di
Marco Apolloni
José Luis Rodriguez Zapatero ha rivinto le elezioni in Spagna. W Zapatero! Spero sia di buon auspicio per la sinistra riformista italiana. Con il vostro permesso, vorrei divertirmi a prospettare un possibile e avveniristico scenario in caso di vittoria delle destre nel nostro Paese…
Più soldi per le infrastrutture, meno soldi per la ricerca. Più inquinamento (con tutto il carico di malattie e catastrofi naturali che una simile sprovveduta politica ne conseguirebbe), meno cura per l’ambiente. Più agevolazioni fiscali per le aziende (fosse solo questo ci andrebbe pure bene, ma…), meno soldi per gli operai (a patto che non si sfondino la schiena da mattina a sera con gli straordinari, allora in quel caso soltanto il leader del Popolo della Libertà si è mostrato favorevole ad un incremento dei salari, in tutti gli altri casi nisba). Più conflitti d’interesse, meno uguaglianza sociale. Più preoccupazione per la salute ultraterrena (che per carità sarebbe cosa sacrosanta se e solo se…), meno attenzione per la salute terrena. E via elencando… In definitiva, se vincessero le destre il conservatorismo – che è paralisi dello Spirito – sia di matrice economica che ideologica trionferebbe e a perdere la partita sarebbero i reali bisogni del Paese, ovvero: più riforme condivise e indispensabili per tutti.
Ciò considerato, permettetemi di lanciare una provocazione: non so voi, ma io sottoscriverei oggi stesso un progetto di legge che preveda un aumento di tasse utili – tra cui quel che concerne la ricerca scientifica, la sanità e l’istruzione – e una conseguente diminuzione delle tasse inutili – stabiliamo insieme quali –, che non fanno altro che appesantire il nostro già fagocitante apparato burocratico.
Essere di destra o di sinistra, oggi, non c’entra più niente con l’essere fascisti o comunisti, ieri. Bisogna superare certi sbarramenti ideologici. Certamente, però, essere di destra o di sinistra ancor oggi ha un preciso e ben distinguibile significato. Essere di destra, infatti, vuol dire essere conservatori e quindi per il mantenimento dello status quo. Vuol dire volere che le cose non si smuovano neppure di un solo millimetro da come stanno e sono sempre state. Vuol dire difendere certi privilegi di casta o interessi particolari, a scapito del bene comune. Essere di sinistra, invece, significa essere dei riformisti convinti. Significa lottare per cambiare le cose giorno per giorno – per il bene della collettività. Perché il mondo così com’è non ci va mica tanto a genio. Significa voler attuare quel processo di riforme per migliorare progressivamente le condizioni in cui versa il nostro Paese in particolare e più in generale il pianeta Terra.
Al giorno d’oggi non è più con le rivoluzioni che si possono cambiare le cose, ma mediante le riforme. Per ottenere una migliore condizione umana altrimenti detta “il migliore dei mondi possibili”, non occorre più servirsi della violenza, basta convincersi dell’efficacia di politiche comuni e, per ciò stesso, largamente condivise. Solo con la condivisione di grandi e nobili ideali, infatti, potremmo scongiurare che il nostro mondo finisca a gambe all’aria…
Essere di sinistra, oggi, significa combattere per questo mondo, con mezzi molto materiali e non più con giacobinismi di sorta. La nuova sinistra italiana è confluita nel Partito Democratico. L’unico partito in Italia ad essersi fatto carico di un grandioso e gravoso compromesso storico. Poco importa se viene detto – dal suo stesso leader – di “centrosinistra”. La posta in palio è troppo alta, perciò ben venga simile compromesso se questo può essere la chiave per poter vincere e governare bene un giorno.
Pur stimando i “vecchi compagni”, credo che la separazione sia stata per entrambi tanto dolorosa quanto inevitabile. È ormai tramontata l’era dei massimalismi. Sia da una parte che dall’altra. Anche se da quest’altra parte, nomi come quelli di Ciarrapico e della Mussolini non fanno granché onore al Popolo della Libertà, che a questo punto è diventato la casa dei liberal-fascisti. A quelli dell’altra sinistra dico che non è più tempo per nutrire antiche e desuete nostalgie marxiste. Per questo io mi sento di aderire idealmente al Partito Democratico che rappresenta il nuovo in luogo del vecchio. Grazie ad esso la sinistra riformista italiana ha finalmente potuto voltar pagina, chiudendo i conti con un passato troppo ingombrante – anche se, ad esser onesti, i cosiddetti “scheletri nell’armadio” stanno sia a destra che a sinistra e il bene assoluto è una categoria assolutamente bandita dal vocabolario politico.
La Sinistra Arcobaleno rappresenta il “vecchio” e come tale va sì rispettato, ma dovrebbe ben capire di fare largo al “giovane” costituito dal Partito Democratico. Chissà che quest’ultimo, facendosi carico degli errori passati, non sappia fare meglio. Non rimane che lasciarlo provare. Per quel che mi riguarda, qui concludo la mia spontanea professione di voto per le prossime elezioni politiche di aprile. Intanto, faccio i miei migliori auguri al carismatico leader spagnolo. Ora e sempre: W Zapatero!
P.S: Ai “vecchi compagni” chiedo scusa in anticipo. Magari ho preso un granchio e il Partito Democratico non è il rimedio ai mali del nostro Paese. Ma anche fosse, credo d’averlo fatto in buona fede. Magari tutti si sbagliassero in buona fede! Badate bene, parlo volutamente di "rimedio" e non di "cura". Dato che una cura vera e propria al momento non esiste, a meno che non capiti qualche miracolo. Per questo, però, meglio rivolgersi a Padre Pio e non a Veltroni…