30.12.07

I però della vita

di Marco Apolloni

Mi girano un po' le palle, lo ammetto. Perciò premetto che sarò volutamente irritante. Avete presente quei lunghi giri di parole introduttivi con cui certa gente ti silura, però – ecco il primo però – con molto stile. Beh, ieri sera – dolceamara serata – mi sono trovato in una situazione analoga. Per motivi di privacy non starò a raccontarvi con chi ero, né tanto meno i perché e i per come. Sarò diretto e brutale. La mia è più che una dichiarazione d'intenti. Non so voi, ma quando uno mi parla e si dilunga lisciandomi contro pelo come si fa coi gatti, io non mi fido tanto, comincio a sentire puzza di gatto bruciato. Poi ad un tratto, eccolo: il benemerito però che ti aspettavi da mezz'ora e che puntualmente senti pronunciare. Basta una leggera, quasi impercettibile, inflessione di tono nella voce che subito tutto ti appare chiaro. La vita te lo sta per mettere in quel posto... Tu credevi di non essere come gli altri, che la carretta non avresti dovuto spingerla, che non avresti dovuto faticare come un mulo e invece eri solo un pirla presuntuoso che supponeva. Però si poteva fare così, però si poteva fare cosà, però sei stato troppo profondo, però sei stato troppo superficiale. Tagliando corto, quando senti dirti ognuno di questi però è come se ricevessi un pugno sul grugno, di quelli tosti, bene assestati, che ti spaccano la pelle e ti fanno scendere giù piscine di sangue vischioso. Ti dicono che sei un giovane di buone speranze e subito ti vengono in mente quelle miriadi di giovani prima di te, anch'essi una volta di buone speranze ma ora dei perfetti signori nessuno sparsi chissà dove nel globo – nella migliore delle ipotesi – o niente più che cibo per vermi – nella peggiore delle ipotesi. Ti tocchi le palle, sì, e una toccatina è proprio quello che ci voleva dopo simili pensieri. Ti fai forza e ti dici: "Dai che un giorno prima o poi qualcuno ti apprezzerà per quello che sei e ti darà il tuo attimo fuggente di gloria". Andy Warhol ha detto che tutti finiremo con l'avere i nostri cinque minuti di notorietà. Certo cinque minuti sono un po' pochini ma, cazzo, sempre meglio di niente. E allora tu ci speri e ti accorgi di avere fatto il più capitale degli errori perché ti ricordi di quel detto: chi vive sperando, muore... Fa niente, non sei scaramantico, però – diamine eccone un altro – ti tocchi lo stesso un'altra volta. Tanto massimo che ti succede è niente. Come dice quello: non ci credo però mi tocco... Scanso equivoci. Già, è meglio scansare gli equivoci. Ti fanno troppa confusione e poi ti logorano il cervello. M'immagino voi lettori, che vi starete dicendo: guarda questo qua, usa la seconda persona perché vuole somigliare a Mac Inerney. Mac chi? No, non ce l'ho un Mac. O meglio: conoscevo un Mac, però quello giocava a tennis. Un po' folle, ma non era niente male. Era il mio tipo di tennista ideale. Faceva incazzare gli arbitri come delle iene. Poteva dire o fare quello che gli pareva dentro al campo da tennis. Comunque la gente lo applaudiva. Poteva pure mandare affanculo la stessa gente che gli batteva le mani. Tanto lui era un genio, quindi logicamente sregolato. Chi cazzo saranno mai 'sti geni. Le biografie dei più grandi scrittori di tutti i tempi sono istruttive in proposito: si trattava perlopiù di personaggi decisamente strani, che facevano la fame pur di coltivare il loro sogno di scrittura. Molti crepavano senza vedere coi loro occhi una sola critica positiva ai loro libri. Poi da morti, magicamente venivano beatificati. Non dal papa, ma da quegli stessi palloni gonfiati che li avevano stroncati quand'erano vivi e che gli avevano fatto patire le pene dell'inferno. Ma che vi sto a raccontare. Queste sono cose che voi già saprete, miei cari lettori. Che gran tristezza. La vita è adesso! Ieri è già passato. Domani boh? Il domani quello, beh, lo sappiamo tutti è un'incognita, un gigantesco punto di domanda. Ne sapeva qualcosa Lorenzo De' Medici che nella sua stracitata poesia carnascialesca ha lasciato scritto: "Chi vuol essere lieto sia di doman non v'è certezza"... Poesie a parte, la vita non è poesia. È quanto di più lontano ci possa essere alla visione che hanno i poeti del mondo. Questi, infatti, sono degli spiantati, però una cosa è certa: pensano davvero quello che dicono, peccato solo che dicano un mucchio di cretinate. O meglio: tali sembrano alla stragrande maggioranza della gente che non possiede il loro dono. La società li abortisce, non ne vuole sapere ed è arrivata addirittura a cancellarne le tracce. Neanche li pubblicano più i libri di poesia. Ci manca solo che il WWF metta i poeti come specie protetta, dato che sono ormai in via d'estinzione. Io ho un amico poeta, si chiama Delfino. Scrive poesie ed è pure bravo, però alla gente non importa quel che ha da dire lui, poetastro, sul mondo. La gente legge con piacere l'avvincente descrizione di un pompino fatto da una quindicenne un po' zoccola. Quelle sono cose che catturano il vivo interesse della gente. Sono cose che possono diventare argomento per quei circhi umani dei talk show. Queste cose riempiono i teatri di persone che pendono dalla bocca non della ragazzina-scrittrice, chiamata solo come comparsa, ma dello psicologo di turno che racconta alla platea plagiata il degrado morale in cui sono incappati i nostri figli. Queste persone vogliono sentirsi dire che era meglio ai loro tempi: quando non c'erano né internet né i cellulari né quant'altro. Insomma la solita minestra riscaldata. Sono stufo, anzi arcistufo. È tempo che mi congeda da voi, fedeli lettori. Lasciatemi dire però – questo vi prometto è l'ultimo della serie – una cosa ancora, la cosa più sincera che io possa dirvi – che fa riferimento alla mia esperienza di vita vissuta: non c'è trippa per gatti... ma per i cani sì!

1 commento:

Anonimo ha detto...

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