di Paolo Musano
Allora, da dove cominciare. Ho appena bevuto una tazzina di caffè, leggendo qualche capitolo di "Palomar". Il libro di Calvino, inaspettatamente, mi sta facendo mettere in discussione molti miei atteggiamenti. Una volta facevo delle mie letture ricercate e solitarie un vanto e una virtù e non davo troppo peso al fatto che a rimetterci erano altri aspetti della mia vita non meno importanti, come gli affetti e le relazioni sociali. Avevo un'idea sbagliata della profondità e della saggezza che era nutrita della mia presunzione e dei miei pregiudizi, il più delle volte inconsapevoli. Adesso, alla luce anche di cose che mi sono successe e che prima o poi racconterò, ho capito che la conoscenza, anche se assunta per via intuitiva, deve essere sempre frutto di un processo, deve essere elaborata, masticata, digerita e solo dopo assimilata. Credendomi chissà perchè quale raffinatissima intelligenza, tendevo ad abbuffarmi di concetti, saltando tappe fondamentali, nell'illusione di avere delle solide fondamenta. Beh, ho capito che quelle fondamenta non erano solide affatto ed anzi il terreno nel quale affondavano era pure franoso. Il rendersi conto di questo significa pesare bene i propri passi e soprattutto essere umili. Soltanto adesso ho capito che la corazza di mio padre non è nè superficialità nè insensibilità, ma una forma speciale di carattere che chiamare "ottimismo" sarebbe riduttivo. E capisco anche cosa vuol dire Wayne Dyer quando afferma che l'intelligenza è "la capacità di essere felici". Tempo fa mi sembrava una frase scontata: avevo le mie definizioni astratte, ma ora trovo che la sua sia la migliore definizione. Tutto il succo di questo discorso lo si trova in "Palomar" di Calvino: il protagonista apparentemente è freddo e superficiale. E' uno che si limita a osservare gli oggetti alla ricerca di chissà che cosa. Andando avanti nella lettura la nostra visione stereotipata si capovolge, e ci accorgiamo che Palomar è un individuo estremamente sensibile che nel suo modo particolare di rapportarsi al mondo cerca la via migliore per arrivare alla saggezza, all'essenza ultima. Più o meno consapevolmente si rende conto che non si può conoscere l'interno delle cose se non si è esaurita prima la loro superficie, ma la superficie è inesauribile. E' una verità paradossale (e per questo molto sensata) che si chiarisce nel passo che dice: l'universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi.
Allora, da dove cominciare. Ho appena bevuto una tazzina di caffè, leggendo qualche capitolo di "Palomar". Il libro di Calvino, inaspettatamente, mi sta facendo mettere in discussione molti miei atteggiamenti. Una volta facevo delle mie letture ricercate e solitarie un vanto e una virtù e non davo troppo peso al fatto che a rimetterci erano altri aspetti della mia vita non meno importanti, come gli affetti e le relazioni sociali. Avevo un'idea sbagliata della profondità e della saggezza che era nutrita della mia presunzione e dei miei pregiudizi, il più delle volte inconsapevoli. Adesso, alla luce anche di cose che mi sono successe e che prima o poi racconterò, ho capito che la conoscenza, anche se assunta per via intuitiva, deve essere sempre frutto di un processo, deve essere elaborata, masticata, digerita e solo dopo assimilata. Credendomi chissà perchè quale raffinatissima intelligenza, tendevo ad abbuffarmi di concetti, saltando tappe fondamentali, nell'illusione di avere delle solide fondamenta. Beh, ho capito che quelle fondamenta non erano solide affatto ed anzi il terreno nel quale affondavano era pure franoso. Il rendersi conto di questo significa pesare bene i propri passi e soprattutto essere umili. Soltanto adesso ho capito che la corazza di mio padre non è nè superficialità nè insensibilità, ma una forma speciale di carattere che chiamare "ottimismo" sarebbe riduttivo. E capisco anche cosa vuol dire Wayne Dyer quando afferma che l'intelligenza è "la capacità di essere felici". Tempo fa mi sembrava una frase scontata: avevo le mie definizioni astratte, ma ora trovo che la sua sia la migliore definizione. Tutto il succo di questo discorso lo si trova in "Palomar" di Calvino: il protagonista apparentemente è freddo e superficiale. E' uno che si limita a osservare gli oggetti alla ricerca di chissà che cosa. Andando avanti nella lettura la nostra visione stereotipata si capovolge, e ci accorgiamo che Palomar è un individuo estremamente sensibile che nel suo modo particolare di rapportarsi al mondo cerca la via migliore per arrivare alla saggezza, all'essenza ultima. Più o meno consapevolmente si rende conto che non si può conoscere l'interno delle cose se non si è esaurita prima la loro superficie, ma la superficie è inesauribile. E' una verità paradossale (e per questo molto sensata) che si chiarisce nel passo che dice: l'universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi.
2 commenti:
Questa non è una recensione! Sono solo parole e pensieri del signor Musano, ma sono ben lungi da una recensione.
"Palomar"è per me il romanzo in assoluto più interessante di I.Calvino.Anche se è stato un inevitabile esame universitario a rendermelo noto devo ammettere che è stato davvero bello leggerlo.La prosa è lucida e scorrevole, la narrazione attenta ai particolari, la descrizione delle cose estremamente dettagliata e suggestiva.Palomar(romanzo-personaggio)mi ha suggerito un'ossevazione delle cose del mondo più problematica, meno superficiale.Ma le osservazioni di Palomar(personaggio) non riescono mai a concludersi, ad arrivare...;prova, allora, che la saggezza non si raggiunge tanto facilmente...o non la si potrà mai raggiungere.
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