Dopo il successo della trilogia Guerre Stellari la premiata ditta “Bush senior & Bush junior” è lieta di presentarvi il successone megagalattico: Guerre irachene! I primi due episodi sono già andati in onda nelle principali emittenti televisive mondiali – su tutte Al Jazeera, che ne ha avuto l'esclusiva, insieme ai video (degni almeno di una nomination ai prossimi Mtv Music Awards) del redivivo “sceicco del terrore”. Assoluta segretezza pare vi sia invece sul terzo ed ultimo episodio di questa nuova saga intergalattica, che dovrebbe sciogliere finalmente gli interrogativi lasciati irrisolti dal secondo episodio. Non si sa ancora di preciso quando verrà girato, anche se trapelano già le prime indiscrezioni. Il titolo provvisorio è Il conflitto finale ed ha per sottotitolo Il trionfo della democrazia. Alcuni vociferano che il regista prescelto – non ci crederete – sia proprio lui: Mel Gibson. Pare che questi, dopo aver sbancato i botteghini di tutto il mondo con splatters in lingua originale quali The Passion e Apocalypto, anche in questa nuova pellicola avrà modo di cimentarsi nella sua specialità preferita, ovvero: la pornografia della violenza, roba che farebbe impallidire persino il “divin marchese”. La pornostar Cicciolina e il grande cineasta nostrano Tinto Brass hanno già protestato, minacciando il boicottaggio della prossima pellicola di Gibson se questa conterrà un solo contenuto violento. L'attrice ha inoltre aggiunto che intraprenderà – sulla scia dell'onorevole Marco Pannella – uno sciopero particolare cosiddetto: “sciopero della carne (dei volatili)”!
Com'è lecito attendersi, il film sarà girato esclusivamente in iracheno stretto e sarà commentato dalle tre voci fuori campo della Gialappa' s Band, che tradurranno grosso modo i profondissimi dialoghi, degni di capolavori intramontabili della filmografia come Via col vento – ma temiamo che il picco emotivo raggiunto dalla battuta finale “domani è un altro giorno” non verrà qui minimamente insidiato. C'è chi dice inoltre che Saddam risorgerà a furor di popolo in perfetto stile Beautiful – solo in questa soap, oltre alla Bibbia naturalmente, vengono fatti risorgere i morti –, dopo le proteste di alcune “casalingue” inviperite e fin troppo deluse dall'uscita di scena violenta del raìs, che queste reputavano il loro beniamino e il cui carisma veniva ritenuto quindi insostituibile – un po' come quello di Ridge Forrester...
In internet circolano già alcuni spezzoni del trailer originale. Su questo presunto trailer si vedono missili pseudo-deficienti, di nuovissima generazione, mentre colpiscono con la solita perizia chirurgica un gregge di pecore pascolanti, scambiato per un gruppo di terroristi camuffati, compiendo pertanto una truculenta strage di innocenti: le pecore, appunto! Peccato che il filmato – non si sa se fasullo o meno – duri appena sessanta secondi e non lasci trapelare altro. Riusciranno dunque i nostri eroi-marines (versione hi-tech dei “cavalieri jedi”) a radere al suolo, per l'ennesima volta, l'esotica Baghdad e ad abbattere nuovamente la statua di un resuscitato Saddam Hussein? Ai posteri l'ardua sentenza... Prossimamente sulle televisioni di tutto il mondo potrete vedere la resa dei conti finale : Guerre irachene – Episodio tre!
Com'è lecito attendersi, il film sarà girato esclusivamente in iracheno stretto e sarà commentato dalle tre voci fuori campo della Gialappa' s Band, che tradurranno grosso modo i profondissimi dialoghi, degni di capolavori intramontabili della filmografia come Via col vento – ma temiamo che il picco emotivo raggiunto dalla battuta finale “domani è un altro giorno” non verrà qui minimamente insidiato. C'è chi dice inoltre che Saddam risorgerà a furor di popolo in perfetto stile Beautiful – solo in questa soap, oltre alla Bibbia naturalmente, vengono fatti risorgere i morti –, dopo le proteste di alcune “casalingue” inviperite e fin troppo deluse dall'uscita di scena violenta del raìs, che queste reputavano il loro beniamino e il cui carisma veniva ritenuto quindi insostituibile – un po' come quello di Ridge Forrester...
In internet circolano già alcuni spezzoni del trailer originale. Su questo presunto trailer si vedono missili pseudo-deficienti, di nuovissima generazione, mentre colpiscono con la solita perizia chirurgica un gregge di pecore pascolanti, scambiato per un gruppo di terroristi camuffati, compiendo pertanto una truculenta strage di innocenti: le pecore, appunto! Peccato che il filmato – non si sa se fasullo o meno – duri appena sessanta secondi e non lasci trapelare altro. Riusciranno dunque i nostri eroi-marines (versione hi-tech dei “cavalieri jedi”) a radere al suolo, per l'ennesima volta, l'esotica Baghdad e ad abbattere nuovamente la statua di un resuscitato Saddam Hussein? Ai posteri l'ardua sentenza... Prossimamente sulle televisioni di tutto il mondo potrete vedere la resa dei conti finale : Guerre irachene – Episodio tre!
Parafrasando il titolo di un celebre film, interpretato dalla fenomenale accoppiata Benigni-Troisi: Non ci resta che piangere! Una volta ancora la realtà ha di gran lunga superato la finzione. Finora ho voluto farci sopra una risata, ma su questa seconda “sporca” guerra in Iraq, a dire il vero, c'è ben poco da ridere. Oramai infatti, cifre alla mano, siamo sulla buona strada per eguagliare l'altra disastrosa campagna militare americana di sempre: quel Viet(fottuto)Nam!
Che questa guerra non fosse una Blitzkrieg l'avevamo capito più o meno tutti – tranne gli ideologi neo conservatori seduti sugli scranni della Casa Bianca. Ma che addirittura arrivasse ad insidiare il primo posto della guerra in Vietnam e si posizionasse solidamente al secondo posto nella storia delle guerre americane, questo non era neanche lontanamente ipotizzabile. E pensare che all'origine del conflitto c'erano le fantomatiche e micidiali “armi di distruzione di massa”, anche se poi è venuto fuori che si trattava solo di una “bufala mediatica” organizzata dagli anglo-americani per scalzare un dittatore oramai divenuto troppo scomodo: Saddam. Anche se, ora come ora, dovremmo piuttosto parlare della “buon'anima” di Saddam, dato che una volta di più la superiorità etica americana si è rivelata degna della Cina comunista, legando il cappio al collo all'ex dittatore iracheno trasformandolo così da “carnefice” ad “agnellino sacrificale”. Una domanda mi sorge spontanea: ma è valsa davvero la pena quest'opera di esportazione di massa della democrazia nel suolo iracheno? Cioè, è ammissibile che essa sia venuta a costare, e tuttora costi, un “prezzo di sangue” tanto alto? E poi: a che pro? Invece che avere i sunniti al governo – ovvero degli islamici moderati – ora al potere ci sono gli sciiti – ovvero degli islamici più radicali – dietro ai quali si erge mastodontica l'ombra spettrale del regime di Teheran, che è calato come una spada di Damocle sopra le teste dell'attuale amministrazione statunitense.
Il dato più allarmante resta l'ostinata testardaggine dell'attuale presidente Bush jr. che nelle sue dichiarazioni pubbliche sembra avere – purtroppo – le idee molto chiare sul da farsi: “In Vietnam perdemmo perché abbandonammo la lotta”. Della serie: gli americani non molleranno mai e poi mai l'osso, altrimenti come faranno a salvaguardare gli interessi della Nazione, tra cui i giacimenti petroliferi iracheni? Quando ci sono di mezzo gli interessi americani è sempre la solita solfa: petrolio, petrolio, petrolio. È questa la parola d'ordine. Altro che esportare la democrazia; gli americani sono andati in Iraq per importare petrolio. Basta accendere la televisione per ammirare le performance di tracotanti analisti, che – da veri seguaci di Giuda Iscariota – svendono le loro opinioni per soli trenta denari, inventandosi la solita panzana della “guerra come prolungamento della politica con altre armi” in nome di un'insipida Realpolitik. Non c'è peggior spettacolo di vedere all'opera degli intellettuali venduti: offendono quei nobili ideali per cui la cultura, con la “C” maiuscola, si batte da sempre.
A parte questo c'è ben poco da salvare della cieca strategia imperialista americana. Invece che procurar da mangiare a chi ne ha più bisogno, come le popolazioni più povere del Pianeta, gli americani piuttosto le bombardano: eliminando così il problema alla radice. Ammazzandoli da piccoli, non devono poi preoccuparsi di combatterli da grandi. Paradossi a parte, la guerra in Iraq – è sotto gli occhi di tutti – invece che nuocere alla causa dei terroristi (a proposito di caccia ai fantasmi: chi si ricorda più di quel fantasma di Bin Laden? Il suo caso meriterebbe come minimo una puntata di Chi l'ha visto?) non ha fatto altro che giovare a questi ultimi, cavalcatori del malcontento dilagante delle masse affamate, dove essi fanno più proseliti che altrove. Infatti, c'è da aver paura di chi non ha nulla da perdere. Questi sì che sono i nemici peggiori...
In definitiva, è speranza largamente diffusa che le recenti elezioni americane di mid-term abbiano fatto aprire gli occhi agli americani sulla scottante “realtà dei fatti”, e cioè che: se si vuole esportare quel bene prezioso qual è la democrazia occorre mandare avanti gli operatori di pace, da non confondersi con l'eccentrica formula dei peace-keeping, ovvero militari in piena regola – con tanto di attrezzatura bellica al seguito: fucili, bombe, giubbotti antiproiettile, eccetera – travestiti però da pacifisti. È vero che al paradossale non vi è mai fine: ma da qui a reclamizzare gli ideali della democrazia a suon di cannonate, si spera che il passo non sia poi così breve. Fermo restando, naturalmente, quei casi in cui la presenza dei militari è reputata opportuna per salvaguardare la pace in teatri d'operazione particolarmente instabili – come il Medio Oriente – ed ha pertanto il beneplacito dell'Onu: unico Organismo transnazionale che dovrebbe stabilire la legittimità di “eccezionali” conflitti bellici (come nelle “eccezioni” della Serbia di Milosevic e dell'Afghanistan dei talebani) . È ora che gli Stati Uniti smettano di soprassedere alle risoluzioni Onu e contribuiscano in maniera determinante nella loro veste di potenza egemone, a rafforzare questo organismo troppo importante per essere snobbato.
Che questa guerra non fosse una Blitzkrieg l'avevamo capito più o meno tutti – tranne gli ideologi neo conservatori seduti sugli scranni della Casa Bianca. Ma che addirittura arrivasse ad insidiare il primo posto della guerra in Vietnam e si posizionasse solidamente al secondo posto nella storia delle guerre americane, questo non era neanche lontanamente ipotizzabile. E pensare che all'origine del conflitto c'erano le fantomatiche e micidiali “armi di distruzione di massa”, anche se poi è venuto fuori che si trattava solo di una “bufala mediatica” organizzata dagli anglo-americani per scalzare un dittatore oramai divenuto troppo scomodo: Saddam. Anche se, ora come ora, dovremmo piuttosto parlare della “buon'anima” di Saddam, dato che una volta di più la superiorità etica americana si è rivelata degna della Cina comunista, legando il cappio al collo all'ex dittatore iracheno trasformandolo così da “carnefice” ad “agnellino sacrificale”. Una domanda mi sorge spontanea: ma è valsa davvero la pena quest'opera di esportazione di massa della democrazia nel suolo iracheno? Cioè, è ammissibile che essa sia venuta a costare, e tuttora costi, un “prezzo di sangue” tanto alto? E poi: a che pro? Invece che avere i sunniti al governo – ovvero degli islamici moderati – ora al potere ci sono gli sciiti – ovvero degli islamici più radicali – dietro ai quali si erge mastodontica l'ombra spettrale del regime di Teheran, che è calato come una spada di Damocle sopra le teste dell'attuale amministrazione statunitense.
Il dato più allarmante resta l'ostinata testardaggine dell'attuale presidente Bush jr. che nelle sue dichiarazioni pubbliche sembra avere – purtroppo – le idee molto chiare sul da farsi: “In Vietnam perdemmo perché abbandonammo la lotta”. Della serie: gli americani non molleranno mai e poi mai l'osso, altrimenti come faranno a salvaguardare gli interessi della Nazione, tra cui i giacimenti petroliferi iracheni? Quando ci sono di mezzo gli interessi americani è sempre la solita solfa: petrolio, petrolio, petrolio. È questa la parola d'ordine. Altro che esportare la democrazia; gli americani sono andati in Iraq per importare petrolio. Basta accendere la televisione per ammirare le performance di tracotanti analisti, che – da veri seguaci di Giuda Iscariota – svendono le loro opinioni per soli trenta denari, inventandosi la solita panzana della “guerra come prolungamento della politica con altre armi” in nome di un'insipida Realpolitik. Non c'è peggior spettacolo di vedere all'opera degli intellettuali venduti: offendono quei nobili ideali per cui la cultura, con la “C” maiuscola, si batte da sempre.
A parte questo c'è ben poco da salvare della cieca strategia imperialista americana. Invece che procurar da mangiare a chi ne ha più bisogno, come le popolazioni più povere del Pianeta, gli americani piuttosto le bombardano: eliminando così il problema alla radice. Ammazzandoli da piccoli, non devono poi preoccuparsi di combatterli da grandi. Paradossi a parte, la guerra in Iraq – è sotto gli occhi di tutti – invece che nuocere alla causa dei terroristi (a proposito di caccia ai fantasmi: chi si ricorda più di quel fantasma di Bin Laden? Il suo caso meriterebbe come minimo una puntata di Chi l'ha visto?) non ha fatto altro che giovare a questi ultimi, cavalcatori del malcontento dilagante delle masse affamate, dove essi fanno più proseliti che altrove. Infatti, c'è da aver paura di chi non ha nulla da perdere. Questi sì che sono i nemici peggiori...
In definitiva, è speranza largamente diffusa che le recenti elezioni americane di mid-term abbiano fatto aprire gli occhi agli americani sulla scottante “realtà dei fatti”, e cioè che: se si vuole esportare quel bene prezioso qual è la democrazia occorre mandare avanti gli operatori di pace, da non confondersi con l'eccentrica formula dei peace-keeping, ovvero militari in piena regola – con tanto di attrezzatura bellica al seguito: fucili, bombe, giubbotti antiproiettile, eccetera – travestiti però da pacifisti. È vero che al paradossale non vi è mai fine: ma da qui a reclamizzare gli ideali della democrazia a suon di cannonate, si spera che il passo non sia poi così breve. Fermo restando, naturalmente, quei casi in cui la presenza dei militari è reputata opportuna per salvaguardare la pace in teatri d'operazione particolarmente instabili – come il Medio Oriente – ed ha pertanto il beneplacito dell'Onu: unico Organismo transnazionale che dovrebbe stabilire la legittimità di “eccezionali” conflitti bellici (come nelle “eccezioni” della Serbia di Milosevic e dell'Afghanistan dei talebani) . È ora che gli Stati Uniti smettano di soprassedere alle risoluzioni Onu e contribuiscano in maniera determinante nella loro veste di potenza egemone, a rafforzare questo organismo troppo importante per essere snobbato.
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