«Che cos'è il conservatorismo? L'ironia erotica dello spirito» (T. Mann, Considerazioni di un impolitico, Adelphi, Milano, 1997, cit. p. 566.)
Il mondo non è per sua stessa vocazione conservatore e vivaddio che sia così. Il mondo progredisce prepotentemente contro tutto e tutti. Sacche di resistenza conservatrici è legittimo che ci siano, ma non sono più che una fragile e sperduta diga che deve far fronte alla piena devastante di un fiume. Il Conservatore è l'Uccello del Malaugurio, il Gufo dei nostri tempi: è colui che si ostina a vedere disseminate catastrofi dappertutto, che è perennemente scettico, che vive per la – anche se si dovrebbe dir meglio nella – memoria degli Antenati, a suo dire nettamente superiori ai moderni, scialacquatori degli antichi fasti. Il Conservatore vive qui e ora in questa dimensione, ma è come se vivesse in una sua altra dimensione parallela. È lontano anni luce dal proprio Presente, rivolto com'è ai canti di sirena proveniente da un Passato per lui – e per chiunque altro – tuttavia irraggiungibile. I suoi discorsi cominciano sempre con: “ai tempi degli antichi greci” oppure “ai tempi degli antichi romani” oppure ancora “ai tempi degli antichi egizi” e così via in un regresso infinito. A mano a mano che il corso della Storia ha raggiunto le epoche moderne, per lui è come se la scintilla degli Antenati si fosse sempre più assopita finanche estinta. La modernità, ai suoi occhi, è mera decadenza, ovvero: un susseguirsi insensato di atrocità, laddove per lui il senso ultimo di ciascun agire umano si è estinto con le grandi civiltà del passato – le cui virtù superavano di gran lunga i vizi. Poco importa per un aristotelico ad esempio se al giorno d'oggi le donne, in quanto a doti teoretiche, possono superare i loro colleghi maschi e che, dunque, lo Stagirita si sia sbagliato ad equiparare le esponenti del gentil sesso a delle creature inferiori, ossia a dei sotto-uomini. Non a caso la concezione cristiana di Eva formatasi da una costola di Adamo è sopravvissuta fino ad oggi e per molti stenta ancora a venire superata. In questo il cristianesimo ha ereditato, facendoli propri, non pochi concetti dottrinari provenienti dall'aristotelismo: dalla concezione della donna a quella di Dio come “causa non causata”, quindi “motore immobile” dell'intero universo.
Di solito i conservatori più incorreggibili sono gli storici, o per meglio dire alcuni cultori di quella storia antiquaria che secondo Nietzsche – nella Seconda Inattuale – ci impedisce di vivere appieno il nostro glorioso e meritevole presente. Un eccesso di storia, con il suo pesante fardello – ci insegna Nietzsche –, fa il male di un uomo, che per agire necessita del suo senso plastico e di una concezione monumentale della storia; poiché essa ci permette sì di trarre preziosi insegnamenti dal passato ma, soprattutto, ci stimola a compiere grandi gesta nel nostro presente. Altra cosa ancora è la storia critica, quella altresì dei filosofi, di gran lunga preferibile a quella antiquaria degli storici ortodossi, ma di minor spessore rispetto a quella monumentale ascrivibile ai grandi condottieri di ogni tempo. Questo perché un'eccessiva dose di riflessione genera un brutale appiattimento dei più significativi eventi susseguitesi durante il corso storico, provocando perciò una notevole incapacità nel giudicare i fatti storici. Già, perché malgrado alcune tentazioni nietzschiane le interpretazioni dei fatti reggono il confronto solo fino a un certo punto. Per un filosofo della storia, formatosi alla scuola dello storicismo hegeliano, non può esserci alcuna differenza tra una guerra e l'altra, in quanto esse sono tutte piattamente il medesimo prodotto del famigerato “banco di macelleria”: qual è la Storia per Hegel. Questa sorta di atteggiamento storicista induce l'intellettuale-filosofo a sedersi in disparte e ad osservare – molto confucianamente – il pigro letto di un fiume, finché non vede trasportare dalla corrente il cadavere del proprio nemico. L'uomo, a nostro avviso, è fatto per agire e non altresì per vedersi agito. L'azione è l'unico motore incessante di un uomo, il perno attorno a cui ruota la sua esistenza. Per questo occorre sì riflettere senza mai, tuttavia, indugiare un istante di troppo: ciò potrebbe esserci fatale. La componente istintuale di un essere umano dev'essere sempre predominante rispetto a quella riflessiva. Alle parole bisogna far seguire i fatti e mettere finalmente da parte una nociva inazione, che ci intorpidisce le membra fino a renderci dei “poltroni”. In definitiva, ciascuno deve estrapolare dalla storia solo ciò che lo stimola a fare meglio dei suoi predecessori.
Ad ogni modo il severo monito nietzscheano di sedersi sulla soglia dell'attimo obliando se stessi va preso con le dovute molle; a dirla tutta ci sembra un tantino eccessivo. Difatti se ci dimenticassimo ad ogni nostro nuovo agire chi fossimo veramente, perderemmo la nostra bussola interiore e subiremmo un'insostenibile crisi della nostra identità, che dev'essere altresì ben consolidata. Perciò, è vero che ogni nostro nuovo agire comporta una specie di ri-cominciamento da parte nostra – che prevede un fare tabula rasa di tutte le esperienze positive e negative fino a quel momento vissute – ma se perdessimo con ciò la cognizione di chi siamo davvero – che è una summa di cosa abbiamo fatto fino a quel momento – allora diverremmo totalmente incapaci di agire. Noi siamo il risultato di tutte le esperienze che ci sono capitate dal giorno della nostra nascita ad oggi. Nessuno di noi può nutrire la seria pretesa di sbarazzarsi della propria identità, pena il proprio esser-ci nel mondo. Di una cosa perlomeno dobbiamo dare atto a Nietzsche: se non ci dimenticassimo, seppur solo momentaneamente, ciò che siamo stati e ciò che abbiamo compiuto in passato, non saremmo mai niente e non compieremmo mai nulla in futuro. Dimenticare, a volte, non solo è indispensabile ma è anche salutare per la nostra anima; così come lo è ricordare.
Per rimanere ancora a Nietzsche, gli uomini secondo lui si dividono in due categorie: storici e sovra-storici (Eraclito e Schopenhauer). I primi non sanno far altro che tessere le lodi delle macerie del passato e sono conservatori fino al midollo; i secondi, invece, camminano sopra le macerie del passato come se nulla fosse e sono progressisti fino alla morte. Ma cosa vuol dire essere conservatore e cosa, invece, essere progressista. Il primo non crede nel migliore dei mondi possibili, altresì il secondo non solo vi crede con tutto se stesso ma pensa pure che sia doveroso creder-vi, al fine di raggiungere una condizione di paradiso in questa terra – essendo lui scettico e perciò duro-a-credere in un paradiso situato in chissà quale remoto Altrove.
Ritornando ai conservatori – i cui aspetti salienti ci siamo qui premurati d'indagare a fondo –, dall'alto della loro presunta onniscienza, essi prevedono che se le storie dei popoli sono state fin qui divise, tali rimarranno nei giorni a venire. E non vi è speranza alcuna che, susseguendosi le generazioni, le cose possano cambiare. Ma se solo questa nenia fosse vera, essi allora dovrebbero spiegarci su quali fondamenta siano state edificate le grandi civiltà del passato che loro stimano tanto, sopra ogni altra cosa. Dovrebbero così spiegarci nei dettagli – se quanto dicono è vero – come abbia fatto Roma a diventare caput mundi, ovvero il centro e il fulcro del mondo fino allora conosciuto, da insignificante villaggio – abitato da una popolazione barbara – qual era. Oppure come abbia fatto una semplice e disadorna idea di nazione, precisamente la nostra nazione, a diventare da semplice schizzo sulla carta a vera e propria compagine nazionale, unita sotto un'unica bandiera e in un solo inno di fede e di speranza – dalle Alpi alla punta più estrema dello Stivale (isole comprese).
I sogni sono destinati a rimanere tali solo fino a quando i tempi non saranno maturi per l'avvento di individui sovra-storici, quali sono stati Cesare e Augusto da una parte e Mazzini, Garibaldi e Cavour dall'altra: ovvero fino a che questi non troveranno qualcuno che creda davvero nella loro concreta realizzazione. Se il mondo fosse stato anche solo un minimo conservatore, non avrebbe mai prodotto simili ingegni e non sarebbe mai arrivato ad essere quello che è ora, con tutto quello che di positivo e negativo ne consegue. Con tutta probabilità se il mondo fosse stato veramente conservatore non saremmo mai fuoriusciti dalla caverna di cui ci parla in uno dei suoi miti Platone e ci saremmo accontentati di fissare increduli la nostra ombra tremolante nella parete. E avremmo avuto mille volte torto, privandoci di quello spettacolo grandioso che è il Sole e di quella gioia immensa che vi è nel rimirarlo incantati. Il Sole – di cui ci ha parlato allegoricamente Platone – altro non è che il sole della conoscenza, che ci ha sottratto ad una vita di schiavitù certa.
Al giorno d'oggi ci vengono riproposti, conditi in tutte salse, nuovi ed altrettanto edificanti sogni, com'erano all'origine Roma caput mundi e l'Italia unita. Su tutti ne spicca uno per imponenza: l'Europa unita! A molti questo sogno potrebbe apparire una blasfemia. Un passato di soprusi inconfessabili, di violenze inaudite e di guerre fratricide non sembrerebbe dar loro torto, anzi... E la Storia considerata a sproposito maestra di vita sembrerebbe dar loro ragione. Del resto essa è sempre stata ben felice di salire sul carro dei vincitori e render conto solo ai fatti, trascurando i ben più importanti ante-fatti. (Abbiamo visto come i fatti prima di diventare tali erano inizialmente solo dei sogni e pure dei più irrealizzabili...) Crediamo che un'Europa unita non solo sia possibile ma pure auspicabile, visti i tempi che corrono. Più precisamente crediamo sia possibile una Confederazione degli stati europei, senza che nessuno dei paesi aderenti accantoni la propria lingua e le proprie usanze – che anzi potrebbero diventare patrimonio comune dei futuri Stati Uniti d'Europa. Proprio la diversità sarà di gran lunga la nostra ricchezza e il nostro punto di forza. Paradossalmente, le nostre comuni radici europee affondano nel terreno melmoso di un passato lacerato e addirittura in esso trovano la loro preziosa linfa vitale. Le divisioni del nostro passato, dunque, a maggior ragione ci uniscono in un connubio tanto più inestricabile. L'insopprimibile necessità di non ripetere gli errori fin qui commessi, ci induce a sperare di poter essere un giorno ancor più uniti sotto un'unica bandiera: europea!
Di solito i conservatori più incorreggibili sono gli storici, o per meglio dire alcuni cultori di quella storia antiquaria che secondo Nietzsche – nella Seconda Inattuale – ci impedisce di vivere appieno il nostro glorioso e meritevole presente. Un eccesso di storia, con il suo pesante fardello – ci insegna Nietzsche –, fa il male di un uomo, che per agire necessita del suo senso plastico e di una concezione monumentale della storia; poiché essa ci permette sì di trarre preziosi insegnamenti dal passato ma, soprattutto, ci stimola a compiere grandi gesta nel nostro presente. Altra cosa ancora è la storia critica, quella altresì dei filosofi, di gran lunga preferibile a quella antiquaria degli storici ortodossi, ma di minor spessore rispetto a quella monumentale ascrivibile ai grandi condottieri di ogni tempo. Questo perché un'eccessiva dose di riflessione genera un brutale appiattimento dei più significativi eventi susseguitesi durante il corso storico, provocando perciò una notevole incapacità nel giudicare i fatti storici. Già, perché malgrado alcune tentazioni nietzschiane le interpretazioni dei fatti reggono il confronto solo fino a un certo punto. Per un filosofo della storia, formatosi alla scuola dello storicismo hegeliano, non può esserci alcuna differenza tra una guerra e l'altra, in quanto esse sono tutte piattamente il medesimo prodotto del famigerato “banco di macelleria”: qual è la Storia per Hegel. Questa sorta di atteggiamento storicista induce l'intellettuale-filosofo a sedersi in disparte e ad osservare – molto confucianamente – il pigro letto di un fiume, finché non vede trasportare dalla corrente il cadavere del proprio nemico. L'uomo, a nostro avviso, è fatto per agire e non altresì per vedersi agito. L'azione è l'unico motore incessante di un uomo, il perno attorno a cui ruota la sua esistenza. Per questo occorre sì riflettere senza mai, tuttavia, indugiare un istante di troppo: ciò potrebbe esserci fatale. La componente istintuale di un essere umano dev'essere sempre predominante rispetto a quella riflessiva. Alle parole bisogna far seguire i fatti e mettere finalmente da parte una nociva inazione, che ci intorpidisce le membra fino a renderci dei “poltroni”. In definitiva, ciascuno deve estrapolare dalla storia solo ciò che lo stimola a fare meglio dei suoi predecessori.
Ad ogni modo il severo monito nietzscheano di sedersi sulla soglia dell'attimo obliando se stessi va preso con le dovute molle; a dirla tutta ci sembra un tantino eccessivo. Difatti se ci dimenticassimo ad ogni nostro nuovo agire chi fossimo veramente, perderemmo la nostra bussola interiore e subiremmo un'insostenibile crisi della nostra identità, che dev'essere altresì ben consolidata. Perciò, è vero che ogni nostro nuovo agire comporta una specie di ri-cominciamento da parte nostra – che prevede un fare tabula rasa di tutte le esperienze positive e negative fino a quel momento vissute – ma se perdessimo con ciò la cognizione di chi siamo davvero – che è una summa di cosa abbiamo fatto fino a quel momento – allora diverremmo totalmente incapaci di agire. Noi siamo il risultato di tutte le esperienze che ci sono capitate dal giorno della nostra nascita ad oggi. Nessuno di noi può nutrire la seria pretesa di sbarazzarsi della propria identità, pena il proprio esser-ci nel mondo. Di una cosa perlomeno dobbiamo dare atto a Nietzsche: se non ci dimenticassimo, seppur solo momentaneamente, ciò che siamo stati e ciò che abbiamo compiuto in passato, non saremmo mai niente e non compieremmo mai nulla in futuro. Dimenticare, a volte, non solo è indispensabile ma è anche salutare per la nostra anima; così come lo è ricordare.
Per rimanere ancora a Nietzsche, gli uomini secondo lui si dividono in due categorie: storici e sovra-storici (Eraclito e Schopenhauer). I primi non sanno far altro che tessere le lodi delle macerie del passato e sono conservatori fino al midollo; i secondi, invece, camminano sopra le macerie del passato come se nulla fosse e sono progressisti fino alla morte. Ma cosa vuol dire essere conservatore e cosa, invece, essere progressista. Il primo non crede nel migliore dei mondi possibili, altresì il secondo non solo vi crede con tutto se stesso ma pensa pure che sia doveroso creder-vi, al fine di raggiungere una condizione di paradiso in questa terra – essendo lui scettico e perciò duro-a-credere in un paradiso situato in chissà quale remoto Altrove.
Ritornando ai conservatori – i cui aspetti salienti ci siamo qui premurati d'indagare a fondo –, dall'alto della loro presunta onniscienza, essi prevedono che se le storie dei popoli sono state fin qui divise, tali rimarranno nei giorni a venire. E non vi è speranza alcuna che, susseguendosi le generazioni, le cose possano cambiare. Ma se solo questa nenia fosse vera, essi allora dovrebbero spiegarci su quali fondamenta siano state edificate le grandi civiltà del passato che loro stimano tanto, sopra ogni altra cosa. Dovrebbero così spiegarci nei dettagli – se quanto dicono è vero – come abbia fatto Roma a diventare caput mundi, ovvero il centro e il fulcro del mondo fino allora conosciuto, da insignificante villaggio – abitato da una popolazione barbara – qual era. Oppure come abbia fatto una semplice e disadorna idea di nazione, precisamente la nostra nazione, a diventare da semplice schizzo sulla carta a vera e propria compagine nazionale, unita sotto un'unica bandiera e in un solo inno di fede e di speranza – dalle Alpi alla punta più estrema dello Stivale (isole comprese).
I sogni sono destinati a rimanere tali solo fino a quando i tempi non saranno maturi per l'avvento di individui sovra-storici, quali sono stati Cesare e Augusto da una parte e Mazzini, Garibaldi e Cavour dall'altra: ovvero fino a che questi non troveranno qualcuno che creda davvero nella loro concreta realizzazione. Se il mondo fosse stato anche solo un minimo conservatore, non avrebbe mai prodotto simili ingegni e non sarebbe mai arrivato ad essere quello che è ora, con tutto quello che di positivo e negativo ne consegue. Con tutta probabilità se il mondo fosse stato veramente conservatore non saremmo mai fuoriusciti dalla caverna di cui ci parla in uno dei suoi miti Platone e ci saremmo accontentati di fissare increduli la nostra ombra tremolante nella parete. E avremmo avuto mille volte torto, privandoci di quello spettacolo grandioso che è il Sole e di quella gioia immensa che vi è nel rimirarlo incantati. Il Sole – di cui ci ha parlato allegoricamente Platone – altro non è che il sole della conoscenza, che ci ha sottratto ad una vita di schiavitù certa.
Al giorno d'oggi ci vengono riproposti, conditi in tutte salse, nuovi ed altrettanto edificanti sogni, com'erano all'origine Roma caput mundi e l'Italia unita. Su tutti ne spicca uno per imponenza: l'Europa unita! A molti questo sogno potrebbe apparire una blasfemia. Un passato di soprusi inconfessabili, di violenze inaudite e di guerre fratricide non sembrerebbe dar loro torto, anzi... E la Storia considerata a sproposito maestra di vita sembrerebbe dar loro ragione. Del resto essa è sempre stata ben felice di salire sul carro dei vincitori e render conto solo ai fatti, trascurando i ben più importanti ante-fatti. (Abbiamo visto come i fatti prima di diventare tali erano inizialmente solo dei sogni e pure dei più irrealizzabili...) Crediamo che un'Europa unita non solo sia possibile ma pure auspicabile, visti i tempi che corrono. Più precisamente crediamo sia possibile una Confederazione degli stati europei, senza che nessuno dei paesi aderenti accantoni la propria lingua e le proprie usanze – che anzi potrebbero diventare patrimonio comune dei futuri Stati Uniti d'Europa. Proprio la diversità sarà di gran lunga la nostra ricchezza e il nostro punto di forza. Paradossalmente, le nostre comuni radici europee affondano nel terreno melmoso di un passato lacerato e addirittura in esso trovano la loro preziosa linfa vitale. Le divisioni del nostro passato, dunque, a maggior ragione ci uniscono in un connubio tanto più inestricabile. L'insopprimibile necessità di non ripetere gli errori fin qui commessi, ci induce a sperare di poter essere un giorno ancor più uniti sotto un'unica bandiera: europea!
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