3.4.07

Civiltà greco-latina: la poetica dei greci / 3

(corso tenuto dal professor Giuseppe Girgenti)
Appunti, considerazioni, riflessioni

di Marco Apolloni

La poesia nella civiltà greca si caratterizza in tre fasi: prima fase, poesia epica antica (Omero, Esiodo); seconda fase, poesia elegiaca; terza fase, poesia drammatica. In merito a quest'ultima vi sono due opere imprescindibili: una di un contemporaneo, Aristotele, intitolata La poetica; un'altra di un postero, Nietzsche, intitolata La nascita della tragedia.
Tesi di Nietzsche: il sentimento tragico della vita è la caratteristica peculiare dell'uomo greco. Tale sentimento è determinato dal conflitto incessante tra la libertà umana e la necessità del fato ineluttabile. Dunque esiste una sola via d'uscita: “l'amor fati”! Tesi questa riconducibile agli stoici, i quali desideravano anch'essi assecondare il loro destino, senza opporvisi minimamente. Da ciò ne consegue l'equazione: Grecità = Pessimismo!
Tesi di Aristotele: la tragedia – nata da un insopprimibile esigenza religiosa, culto di Dioniso – è imitazione di uomini nobili, laddove la commedia invece è imitazione di uomini più spregevoli. La prima suscita le “passioni del pianto”, la seconda invece le “passioni del riso”. Senza l'una non può necessariamente darsi nemmeno l'altra, poiché l'arte è imitazione della vita e della vita fanno parte entrambe queste passioni ed entrambe queste categorie di uomini – siano essi nobili oppure spregevoli.
Attraverso il teatro, che svolge una funzione sia paidetica, cioè educativa, che terapeutica, i cittadini della polis imparano mediante la purificazione dalle passioni negative, dicesi: catarsi. Quindi, in definitiva: per i greci andare a teatro è l'equivalente del nostro andare a messa la domenica, oggi...
Sulla scia aristotelica si colloca la tesi di Pohlenz: nettamente contrapposta a quella di Nietzsche, che vede nell'equazione Grecità = Pessimismo uno schema fin troppo riduttivo. La tragedia intesa come pessimismo ha un suo preciso rovescio della medaglia, che consiste nella commedia intesa altresì come ottimismo. Piuttosto si potrebbe definire il pessimismo dei greci come il limite invalicabile del loro ottimismo, oltre il quale non era dato accedere. Quindi, in definitiva: senza la commedia non vi sarebbe neppure la tragedia!
I poeti drammatici rivaleggiano fra di loro come degli “agoni” olimpionici e questa genuina competizione ha luogo nelle loro rappresentazioni teatrali. La prima, in assoluto, di cui si conserva memoria è quella tenutasi al Teatro di Dioniso ad Atene nel 534 a.c.
Il termine “dramma (drammatico)” deriva dal verbo “drán” che significa: “agire”. Dunque il drama propriamente inteso sta a significare un'azione scenica detta: “rappresentazione” o anche “messa in scena” e di cosa se non di un'azione? La tragedia così come la commedia, dunque, appare come un'imitazione di un'azione – ovvero: mimesi di una prassi. Questa è scritta per venire inscenata dagli attori e non per venire narrata dagli aedi o dai rapsodi.
Il dolore per i greci è fonte d'inestimabile conoscenza. Non a caso, se in Eschilo s'impara attraverso la sofferenza, viceversa in Sofocle la conoscenza produce sofferenza.

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