10.11.07

Addio, nonno Enzo!

di Marco Apolloni

“Nella storia dell'umanità non cala mai il sipario. Se solo ci si potesse allontanare dal teatro prima della fine dello spettacolo.” (Enzo Biagi, giornalista e partigiano.)


Lo confesso. Quando al telegiornale mi è giunta notizia della morte di Enzo Biagi, mi sono venuti i lucciconi agli occhi. L'ultima volta mi era capitato al funerale di mio nonno. E, detto fra noi, con la scomparsa di questo pezzo di storia del giornalismo italiano è un po' come se noi suoi nipotini avessimo perso un nonno. E che nonno! Il mio vero nonno mi ripeteva sempre che gente come lui e Biagi avevano ri-fatto l'Italia, ri-costruendola dalle macerie del fascismo e della Seconda guerra mondiale, facendola uscire – grazie alla lotta partigiana – con più dignità da un conflitto che ci ha visto militare tra le file sbagliate della tirannide e dei campi di sterminio.
Con la consapevolezza di quest'immane perdita per noi tutti, è mia intenzione rendere omaggio a questo grande uomo, che per tutta la vita è stato occupato a dar la caccia donchisciottesca ai mulini a vento nella sua personale Mancha – l'Italia –, combattendo l'arroganza e l'ipocrisia degli uomini, specialmente di certi politici, i quali concepiscono solo un giornalismo di parte, filisteo e da veri lacchè. Perché occorre sempre resistere, in tutte le epoche, alle moderne ed evolute forme di fascismo, sopravvissute al Tribunale inappellabile della storia. Per dirlo con le parole di quest'uomo di ben altra generazione: "Una certa Resistenza non è mai finita. C'è sempre da resistere a qualcosa, a certi poteri, a certe promesse, a certi servilismi". La sua unica colpa come giornalista è stata quella di non essersi mai arreso al potere, inchinandosi alla pretesa del potente di turno, non rinunciando mai al diritto-dovere di dire sempre quel che pensava, anche se ciò significava inimicarsi il proprio datore di lavoro.
Di questo ne sapeva qualcosa anche Indro Montanelli – datosi alla “macchia” come nonno Enzo. Proprio Montanelli, seppur non ricevette in vita alcuna scomunica ufficiale e non venne mai infangato da “editti bulgari” di alcun genere, sul finire della sua vita smascherò – in un moto finale d'orgoglio – il regime dittatoriale sotto il quale dovette lavorare per anni. Lui, il più ferreo conservatore che l'Italia abbia mai partorito nel suo grembo, in un moto finale di orgoglio fece la “stecca nel coro” alle acclamazioni, agli osanna e ai salamalecchi provenienti da certa stampa schierata.
Passi l'arroganza – del resto ciascuno è libero di essere vita natural durante coerentemente arrogante – ma l'ipocrisia no. L'ipocrita è sfacciato, è un voltagabbana, totalmente incoerente, che non si vergogna di dire "tutto il contrario di tutto". Peggio ancora se costui dispone di mass-media, dai quali può meglio mischiare le carte in tavola, dice una cosa la mattina e la smentisce poi – come se nulla fosse – la sera, facendo passare per pazzi furiosi chi gli rammenta di aver detto quella tal cosa né più né meno. Questo signore ha avuto il coraggio di dire alla notizia della scomparsa di Biagi, testuali parole: “[...] Rendo omaggio ad uno dei protagonisti del giornalismo italiano cui sono stato per lungo tempo legato da un rapporto di cordialità che nasceva dalla stima [...]”. Strano modo di dimostrare la stima ad una persona: licenziarla così su due piedi, impunemente, senz'alcuna motivazione seria. Strano modo di dimostrare la stima ad una persona: licenziarla così su due piedi, impunemente, senz'alcuna motivazione seria. Ma d'altronde questa è solo una delle innumerevoli bizzarrie di quel rigido apparato verticistico che mette il bavaglio a giornalisti “scomodi”, come Biagi, che osano dire in faccia le loro altrettanto “scomode” verità.
Con Biagi se ne va l'ultimo giornalista “partigiano” – nel vero senso della parola –, amante dei fatti nudi e crudi, quei semplici fatti che hanno dato l'impronta al nostro Paese. Con lui scompare una pagina imprescindibile della nostra storia. Un “grillo parlante” che non ha mai smesso di ricordarci né chi siamo e né tanto meno da dove veniamo. A noi non resta che capire dove siamo diretti, ma visti i preziosi insegnamenti da lui impartiti, dobbiamo riconoscere che siamo sulla buona strada. Del resto come diceva sempre nonno Biagi, il nonno di noi italiani: “La vita è un rischio che non si può fare a meno di correre.”

Una mattina mi son svegliato, / o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! / Una mattina mi son svegliato / ed ho trovato l'invasor.
O partigiano, portami via, / o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! / O partigiano, portami via, / ché mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano, / o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! / E se io muoio da partigiano, / tu mi devi seppellir.
E seppellire lassù in montagna, / o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! / E seppellire lassù in montagna / sotto l'ombra di un bel fior.
E le genti che passeranno / o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! / E le genti che passeranno / Mi diranno «Che bel fior!»
«È questo il fiore del partigiano», / o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao! / «È questo il fiore del partigiano / morto per la libertà!»
(canzone partigiana cantata al funerale del giornalista e partigiano Enzo Biagi, espressamente richiesta da lui medesimo poco prima di morire.)

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