19.11.07

"Il tredicesimo guerriero" (1999)

di Marco Apolloni

Per una buona volta la versione cinematografica riesce ad essere all'altezza del romanzo che l'ha ispirata. Il tredicesimo guerriero diretto da John Mc Tiernan e prodotto dallo stesso autore del romanzo Mangiatori di morte (Micheal Crichton), si colloca a metà tra il genere fantasy e quello storico. Proprio a causa di alcune incomprensioni tra il regista e il produttore, le riprese del film sono state assai tortuose. Dopo iniziali disaccordi i due sono riusciti a sciogliere ogni indugio. Chi ha letto il romanzo non ha alcun motivo di rimanere deluso dall'eccellente resa filmica; per chi invece non l'avesse ancora letto, si consiglia caldamente la visione della pellicola per incentivarne, poi, la lettura.
L'aspetto più fedele al testo riguarda la figura del raffinato dignitario arabo Ibn Fadlan – interpretato da un calzante Antonio Banderas, non nuovo a simili parti – il quale aggiunge quel tocco suggestivo d'esotismo e d'incontro tra due culture, quella vichinga e quella araba appunto. Addirittura nel film permane una certa nota filo-araba – già emersa nel romanzo – che potrebbe non poco infastidire alcuni odierni fautori dello scontro di civiltà e che, con scarsa conoscenza dei fatti storici, rivendicano tutt'oggi una presunta superiorità pratico-ideologica dell'Occidente civilizzato sul mondo arabo. Nel film, come del resto anche nel romanzo, questa “superiorità” è senza dubbio rovesciata a scapito dell'Occidente, qui rappresentato da rozzi e sudici guerrieri vichinghi – che sfigurano decisamente con il colto Ibn Fadlan: vestito sempre di tutto punto, con abiti sgargianti e in testa il suo inseparabile turbante. Lui, non a caso, è originario di Baghdad considerata all'epoca una sorta di caput mundi, contraddistinta da una cultura e da una civiltà avanzata per quei tempi bui. All'estremo nord dell'Europa, invece, le popolazioni vichinghe vivono perlopiù in rudimentali catapecchie prive di luce – le finestre non erano ancora state inventate –, ignorando le più elementari norme igieniche e che, alla prima occasione buona, non perdevano tempo a scannarsi gli uni con gli altri per futili motivi.
Oltre ad un velato panarabismo di fondo, il film ha tutti gli ingredienti per potere piacere ad un vasto pubblico. In proposito, nel riadattamento cinematografico sono stati inseriti elementi aggiuntivi su tutti: una scappatina amorosa tra un'avvenente indigena e Ibn Fadlan – peraltro messo al bando dalla sua città proprio per non aver resistito alla tentazione di “calarsi i calzoni” con la donna sbagliata. Differenza rilevante tra il romanzo e il film è che, in quest'ultimo, la profezia di una “costosa” vittoria a Buliwyf
1 e ai suoi viene fatta da una vecchia strega, che vive in recessi cavernosi; mentre nel romanzo sono i nani – detti «tengol» – a farla.
Gli amanti del genere epic-movie non rimarranno delusi da questo valido film, assistendo a scontri a dir poco cruenti – ci sono scene in cui appaiono frattaglie umane stile banco di macelleria, la cui visione è sconsigliata ad un pubblico facilmente impressionabile.
L'ambientazione notturna, boschiva e nebbiosa rende bene l'idea e consegna all'immaginario collettivo un Medioevo insidioso, dove la vita umana è contraddistinta da una maggiore precarietà e la morte è un'entità onnipresente con la quale si deve imparare a convivere. La concezione del Walhalla è l'unico strumento consolatorio di cui gli impavidi guerrieri vichinghi dispongono. Il Walhalla infatti è il loro paradiso guerresco, ove tutti i più intrepidi guerrieri andranno da morti e lì combatteranno di giorno e banchetteranno di notte, in attesa del Ragnarök: giorno in cui essi combatteranno nelle milizie di Odino contro le forze demoniache al soldo di Loki. Memorabile la scena della battaglia finale, in cui Buliwyf e gli altri si raccomandano ai loro antenati, promettendo di raggiungerli presto, non prima però di aver compiuto una vera e propria carneficina sul campo di battaglia. Il loro coraggio sovrumano si spiega solo tenendo conto della loro etica guerriera, che imponeva loro di combattere fino all'ultimo solo per meritarsi un buon epitaffio...

La suspense è ben miscelata e regge per tutta la durata della pellicola. "Cameo" di Omar Sharif nei panni dell'arabo Melchisedek, saggio consigliere di Ibn Fadlan, il quale lo inizia agli usi e costumi dei vichinghi.


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1
Infatti il valoroso capo-normanno pagherà infatti con la sua stessa vita la vittoria finale sulle abominevoli creature della nebbia, i temibili Wendol.

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