di Marco Apolloni
La geopolitica spesso è stata tacciata di essere una pseudo-scienza, ma in realtà essa tenta soltanto di spiegare i fenomeni sociali con la potente lente d'ingrandimento della geografia; per far sì che abbia una maggiore valenza bisogna affiancarle la teoria delle relazioni internazionali, che appunto interpreta le relazioni che intercorrono tra gli stati, gli imperi e i cittadini. La geopolitica mono-causale, che spiega tutto in funzione di una sola causa – quale la geografia appunto – è destinata però a venire continuamente smentita da una realtà ben più complessa di quanto s'immagini. Dunque occorre distinguere una geopolitica in senso stretto, fin troppo legata ad un determinismo di tipo geografico, da una geopolitica in senso lato, che altresì cerca di combinare una serie di cause disparate per ottenere così una teoria più completa.
Nel corso delle sue Lezioni di Glasgow, un pensatore del calibro di Adam Smith avanzò l'ipotesi che la prosperità e la libertà dell'Inghilterra fossero in gran parte dovute alla sua connaturata natura geografica d'isola separata dal continente europeo. Fu appunto la sicurezza dei suoi confini via mare a far sì che l'Inghilterra divenisse la potenza mondiale egemone. Dopodiché Madison, influente uomo politico federalista americano, riprese l'ipotesi di Smith estendendola però al suo paese, gli Stati Uniti, i quali essendo separati dal continente euro-asiatico da due barriere naturali quali i due Oceani, il Pacifico e l'Atlantico, potenzialmente avevano tutte le possibilità e le condizioni auspicabili per poter affermare la loro libertà interna. Da ciò ne conseguì il seguente assunto teorico: la libertà di uno stato è inversamente proporzionale alla minaccia dei suoi confini! Madison, il quale era solito firmare i suoi articoli con lo pseudonimo di Publius – dietro a cui si celavano anche Hamilton e Jay – era coautore – insieme agli altri due summenzionati – della rivista The federalist in cui veniva auspicata la creazione di una nazione federalista, che avrebbe scongiurato la creazione di più nazioni separate all'interno del territorio americano. Queste ultime avrebbero reso l'America un campo di battaglia, così come lo era stata l'Europa sin dalla sua fondazione – martoriata da conflitti plurisecolari fra le varie potenze europee, in perenne lotta per la supremazia.
Il capolavoro di Tucidide, La guerra del Peloponneso, indagò un nesso particolarmente caro alla geopolitica, ovvero l'opposizione terra-mare sussistente appunto tra una potenza di terra, Sparta, e una potenza di mare, Atene. In ambito geopolitico, oltre ad esistere un'opposizione terra-mare, ve ne sono pure altre due: una, tra popoli nomadi e sedentari; l'altra, tra città e campagna. Nel primo caso, i nomadi nel corso della loro storia percorsero sconfinati spazi, facendo terra bruciata dovunque si fermavano a fare razzie. Essi stavano fermi in un territorio finché non si fossero stancati oppure non avessero consumato tutte le risorse ivi presenti. Dopodiché ripartivano a caccia di nuove conquiste e di nuovi territori. Mentre i sedentari per tutto il corso della loro storia potevano venire razziati e torturati e assassinati dai nomadi, pur tuttavia nessuno riuscì mai a smuoverli dai loro appezzamenti di terra. I governi cambiavano, i conquistatori si succedevano, ma bastava gettare uno sguardo ai campi coltivati per vedere come questi venivano incessantemente – e in ogni epoca – tenuti con la stessa amorevole cura dai contadini. Nel secondo caso, relativo all'opposizione tra città e campagna, due diverse visioni dello spazio – quali quelle di un abitante della città e quelle di un abitante della campagna – provocavano e provocano tuttora delle conseguenti e altrettanto diverse visioni del mondo. La storia ci ha insegnato, fin dai suoi albori, l'importanza rivestita dal Palazzo per il mantenimento e il consolidamento del Potere centrale. Era qui, infatti, che tutte le ricchezze si accentravano. Questa ricchezza delle città era però parassitaria, poiché non si faceva scrupoli a sfruttare fino all'ultima goccia l'immane riserva costituita dalle campagne. A cavallo del Mille, poi, con l'affermarsi dei poteri comunali si realizzò definitivamente la supremazia delle città a scapito delle campagne. Nella Firenze medicea tutta la ricchezza delle campagne veniva organizzata nei mercati. La stessa Atene del IV-V secolo a.c. arrivò al suo notevole grado di sviluppo come potenza, grazie al potere esercitato mediante il commercio. Tale aspetto ne conferma tutt'oggi la sua incredibile modernità! Prima dell'avvento al potere dei comuni, per uno stato o impero era di vitale importanza avere il maggior numero possibile di territori da sfruttare. Mentre con le rivoluzioni comunali ciascun territorio divenne fiore all'occhiello per il singolo comune, che ne poteva tranquillamente godere i frutti! Rimase esclusa da queste rivoluzioni comunali l'Italia meridionale, a differenza dell'Italia centro-settentrionale interamente scossa da questo fenomeno irrefrenabile, insieme al resto del Nord-Europa.
Ne L'introduzione alla geopolitica lo studioso francese Philippe Moreau Defarges cerca di dare un'esauriente spiegazione della geopolitica in senso stretto, cioè tenendo conto principalmente dell'indiscutibile fattore geografico. Qui lui ci spiega come nei calcoli di un geopolitico si tenda ad analizzare lo spazio in tre termini differenti: il primo, costrizioni; il secondo, ostacoli; il terzo, vincoli o opportunità. Il geopolitico guarda il mondo infatti come ad un'arena in cui si consuma la lotta per il potere. Inoltre, egli pensa allo spazio come alla posta in gioco più contesa nei conflitti! Non a caso in passato più un impero aveva a disposizione delle terre e più le poteva spremere come dei limoni. Ciò è vero anche oggi, ma solo in parte. Si pensi, ad esempio, allo stato-continente dell'Australia, sì sterminato ma perlopiù spopolato e abitato solo lungo la fascia costiera: la sua complessa realtà geografica tuttora costituisce un insormontabile ostacolo per far sì che esso venga colonizzato – un po' come accadde in passato con l'America. Un'altra componente che nondimeno dovrebbe determinare la potenza di uno stato è indubbiamente la popolazione. Ma anche qui non è sempre detto che per uno stato una popolazione in continua crescita ne determini il grado di potenza. Si pensi al caso dell'Egitto. Questo stato presenta una popolazione in crescita esponenziale, tuttavia invece che essere un fattore catalizzatore è semmai l'opposto, ossia un elemento frenante. Infatti le numerose carestie dovute alle secche del Nilo, colpiscono con una buona dose di sfortuna la popolazione locale, e rallentano pertanto la potenziale rincorsa di questo stato ad un “posto al sole” nel lotto delle potenze mondiali che contano. Poi ancora la componente religiosa, che rende da sempre il Medio-Oriente un teatro bollente, fa di questa fetta di territorio un unicum su scala planetaria. Dunque tutti questi casi c'insegnano che la geopolitica in senso stretto scade talvolta in un iper-determinismo geografico che non può efficacemente spiegare tutto; ovvero esso, come tutte le spiegazioni mono-causali, è destinato ad avere una visuale fin troppo ristretta e parziale di un determinato fenomeno – altresì molto più complesso...
La geopolitica in senso stretto, diventa in auge attorno alla prima metà del XX secolo. Tuttavia essa scompare nel periodo che intercorre tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine della guerra fredda dopo il crollo dell'Urss (nel 1991, mentre la caduta del muro era già avvenuta nel '89). Questo per due ragioni: la prima ragione, perché la geopolitica veniva ritenuta la disciplina nazista per antonomasia al servizio della follia imperialista del Terzo Reich; la seconda ragione, invece, perché durante il periodo della guerra fredda si scontrarono due diverse visioni universalistiche del mondo fin troppo inconciliabili fra di loro, quale quella capitalista-americana e quella comunista-sovietica – e con la geopolitica di mezzo non si sarebbe fatto che gettare benzina sul fuoco in un conflitto sì sotterraneo, ma dal potenziale spaventevole per tutto il genere umano! A tal proposito, infatti, basti pensare agli scenari inimmaginabili che si venirono a creare con il concretizzarsi di una sconvolgente rivoluzione tecnologica, che prefigurava nuovi potenziali conflitti con missili nucleari capaci di bucare lo spazio in brevissimo tempo e annientare pertanto bersagli all'altro capo del mondo. Del resto è ben noto il monito lanciato dallo scienziato-inventore della bomba atomica Albert Einstein che senza mezzi termini affermò, paventando l'incombere della minaccia nucleare: “Non so con che armi sarà combattuta la terza guerra mondiale, se mai ci sarà. Ma posso dirvi con cosa sarà combattuta la quarta: con clave di pietra”.
La parola “geopolitica” assunse il significato – che noi tutti conosciamo – alla fine del XIX secolo grazie ad un professore svedese di storia e di scienze politiche Rudolf Kjellén. Ad ogni modo, il primo pensatore geopolitico degno di questo nome fu il geografo-storico inglese Mackinder (1861-1947). Egli – a differenza dell'importanza data all'egemonia nei mari dall'ammiraglio americano Mahan (1840-1914) secondo cui era a ciò imputabile il motivo della supremazia inglese – affermò che chi fosse riuscito ad avere il controllo del Continente euro-asiatico avrebbe ottenuto la futura egemonia mondiale. Precisamente lui riconobbe un'area specifica, detta “area Pivot”, nel possesso della quale si sarebbero giocate le chance decisive di supremazia per qualunque nuova potenza avesse voluto cimentarvisi. Essendo quest'area il teatro d'azione più instabile in tutto il globo, lui era dell'avviso che chi si fosse assicurato tale perno cruciale avrebbe poi ottenuto una potenza incalcolabile. Memorabile fu il giorno in cui Mackinder espose le sue idee. Era il 25 gennaio 1904. Lo fece nientemeno che al cospetto della Royal Geographic Society, tenendo una conferenza dal titolo The Geographical Pivot of History – Il perno geografico della storia. Questa sua bizzarra teoria – com'era lecito attendersi – suscitò un certo scalpore in quanto andava certamente controtendenza, visto che i destini della potenza nel mondo fino a quel momento si erano tutti giocati nei mari, invece che nella terraferma, come lui di lì in avanti preconizzò... Mackinder quindi spartì il mondo in due macro-isole: l'Isola mondiale o World Island (comprendente Africa, Asia ed Europa) e le Isole periferiche o Outing Islands (comprendenti le Americhe e l'Australia), entrambe separate da una sconfinata massa d'acqua (l'Oceano mondiale o World Ocean).
Inoltre, lo studioso inglese individua due punti nevralgici definiti heartlands: un heartland del Nord, comprendente l'Eurasia fino ai deserti dell'Asia centrale, che ha per confini il Mar Baltico e il Mar Nero; e un heartland del Sud invece, che si estende a Sud del Sahara e sancisce la linea di demarcazione tra il mondo bianco e quello nero. La cosiddetta “area Pivot” si concentra altresì dalla catena dell'Himalaya fino all'estrema porzione orientale del Continente asiatico. Essa è sempre stata un'area pressoché proibitiva da colonizzare. Basti pensare che tutte le più importanti invasioni, succedutesi nell'arco della storia, non sono riuscite a darle una consistente unità politica. Da qui deriva l'assunto di Mackinder: chi controllerà quest'area, dominerà l'intero globo! Contemporaneo di Mackinder è lo studioso olandese – poi divenuto americano d'adozione – Spykman (1893-1943). Se Mackinder si focalizzò sul concetto di heartland, Spykman diversamente si soffermò sul concetto di rimland, concernente quelle terre della fascia esterna del globo. Questo perché il suo contributo sortì proprio nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale. Dunque si trattava di prefigurare un ruolo futuro per la potenza emergente statunitense, appunto situata nella fascia esterna del globo.
Finita la veloce carrellata dei pensatori delle potenze marittime, passiamo ora ad un'altra carrellata riguardante invece la potenza continentale: la Germania. Il primo geopolitico tedesco in ordine cronologico fu Ratzel (1844-1904), che operò in età guglielmina. Il contesto storico in cui visse il pensatore tedesco era questo: la Germania – da lui definita la “nazione in ritardo” nel senso che venne unificata tardi rispetto alle altre potenze europee (la Germania infatti si unificò solo nel 1871) – si stava lentamente affermando sul palcoscenico mondiale. Era appena uscita gloriosa vincitrice dalla guerra franco-prussiana (1870-71) e subito dopo subì un incremento a dir poco esponenziale della sua popolazione (basti pensare che nel 1871 i tedeschi erano 41 milioni, mentre già nel 1914 divennero 68 milioni). Dunque la prima necessità per il popolo tedesco fu quella di assicurarsi nuove colonie, giacché da che mondo è mondo una potenza per poter dirsi tale doveva necessariamente essere una potenza coloniale. Ratzel fu innanzitutto un prodotto della sua epoca. È di questo periodo, infatti, la diffusione del “darwinismo sociale”, ossia quella particolare rielaborazione della teoria darwiniana sulla selezione naturale, espressa dallo studioso inglese Herbert Spencer, che la estese appunto anche all'ambiente sociale – quindi degli uomini e degli stati –, lo stesso Ratzel ne risentì indirettamente gli influssi. Essendo la Germania chiusa al centro dell'Europa essa non aveva altra alternativa se non quella di lottare per assicurarsi la propria sopravvivenza, magari estendendo oppure consolidando i propri confini nazionali. Come vedremo, da qui a teorizzare il cosiddetto “spazio vitale” – per dirlo con Hitler – il passo fu piuttosto breve. Karl Haushofer (1869-1946) fu il continuatore della tradizione geopolitica ratzeliana. Se Ratzel gettò le radici del pangermanesimo, Haushofer si preoccupò di rivestire di folti rami la solida corteccia ideologica dell'albero ideologico ratzeliano. L'incremento demografico della Germania lo spinse finanche a giustificare annessioni territoriali, come quelle con l'Austria e la regione della Cecoslovacchia dei Sudeti, così come a fondare le ragioni per la Blitzkrieg per annettersi la Polonia. Questi per Haushofer furono dei fenomeni del tutto prevedibili e fisiologici: il popolo tedesco, infatti, reclamava il proprio posto nel mondo! Il ragionamento geopolitico di Haushofer, però, non poté fare i conti con la follia di un uomo, Hitler, che non si sarebbe fermato se non davanti alla totale distruzione della feccia marxista-leninista e non prima di aver dato una lezione guerresca alla plutocrazia giudeizzata degli Stati Uniti...
Al termine del secondo conflitto mondiale la profezia di Spykman non si avverò. Infatti nonostante l'Unione Sovietica, potenza vittoriosa, riuscì a controllare politicamente la cosiddetta “area Pivot”, pur tuttavia non si assicurò l'egemonia mondiale, che anzi dopo il suo crollo nel '91 si concentrò tutta nelle mani di un'unica superpotenza: gli Stati Uniti d'America! Gli Stati Uniti inaugurarono così una nuova geopolitica rispondente al sacro comandamento: divide et impera!
4 commenti:
Per un grande appassionato di geopolitica, come me, è molto interessante leggere un intervento così ricco di conoscenza ed interesse verso la materia.
Un saluto
"Geopoliticando"
Ti ringrazio! Complimenti per il tuo sito (l'ho inserito tra i preferiti). Ricambio i saluti "geopolitici!...
Marco
Grazie Marco, naturalmente anche tu sei tra i miei preferiti.
Un saluto e spero di sentirti presto anche nel mio blog, se riterrai.
Un caro saluto
Lorenzo
"Geopoliticando"
Non avevo notato che sei di Castelfidardo, io sono di Ancona, ehehe, ciao
DocGull
L.
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