di Marco Apolloni

Teorico di quest'innovativo sistema educativo fu il ginevrino Jean-Jacques Rousseau, anche se all'atto pratico come padre non fu un altrettanto fulgido modello – non dimentichiamo infatti che lui abbandonò all'Enfants de France i suoi cinque figli, ma si sa: i buoni predicatori spesso sono i primi a razzolare male... Comunque quel che a noi importa non è tanto il Rousseau-padre, quanto il Rousseau-pedagogo. Nell'esplicare la sua concezione dell'educazione negativa, Rousseau nell'Emilio si serve di questo efficace esempio: racconta che il fanciullo protagonista di questo “romanzo di formazione”, rompe il vetro della finestra della sua camera, scagliandovi contro un masso; per questo l'educatore lo condanna a scontare sulla propria pelle tale monelleria, facendogli trascorrere tutta la notte in preda ai gelidi spifferi provenienti dalla finestra rotta. Svegliandosi la mattina – ammesso questi sia riuscito a chiudere occhio – avrà imparato qualcosa dall'esperienza negativa dell'errore commesso.
Tutto ciò per dire che: bisogna abituare il fanciullo all'odierna “giungla televisiva” – fitta di programmi davvero poco edificanti. Occorre che questi venga preparato dalle due autorità che dovrebbero tutelarne l'educazione. Ci riferiamo ai due sacri e inviolabili pilastri: in primis la famiglia e, in seconda battuta, la scuola. Entrambe queste autorità dovrebbero prendere per mano i fanciulli e vedere insieme a loro certi prodotti della cosiddetta “tv-spazzatura”, fornendo ad essi gli strumenti necessari di comprensione, senza imporre né tanto meno forzare alcuna presa di coscienza. Basta solo limitare i condizionamenti negativi visti come fattori esterni interferenti, per far sì che un giovane fanciullo cresca diventando un adulto maturo e pienamente coscienzioso. Nel dir ciò come dimenticare le terrificanti scene del capolavoro kubrickiano Arancia meccanica – tratto dall'omonimo romanzo di Anthony Burgess –, in cui al giovane protagonista Alex viene fatto il lavaggio del cervello da scienziati svitati, i quali decidono di curare il suo “teppismo cronico” con un originale metodo, ovvero facendogli vedere fino alla nausea una sequela di immagini sanguinolente e orripilanti, di barbari stupri, efferati omicidi e quant'altro possa venire partorito da una mente violenta. Proprio la violenza di queste immagini curerà la mente bacata del “povero” Alex, che addirittura si tramuterà da “lupo cattivo” in “agnellino indifeso”. Dicasi: il paradosso delle immagini, cioè esse possono curare e provocare l'effetto contrario.
Per riportare questo discorso ai giorni nostri, sarebbe una grande conquista pedagogica riuscire a portare i teen-ager di oggi a dire: “Accidenti quanto sono stupidi e menzogneri i reality show!”. Già perché la menzogna permea visceralmente grandi fette del mondo televisivo. E per di più programmi, appunto, come i reality vengono addirittura mandati in onda in prima serata, secondando pertanto la logica perversa degli ascolti. Mentre magari programmi di ben diversa levatura morale e culturalmente più sostanziosi vengono relegati in seconda o peggio ancora in terza serata. Comunque siamo arrivati a un punto tale che dir male dei reality è un po' diventato come sparare alla Croce Rossa! Essi sono nient'altro che la manifestazione più grottesca del kitsch – letteralmente: il cattivo gusto che, però, piace – imperante in televisione e seppur non andrebbero vietati – com'è stato detto occorre abituare infatti il pubblico, anche dei minori, a poter digerire qualsiasi immagine, per poterne così essere vaccinati a vita –, se non altro andrebbero ricollocati in una fascia oraria meno agevolante la visione di un pubblico pre-puberale. Di solito al cambio di governi succedono spesso delle specie di “rivoluzioni dei palinsesti televisivi”, ora con il centro-sinistra al governo aspettiamo e vediamo se ciò avverrà. Al momento attuale, questo provvidenziale cambio di rotta si fa ancora attendere e i soliti noti “insetti” continuano a infestare il vespaio televisivo del nostro Paese...
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