi nel finale del film, peraltro colpevoli di mali minori, c'è spazio per una possibile seppur difficoltosa redenzione. Traudl Junge e il bambinetto Peter, infatti, fuggono in sella ad una bicicletta – omaggio chissà a Ladri di Bicicletta di De Sica o alla Vita è bella di Benigni – e scampano alla cattura fingendosi, non senza un pizzico d'ipocrisia, madre e figlio.
Alcuni hanno criticato ingiustamente questo film per aver umanizzato troppo la figura disumana di Hitler e questo non è affatto vero. L'aver mostrato il volto di un – per così dire – “Hitler privato” all'apparenza gentile con la cerchia ristretta delle sue conoscenze, non smentisce in nessun modo l'“Hitler pubblico” implacabile quando si tratta di mostrare pietà per il suo popolo allo stremo delle forze. Già, l'aspetto più inquietante della figura di Adolph Hitler è che solo secondariamente lui è stato un mostro, dato che innanzitutto lui è stato un uomo. Che un uomo dunque avesse potuto arrivare a tanto, nessuno l'avrebbe mai detto, eppure questo è ciò che avvenne.
Nello scorrere i titoli finali del film viene ripresa la Traudl Junge, quella vera, in un'intervista esclusiva afferma di essere venuta a conoscenza delle colpe storiche del nazismo solo dopo il processo di Norimberga. Come già detto però, sinceramente questa presunta attenuante non solo della Junge, come lei anche di altri milioni di tedeschi vissuti in quel periodo nefando, non può assolvere totalmente l'intero popolo tedesco dalle colpe imputate al nazismo. Nessuno può dunque dirsi del tutto innocente, tutti hanno avuto la loro buona compartecipazione di colpa. Certo è che, ammesso e non concesso che vi sia effettivamente un inferno oltre la morte, dal canto loro quei milioni di tedeschi vissuti all'epoca del nazismo possono ben dire di aver vissuto il loro inferno personale, ogni giorno della loro tormentata vita, nei continui rimorsi della loro colpevole coscienza faustiana.
Chiudiamo con una folgorante citazione rousseauiana e con la speranza che esempi storici negativi come il nazismo restino solo un brutto ricordo... «È nei vostri cuori insaziabili, rosi dall’invidia, dall’avarizia e dall’ambizione, che le passioni vendicatrici, nel bel mezzo della vostra fittizia felicità, puniscono i vostri misfatti. Perché andare a cercare l’inferno nell’altra vita, se già qui, sulla terra esso infuria nel cuore dei malvagi?»1.
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1 J.-J. Rousseau, Emilio o Dell’Educazione, Mondadori, Milano, 1997, cit. p. 386.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

condivido il senso del tuo post. credo che la caduta si inserisca in un movimento relativamente nuovo nella società tedesca che inizia a fare i conti con il Ricordo intimo, privato, di una tragedia di cui è stata colpevole al di là di ogni dubbio.
su quest'onda mi piace leggere Sbucciando la cipolla di grass. per decenni il ricordo è stato affidato ad atti pubblici che hanno sicuramente condannato il nazismo, ma non hanno (non avrebbero potuto) assicurato la memoria intima e sincera di una genrazione che ormai si va spegnendo.

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per la tua competente postilla. Ma temo ahimè che non basti una sola generazione per cancellare l'indelebile ricordo delle efferatezze naziste.
Purtroppo in giro ci sono ancora dei professori - reazionari fino al midollo - pronti a difendere dei "presunti meriti" del regime hitleriano.
Costoro pretendono di giustificare le nefandezze della politica, dicendo che essa è qualcosa di sovra-etico. Vero, indubbiamente. Peccato, però, che la nostra Storia (spesso e volentieri maestra-di-niente) non ci abbia insegnato la lezione, e cioé: la politica senza la "bussola" dell'etica è come un fiume in piena senz'alcun argine capace di trattenerlo. Per me, dunque, politica ed etica devono diventare o ri-diventare, a seconda, un tutt'uno inseparabile, per amore dell'umanità! Sarò pure un'idealista, ma d'idealismo Dio solo sa quanto ce n'è bisogno di questi tempi...