di Marco Apolloni
Il Vangelo di Matteo e il Vangelo di Luca sono gli unici che trattano dell'infanzia del Salvatore. Queste due narrazioni, pur nell'unitarietà del loro intento – cioè: divulgare l'operato terreno di quell'essere ultraterreno quale fu il Cristo, tracciando così la portata escatologica del suo messaggio –, presentano alcune divergenze, in special modo: stilistiche. L'opera di Matteo sembrerebbe essere scritta più sotto il segno dell'antecedente tradizione giudaica – numerosi sono i rimandi testuali all'AT – e per certi versi è anche quella più rigorosa. L'opera altresì di Luca – la cui ispirazione paolina non può che apparire evidente sin dal suo Prologo – si presenta in maniera molto più originale; nel senso che pur essendo come l'altro ricco di dettagli storici – delineanti, appunto, un contesto storico ben preciso – la sua forma narrativa è il dittico, com'era nella tradizione ellenistica – occorre, infatti, ricordare che la lingua con cui è stato redatto questo vangelo è il greco, a differenza dell'altro scritto invece in aramaico.
Diversamente dal pubblicano Matteo – il cui vangelo è rivolto soprattutto ai giudei convertiti al cristianesimo e inizia subito preannunciando l'ascendenza davidica, quindi regale, di Gesù – Luca, medico di Antiochia, comincia la sua narrazione con la promessa, da parte del Signore, del concepimento di Giovanni detto il Battista. Analogo fu l'episodio del concepimento di Isacco – chiamato: “figlio della promessa” –, nato per volontà dell'Onnipotente da Abramo e da sua moglie Sara. Nel caso specifico del Battista, i protagonisti sono il sacerdote Zaccaria e la moglie Elisabetta, parente di Maria – poi madre di Gesù – la quale esclama riconoscente: «Ecco cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini» (Lc 1, 25). Tale castigo divino, la sterilità per l'appunto, viene tolto dal Signore ad Elisabetta proprio per dare alla luce il Battista, ovvero colui che preparerà l'avvento messianico di Cristo fra i fedeli, avvertendoli di agire rettamente secondo i nobili principi di giustizia e carità (c 3): poiché le porte del “regno dei cieli” non vengono precluse a nessuno, purché ciascuno adempia al volere divino e si renda rispettoso della Legge. Qui emerge di nuovo la stretta consonanza con il messaggio egalitario e universalistico della dottrina dell'apostolo Paolo, di cui Luca è un devoto discepolo.
Parallelamente alla nascita di Giovanni, Luca porta avanti la narrazione di quella del Messia. Appena nato, questi viene deposto “in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo” (2,7) – il bue e l'asinello verranno surrettiziamente introdotti da una pia leggenda. Tutto ciò per dare maggiore risalto alle misere condizioni in cui è stato dato alla luce il Re degli uomini! Luca si lascia più volte trasportare durante la narrazione dal “lieto annunzio” (1, 19) oppure dalla “buona novella” (3, 18) racchiusa dalla provvidenziale venuta del Messia. Egli restituisce con appassionate parole la straordinaria figura del suo Maestro venuto ad impartire, all'intera compagine umana, insegnamenti d'indubitabile fratellanza universale!
Gesù nasce a Betlemme, in questo piccolo capoluogo della Giudea, adempiendo così a quanto è stato detto dal profeta Michea (Mi 5,1). Tant'è vero che la citazione del profeta viene riportata da Matteo (2, 6). Costui nel suo vangelo si sofferma maggiormente sull'episodio dei magi accorsi a glorificare il nascituro, guidati nel loro periglioso viaggio dall'oriente – luogo da dove provenivano – dalla scia luminosa di una fantomatica stella. Essi, informati in sogno, non solo non riferirono a re Erode dell'avvenuta nascita del Redentore, ma oltretutto ritornarono in segreto nel loro paese natio (2, 12). Una particolare notazione da fare è che, come nell'AT, anche nel NT il volere divino viene spesso e volentieri comunicato mediante l'esperienza estatica dei sogni. Nel Vangelo di Matteo, ad esempio, Giuseppe viene avvertito in sogno che dal grembo di Maria sta per nascere un bambino prodigio – in base a questa rivelazione lui non ripudierà la sua compagna (1, 24). Il racconto di Matteo poi prosegue con il truce episodio della strage degli innocenti, avvenuta in Egitto e ordinata da re Erode, infuriatosi per l'inganno in cui venne tratto dai magi. Tale episodio si richiama implicitamente a quanto avvenne dopo la nascita di Mosè, quando il faraone – come Erode – ordinò di sterminare i bambini neonati. Esso assume una precisa funzione simbolica in Matteo, che vuole creare un metro di paragone – per i giudei convertiti al cristianesimo – tra: gli avvenimenti della vita di Mosè e quelli della vita di Cristo. Quest'ultimo, infatti, compirà la legge mosaica con la sua venuta, preannunciata dai profeti. Giuseppe viene avvertito ancora una volta in sogno e perciò si sposta con la famiglia a Nàzaret, adempiendo pure stavolta a quanto era stato già profetizzato sul conto del nascituro: «Sarà chiamato Nazareno». In definitiva, la venuta di Gesù sta ad indicare per Matteo l'adempimento delle scritture e a dimostrazione di ciò lui cita alla lettera il profeta Isaia (7, 14): “Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa: Dio con noi” (Mt 1, 23).
Merita una particolare menzione l'episodio narrato da Luca (2, 46-50), in cui il fanciullo Gesù si trova a disquisire coi dottori nel tempio, rimasti meravigliati dall'acutezza delle sue domande e delle sue risposte. Ad un certo punto sua madre, dopo averlo a lungo ricercato insieme al compagno Giuseppe, se lo ritrova davanti in quel luogo: il tempio appunto – piuttosto impensabile se si pensa all'allora dodicenne Gesù. Quindi Maria domanda al figlio: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Questi con una penetrazione d'animo disarmante le risponde, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Le sue enigmatiche parole rimasero perlopiù incomprese, anche se oggi, ripensate col senno di poi, non possono che apparire per quel che sono, vale a dire: fin troppo premonitrici...
Infine, analizzando accuratamente la genealogia di Gesù, riportata sia da Matteo che da Luca, appare chiaro ed evidente che: per l'uno il Messia è il “figlio d'Israele” – discendente della stirpe di re Davide –, per l'altro invece è il “figlio dell'Uomo” – discendente diretto di Abramo, il primo uomo posto da Dio sulla terra. Ad ogni modo però entrambi, elencando la discendenza del Salvatore, hanno avuto un intento comune, ovvero quello di fondare la venuta messianica di Cristo come cifra assoluta delle profezie degli antichi profeti!
Infine, analizzando accuratamente la genealogia di Gesù, riportata sia da Matteo che da Luca, appare chiaro ed evidente che: per l'uno il Messia è il “figlio d'Israele” – discendente della stirpe di re Davide –, per l'altro invece è il “figlio dell'Uomo” – discendente diretto di Abramo, il primo uomo posto da Dio sulla terra. Ad ogni modo però entrambi, elencando la discendenza del Salvatore, hanno avuto un intento comune, ovvero quello di fondare la venuta messianica di Cristo come cifra assoluta delle profezie degli antichi profeti!
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