Lo studioso tedesco Max Weber fu il primo a parlare di un'etica della responsabilità e lo fece nel suo noto saggio intitolato La politica come professione (1919) in cui egli affermò che non ci poteva essere un'etica che non calcolava gli effetti e agiva pertanto di conseguenza. Diversamente lo studioso americano Hans Morgenthau invitò più ad una sorta di prudenza smisurata, poiché secondo lui gli effetti restavano difficilmente immaginabili tanto meno calcolabili. Il numero dei fattori d'imprevedibilità era talmente alto che non si potevano prevedere a medio-lungo termine gli effetti che si potevano verificare. Ossia, in definitiva, le previsioni politiche risultano un po' come le previsioni meteo: possono avere un raggio di previsione solo a breve termine – ammesso, poi, che ce l'abbiano. Dunque la geopolitica – disciplina che intende fare delle lucide e ponderate analisi politiche – non può avere anch'essa alcun carattere predittivo! Bensì essa si avvale di analisi puntuali, precise e determinate. Ragionare in termini geopolitici significa quindi escludere ogni forma d'ideologia ed, inoltre, escludere anche le spiegazioni mono-causali – come ad esempio: è vero che l'energia è una delle più importanti poste in gioco nel dibattito geopolitico odierno, pur tuttavia non è la sola, come sono convinti invece i mono-causalisti!
Secondo Morgenthau, nel suo saggio-manifesto del realismo politico intitolato Politica tra le nazioni, si possono rintracciare due diverse scuole di pensiero politico, che si sono scontrate e combattute fra di loro nel corso della storia. L'una profondamente convinta dell'ottimismo antropologico della natura umana e che esistono giusto sporadici gruppi di individui malvagi, i quali ostacolano la proliferazione della pace nel mondo. Questa corrente viene detta “idealista”. Essa ritiene, tra le altre cose, che vi siano leggi astratte universalmente valide, che favoriscono il perseguimento dei suoi nobili scopi di armonia cosmica. L'altra scuola invece è più scettica sulla natura umana ed è convinta appunto che il mondo sia sostanzialmente il prodotto dell'irrazionalità umana. Quest'ultima si prefigge come scopo di ripristinare nell'uomo, se non altro, un briciolo di assennatezza. Essa viene detta “realista”. Il suo scopo – non meno nobile di quello dell'altra scuola – intende perseguire il male minore, preferendolo di gran lunga al bene assoluto, che sa pressoché irrealizzabile. Qui di seguito elenchiamo, spiegandoli singolarmente, i sei principi-chiave del realismo politico...
1) La scuola realistica ritiene essenziale distinguere tra verità e opinione in materia politica, poiché ha la convinzione che, conoscendo la natura umana per quel che è realmente, si possano pertanto scovare delle leggi oggettive che la regolino. Conscio del fatto che la natura umana è pressoché rimasta immutata nel corso dei millenni, allora il realista è convinto che una teoria già in uso presso gli antichi non sia da considerarsi necessariamente superata. Ossia il realista non ha la benché minima presunzione di ritenere la modernità migliore del passato, anzi semmai è più persuaso del contrario. Difatti una teoria ancora oggi valida ed efficace per un realista è quella del balance of power, ovvero dell'equilibrio di potenza! Inoltre il realista è a conoscenza di un nesso causale esistente tra le scelte politiche di uno statista e le sue prevedibili conseguenze. Da tale schema il realista ne deduce quelli che potrebbero essere gli obiettivi intenzionalmente perseguiti dal suddetto statista – ammesso che costui sia una persona razionale, dunque capace di scegliere razionalmente. È proprio da questo tentativo di comprensione razionale, che si fondano le pretese del realista di ottenere una teoria generale, sia della politica estera che interna, il più plausibile possibile...
2) Chiodo fisso del realismo politico “è il concetto d'interesse definito in termini di potere”. Sia in politica estera che in politica interna ciascuna scelta dello statista sarebbe incomprensibile e, sopratutto, invisibile se non la si osservasse con la lente d'ingrandimento della potenza da questi volontariamente perseguita. Spesso e volentieri nelle scelte di un uomo politico ci si lascia ingannare da due effimere ragioni: dalle motivazioni e dalle preferenze ideologiche; ragioni queste, per un realista, del tutto secondarie e inefficaci se si vuol perseguire una buona politica, sia entro che fuori dei propri confini nazionali. Se pensiamo alle buone intenzioni insite in molti decisori politici nel corso della storia, non possiamo non tenere conto degli incalcolabili disastri da ciò derivati. Si pensi allo statista inglese Neville Chamberlain e alla sua lodevole politica di appeasement, nonostante le buone intenzioni dell'uomo la sua politica fu all'origine della catastrofe umana qual è stata la seconda guerra mondiale. Diversamente si pensi ad una figura molto più ambiziosa e – in un certo senso – anche più cinica, come l'altro statista inglese Winston Churchill. I suoi calcoli meramente razionali portarono a delle scelte politiche coraggiose e di maggiore levatura morale in politica estera, che fecero uscire vittoriosa l'Inghilterra dalla battaglia all'ultimo sangue contro il Terzo Reich nazista. D'altronde Marx ci vide giusto quando disse: “La strada per l'inferno è lastricata di buoni intenzioni”... Oppure si pensi ad un uomo moralmente ineccepibile, la cui virtuosità è tristemente passata alla storia, quale Robespierre. Le sue stesse virtù lo portarono a tagliar teste a tutti coloro che non gli erano pari, finanche a perderci la testa lui stesso – da ciò si è originata la seguente distinzione: le democrazie non tagliano le teste, semmai le contano... Questo per dire, in sostanza, come l'etica non sempre riesce a prevenire una cattiva politica, anzi talvolta n'è la causa scatenante. Perciò ecco qua che occorre rivendicare l'autonomia decisionale della politica e finalmente staccarla dall'etica, la cui sfera d'azione non può né deve più ingerire deliberatamente. Facendo con ciò tesoro del prezioso insegnamento del Presidente americano Abramo Lincoln, il quale per primo distinse il “dovere ufficiale” dai “desideri personali”, cioè il desiderabile dal possibile, ponendo maggiormente l'accento su quest'ultimo, per poi magari impegnarsi a fondo nell'inseguire la chimera del desiderio visceralmente connaturata a qualunque uomo. Per quel che riguarda invece le preferenze ideologiche bisogna assolutamente rifuggire dall'approccio demonologico. Evitando pertanto l'approccio banalmente semplicistico e perlopiù fallimentare avuto dall'America nei confronti del suo nemico storico, l'Unione Sovietica. Invece di fermarsi a comprendere a fondo le leve, intrinsecamente connaturate e capaci di dare una giustificazione alle decisioni del regime sovietico, i decisori americani con il maccartismo ritornarono ai tempi del Medio Evo e della caccia alle streghe – dove riduttivamente si credeva possibile estirpare alla radice il problema smascherando quale fosse la “fonte del male”. Peccato che così non è mai stato, prova ne fu il fatto che se non fosse stato per l'auto-implosione della superpotenza sovietica – l'unico impero ad essere collassato per cause naturali – ancora oggi staremo qui a vivere in prima persona la guerra fredda... Infine Morgenthau sostiene che la differenza che intercorre tra la politica internazionale ed una teoria razionale da essa derivata è la stessa che c'è tra una fotografia e un dipinto. Laddove la prima ritrae un qualcosa così come lo si può vedere ad occhio nudo, mentre il secondo cerca invece di scovare l'essenza che si cela in una determinata cosa. Perciò: “[...] il realismo politico vuole che la fotografia del mondo politico assomigli il più possibile al suo dipinto [...]”.
3) Avere interessi coincidenti è il principio regolante e determinante la concordia universale degli stati. Come ha mirabilmente stabilito Tucidide “l'identità d'interessi è il più sicuro legame tanto tra gli stati che tra gli individui”. Definizione questa poi ripresa e integrata da uomini del calibro di: Salisbury, George Washington, Max Weber. Interesse naturalmente definito – come vogliono i realisti – in termini di potere e del resto cos'è il potere se non quel preciso vincolo che sancisce, in una democrazia oppure in una dittatura, il dominio dell'uomo sull'uomo, scongiurando quindi pericolosi stati d'anarchia generale. Non a caso l'equilibrio di potere – come ben sapevano gli autori del Federalista (Hamilton, Madison, Jay) – è stato il principio fondativo che ha permesso e permette tutt'oggi ad una nazione variegata come gli Stati Uniti di far coesistere pacificamente diverse realtà statali, senza inutili spargimenti di sangue dovuti a sciagurate guerre intestine, che hanno invece dilaniato e percorso ininterrottamente la storia millenaria europea. Il realista è nemico dell'astrattismo sotto ogni forma, tuttavia il suo concreto e lucido pragmatismo non gli impedisce affatto di credere irrealizzabili determinati scenari, come ad esempio un possibile superamento del restrittivo modello odierno degli stati-nazione in entità più ampie e decisamente più consone alle insopprimibili esigenze di pacificazione universale. La ragione per cui il realista si distingue dall'idealista è unicamente nel modo in cui questi intende attuare quest'opportuno cambiamento, ovvero attraverso un concretissimo approccio diretto ed esclusivamente razionale ai problemi, mettendosi al riparo da certe improduttive derive astrattiste.
4) Il realismo politico non si rifiuta di adottare principi morali, soltanto cerca di filtrarli opportunamente, adeguandoli così alle esigenze contingenti, senza mai dimenticarsi un po' di sana prudenza. Difatti Morgenthau afferma: “L'etica astratta giudica un'azione in base alla sua conformità alla legge morale; l'etica politica giudica un'azione in base alle sue conseguenze politiche.”!
5) Il realista tenta in tutti i modi di scongiurare il “complesso del messia”, ovvero di giustificare i propri disegni e fini politici in un'ottica di benevolenza divina. Evitando i vaneggianti toni “da crociata” del tipo: se Dio è con me, chi può essermi contro? Distinguendo, dunque, verità e idolatria – così come si era distinto tra verità e opinione. Giustificare l'agire di un'altra nazione in termini d'interesse-potere può essere utile a rispettarne le decisioni politiche, in quanto stato tra gli stati che adotti una politica specifica, atta ad incrementare la sua potenza e il suo prestigio internazionale...
6) Infine, il realismo politico intende sancire l'autonomia della sfera politica dall'interferenza o ingerenza di altre sfere quali: l'economia, la giurisprudenza, la morale, eccetera... Infatti Morgenthau ci fornisce una definizione dettagliata del realista: “Egli ragiona in termini d'interesse definito come potere, come l'economista pensa in termini d'interesse definito come ricchezza, il giurista in termini di conformità delle azioni alle norme giuridiche, il moralista in termini di conformità delle azioni a principi morali.”! Il realista è dunque nemico di un approccio legalista ai problemi di politica estera – che gli impedisce di fare strappi alle proprie leggi – pur non essendo contro il diritto internazionale; sia come ad un approccio moralistico – che non sa scendere a compromessi con la logica del male minore – pur non essendo contro la morale stabilita; sia come ad un approccio economicista – che non riesce a vedere oltre i propri biechi interessi materiali – pur non essendo contro l'economia. Sfortunatamente troppe volte queste infauste ingerenze, nel corso della storia della politica estera degli stati, hanno prodotto nientemeno che catastrofi del tutto evitabili, ma che sono dipese da una voluta e cocciuta cecità auto-imposta dai singoli stati, che si sono così comportati come una persona che pur godendo del beneficio della vista decide coscientemente di bendarsi entrambi gli occhi, pur di non vedere più quel che gli sta accadendo intorno. Il realismo rifugge dalle esemplificazioni mono-causali, imperniate sulla logica ristretta della sola causa, bensì si prefigura come una teoria olistica, che tiene conto di tutte le dimensioni proprie dell'uomo: politiche, economiche, morali, religiose, eccetera, senza porre tuttavia l'accento su nessuna in particolare, bensì su tutte in generale... Ritornando al realismo polito, esso non traveste la politica cercando di darle a tutti i costi delle parvenze economiche, legali, morali, religiose, che in verità essa non ha affatto. Piuttosto si limita a presentarla così com'è realmente: sì impresentabile, però indispensabile per chiunque. In definitiva, per dirlo con il “sommo” Aristotele: l'uomo è prima di tutto un “animale politico”...
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