Già dal titolo, con la & commerciale, si capisce che qualcosa non va in questa pellicola diretta dal regista texano Kevin Reynolds – già Fandango, Robin Hood, Waterworld. Dopo quella di Giulietta e Romeo, di Ginevra e Lancillotto, quella di Tristano e Isotta è una delle storie d'amore che più hanno suggestionato l'immaginario del pubblico. Nonostante qualche grossolanità nella sceneggiatura, comprensibile se si pensa al necessario riadattamento in chiave odierna, la trama del film si snoda in maniera lineare ed abbastanza fedele a quella della summa del mito operata dal filologo francese Joseph Bédier – Il romanzo di Tristano e Isotta.
Tristano – interpretato dal sanguigno James Franco – rimane orfano e viene preso in custodia dall'amorevole zio Lord Marke – interpretato dall'impeccabile Rufus Sewell –, che lo vorrebbe come suo successore al trono. Durante una battaglia nella foresta, dove lui ferisce mortalmente l'eroe irlandese, Tristano rimane anch'egli ferito al suolo. I suoi compagni d'armi credendolo morto lo affidano ai flutti marini, che lo condurranno fino in Irlanda dalla bella Isotta – interpretata dall'eterea Sophia Myles. Qui viene da lei soccorso e rianimato. E tra una carezza e l'altra, i due si innamorano perdutamente. La prima differenza da notare, rispetto al mito vero e proprio, è l'assenza del filtro come fattore scatenante il loro innamoramento. Del resto il pubblico di oggi mal comprenderebbe un artificio narrativo medievale, qual è appunto il filtro, seppur simboleggiante il destino – nel tal caso il destino fatale dei due amanti. Ma il destino, anche se non sotto forma del filtro, si manifesta quando i piani politici del re d'Irlanda e di Lord Marke si frappongono all'appassionata storia d'amore appena nata. Difatti per sancire l'alleanza tra l'Irlanda conquistatrice e le divise baronie inglesi Lord Marke deve sposare la principessa d'Irlanda, Isotta appunto. Dopo le mille peripezie, proprie di un film come questo di cappa e spada, Tristano dimostra tutta la sua fedeltà allo zio e alla patria, sacrificandosi nel finale per difendere la propria roccaforte dall'assalto degli irlandesi. (Non a caso Tristano è il prototipo dell'eroe-restauratore.)
Un'altra differenza tra le versioni ufficiali del mito e la versione cinematografica affiora proprio nel finale, dove Isotta sopravvive mentre il povero sfortunato Tristano perisce come da copione. Questo finale completamente stravolto fa perdere d'efficacia la vicenda dei due amanti tormentanti. Da che mondo è mondo, nelle tragedie amorose entrambi gli innamorati periscono; altrimenti (come nel caso di questo film) si ha la netta impressione di assistere ad una tragedia dimezzata. Insomma, vedendo sopravvivere la dolce Isotta vien voglia di gridare allo scandalo oppure, peggio ancora, al solito polpettone hollywoodiano...
Una particolare menzione merita l'incantevole fotografia del film, che ci fa saltare agli occhi paesaggi selvaggi e incontaminati: verdi prati immacolati, laghi scintillanti, montagne profilarsi all'orizzonte. Dunque più che dalla sceneggiatura, la poesia della pellicola scaturisce dalla fotografia. D'altronde, però, quando le aspettative sono troppo elevate – come in questo caso – sono a maggior ragione comprensibili eventuali fiaschi. E se proprio non si può dire che questa sia una pellicola azzeccata, tutto sommato non si può neppure dire il contrario. In fin dei conti, dopo il capolavoro wagneriano Tristan und Isolde, è impossibile poter pensare di riuscire a toccare di nuovo le sublimi vette del Parnaso.
Merito del film, se non altro, è quello di aver sensibilizzato una buona fetta del grande pubblico – attratto soprattutto dai bicipiti di James Franco o dalla timida bellezza di Sophie Myles – , che altrimenti non sarebbe mai e poi mai venuto a conoscenza delle fonti autentiche del mito – gelosamente custodito da amorevoli filologi. In definitiva, di questi tempi bisogna accontentarsi di quel che ci passa il convento.
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