6.4.07

Viaggio attraverso la rotta dei clandestini africani

di Silvia Del Beccaro

Nel 2003 il "Corriere della Sera" ha pubblicato il reportage dell’ inviato Fabrizio Gatti. Il giornalista ha raccontato, in cinque puntate, il viaggio intrapreso e vissuto al fianco di numerosi clandestini africani, in fuga da Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio, Nigeria e Camerun. Partenza da Dakar, arrivo a Lampedusa: ecco il tragitto che gli immigrati clandestini devono seguire, per arrivare in Europa. Come vivono? Cosa li porta ad attraversare tutta l’Africa? Quali violenze sono costretti a subire per vedere realizzati i propri sogni? A queste domande, Fabrizio Gatti ha risposto attraverso le fotografie e le parole pubblicate all’interno del suo reportage.
Seguiva già da tempo l’arrivo in Italia degli immigrati, spesso clandestini. Così nel 2002, dopo i numerosi naufragi nel mar Mediterraneo, tra il Nord Africa e la Sicilia, Gatti ha proposto di raccontare la storia di queste persone e dare loro un nome, poiché spesso, per noi, erano solo dei numeri (n.d.r. 210 morti nel Mediterraneo, 365 dispersi nel nord della Tunisia). Era un’idea che aveva in mente già da tempo, ma era sempre mancata l’occasione giusta per realizzare un servizio di questo genere. L'estate del 2002, poi, ha proposto l’idea al suo direttore; gli ha spiegato di voler raccontare chi fossero queste persone e di voler condividere con loro il viaggio che compiono, a suo parere eroico.
Così il giornalista e i colleghi si sono messi subito all’opera per cercare di trovare più informazioni possibili e per organizzare un viaggio che, certamente, sarebbe stato estremamente difficile e faticoso. La preoccupazione maggiore, prima della partenza, era data dalla scarsità di punti di riferimento nel Sahara.
Lungo il percorso nel deserto ci sono solo 5 pozzi d’acqua. E non bisogna mancarne neanche uno, altrimenti si rischia la vita. In maggio, un camion si è guastato nella sabbia e sono morte 63 persone. La stessa cosa è successa ad altri due piccoli fuoristrada, nel mese di giugno: uno si è guastato, l’altro si è insabbiato. Sono rimaste coinvolte 30 persone”. E’ bene dire che, in caso di guasto o smarrimento della rotta nel deserto (solo il Ténéré è grande quasi come la Francia), occorre mantenere la calma, nonostante le condizioni in cui ci si trova siano senza dubbio allarmanti. Ecco perché, prima della partenza, Fabrizio Gatti ha cercato di raccogliere maggiori informazioni possibili, attraverso mappe, racconti o altre fonti; così facendo ha potuto segnare alcuni punti di riferimento che gli sarebbero stati utili, una volta circondato solamente dal deserto.
Ma le persone che decidono di partire sono a conoscenza a priori della pericolosità a cui vanno incontro? Chi parte sa che è sarà un viaggio duro e difficile, ma di certo ignora a cosa sta per andare incontro. Neanche Fabrizio Gatti pensava che i militari arrivassero a tanto: estorsioni, ricatti, violenza.
Ma allora, se già attraversare il tratto desertico è così pericoloso, perchè i clandestini decidono di compiere un simile viaggio? Chi parte, nella maggior parte dei casi, sono ragazzi che hanno studiato e che sperano che il loro titolo di studio da noi valga di più; chi parte, spesso sono emigranti africani, o persone che provengono dai paesi più poveri in cerca di lavoro. Chi parte sono persone che vogliono trovare la libertà, anche solo intesa come possibilità di veder realizzato un sogno. Chi parte sono africani “cittadini del mondo”: quelli che si sentono occidentali perché hanno appreso l’importanza dell’istruzione e della scuola. Sono tutti coloro che si sentono proiettati verso un mondo informatizzato, in cui internet è diventato un utilissimo strumento di comunicazione. Ricordo ancora oggi un aneddoto simpatico che Fabrizio mi raccontò in merito al suo viaggio.
Durante il percorso gli era capitato di incontrare gente che gli chiedesse di mandare loro una mail, una volta tornato in Italia, con allegate le sue fotografie. Gli sembrò strano. In fondo, in un’Africa povera, denutrita ed affamata non si può credere all’esistenza di internet. Invece, esistono tantissime baracche, in cui sono collocati fili elettrici, pochi telefoni e qualche schermo. Internet è molto importante perché per loro è uno dei pochi mezzi attraverso il quale possono comunicare con il resto del mondo.
A Dirkou ha conosciuto un ragazzo che era rimasto bloccato perché aveva finito i soldi necessari per continuare il viaggio. Gli ha raccontato che una ragazza bulgara, con la quale era in contatto e alla quale aveva confessato il suo sogno di arrivare in Europa, gli aveva spedito addirittura 100 dollari attraverso internet.
Avventura dopo avventura, alla fine del reportage, sono emersi aspetti che nessuno in redazione si sarebbe mai aspettato. La violenza e le torture a cui i clandestini sono sottoposti da parte dei militari e della polizia sono indescrivibili: pestaggi, frustate con cavi elettrici abbandonati, estorsioni continue. E se un clandestino non ha i soldi per continuare il viaggio, viene abbandonato in mezzo al deserto. Adama Traoré e altri 21 ragazzi sono stati lasciati sotto il sole almeno per dodici giorni, mangiando topolini, insetti, una manciata di miglio. I soldati li hanno fatti scendere dal camion vicino a un pozzo sperduto nel deserto, perché i 22 immigrati non avevano più niente; nemmeno un paio di scarpe bucate con cui pagare l’estorsione.
La cosa più scioccante dunque è lo sfruttamento del fenomeno immigrazione, da parte della polizia e dell’esercito. Oltre agli episodi di violenza, il giornalista è rimasto molto scosso da altri momenti di sofferenza a cui ha assistito durante il viaggio intrapreso. Kofi e Oliver ne sono un esempio. Kofi, 24 anni, partito dal Ghana, è morto di fame e polmonite all’autostazione di Agadez. Dopo sei ore di convulsioni, invece del medico, i guardiani hanno chiamato i poliziotti. Kofi non aveva i 1000 franchi per pagare l’ospedale. Oliver, invece, arrivato dalla Nigeria, è stato soffocato da una pallottola di banconote. Aveva 800 dollari, i gendarmi nigerini stavano spogliando e massacrando di botte tutti gli stranieri perquisiti prima di lui. E Oliver, disperato, ha ingoiato i soldi per nasconderli. Credo che il viaggio di Gatti sia stata una scelta giusta. Penso valga la pena mettersi in gioco e raccontare ciò che dai media, solitamente, è ignorato o nascosto. È una grande soddisfazione riuscire a mostrare quello che nessuno ha visto, al di là delle informazioni ufficiali perlopiù fittizie. C’è una parte della realtà, infatti, che non viene mediata da nessun ufficio stampa o che magari le fonti negano; è a questo punto che un giornalista deve ingegnarsi, per cercare di raccontare la realtà fino in fondo... Un po' come ha cercato di fare lui.
E oggi, grazie alle inchieste a cui ci ha ormai abituato questo coraggioso e caparbio professionista, molte verità nascoste sono venute a galla e di questo gliene siamo tutti grati e sopratutto gliene sono grati loro: quella banda di disperati che, con gommoni a malapena galleggianti, si riversano disperatamente nelle coste del nostro Belpaese inseguendo i loro sogni, spesso - purtroppo - irrealizzabili.

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