Recentemente, Paolo Rossi è tornato all’attacco con un nuovo spettacolo, che recupera i migliori brani – scritti con Gino e Michele, David Riondino e Giampiero Solari – di Chiamatemi Kowalski ma che allo stesso tempo propone nuovi testi – frutto della collaborazione con Carolina De La Calle Casanova, Emanuele Dell’Aquila, Carlo Giuseppe Gabardini e Riccardo Pifferi. Il tutto arricchito con fatti di vita vera, in un percorso quasi autobiografico dell’attore. Dunque, a distanza di 18 anni dal successo dello spettacolo Chiamatemi Kowalski, che lo fece conoscere al grande pubblico del teatro italiano, Paolo Rossi presenta, al Teatro Binario 7 di Monza, Chiamatemi Kowalski. Il ritorno.
«Ho voluto riproporre il personaggio di Kowalski nel tentativo di ricostruire questo spettacolo, di cui sono andate perdute le tracce, i video e la memoria – spiega l’attore –. Di fatto, ho recuperato il mio vecchio protagonista, costruendo intorno a lui una storia completamente nuova, anche se non nego che sono presenti anche alcuni brandelli del primo spettacolo, ma che compaiono solo al termine della serata».
Chi è il "Signor Kowalski" e quando è nato questo personaggio?
Altri non è che il mio alter-ego, per cui mi risulta difficile stabilire con esattezza il momento in cui è nato. Diciamo che quando c’è lui non ci sono io, e viceversa. Dovresti riuscire a chiamarmi quando c’è lui e parlargli direttamente.
A quale genere teatrale appartengono le Sue pièce?
Sicuramente a quello comico.
Si considera più un attore o un satirico?
Satirico assolutamente no, anche perché ritengo che la satira sia solo una delle tante tecniche teatrali che si possono utilizzare. Piuttosto mi definirei un racconta-storie.
Ho semplicemente detto che il termine “assurdo” deriva dall’esclamazione che gli spettatori esprimono al termine di uno spettacolo come “Waiting for Godot”. In pratica, durante la pièce tutti i personaggi sul palco aspettano questo Godot insieme agli spettatori, i quali, a spettacolo concluso, ancora non capiscono chi esso sia ed esclamano: "Ma tutto ciò è assurdo!". Da qui deriva l'espressione “teatro dell’assurdo”.
Scherzi a parte, come definirebbe questo genere teatrale?
Naturalmente ciò che ho detto da Fazio altro non è che uno scherzo, una parodia. Io apprezzo il genere, anche perché l’ho praticato recitando proprio in “Waiting for Godot” di Samuel Beckett. Tuttavia lo ritengo un genere un po’ datato. Nel teatro bisogna sempre tener conto del rapporto tra società attuale e testo, e credo che il teatro dell’assurdo non riesca a soddisfare le esigenze dalla realtà odierna. Potrei però ricredermi...
È mai stato censurato nel corso della Sua carriera lavorativa?
Sono stato censurato periodicamente.
Quali forme di censura esistono secondo Lei?
Ce ne sono di diversi tipi. La più grave, però, è quella che si è concretizzata con i tagli al fondo unico dello spettacolo, che hanno penalizzato tutti gli attori ma in particolare le compagnie minori. Io ho risentito di questa decisione in maniera indiretta, ma fortunatamente ho una grande fetta di pubblico che mi segue assiduamente e sulla quale posso fare affidamento. I più giovani invece ne hanno risentito tantissimo: addirittura, credo che tutto ciò penalizzerà le prossime due o tre generazioni di teatranti.
Personaggi come Guzzanti, Luttazzi o Santoro sono stati prima censurati e poi scacciati dalla televisione… Pensa che la gente senta la loro mancanza e crede che qualcosa cambierà con il nuovo Governo?
Francamente non lo so. In realtà, a causa dell'enorme distacco della classe politica da ciò che avviene nel nostro Paese, stiamo vivendo una situazione paradossale in cui, a seguito di decisioni come la par condicio, noi cittadini siamo costretti a proteggere i politici e non viceversa. Dunque, essendo questa una situazione paradossale non esistono certezze. Di conseguenza vengono a mancare diritti e libertà (come quella d’espressione), irrimediabilmente pregiudicate.