3.2.07

Civiltà greco-latina: Max Pohlenz e L'uomo greco / 2

(corso tenuto dal professor Giuseppe Girgenti)
Appunti, considerazioni, riflessioni


di Marco Apolloni


Max Pohlenz, filologo tedesco, compose il saggio L'uomo greco nel 1945 e lo pubblicò poi nel '46. Lo dedicò: “All'uomo tedesco nel momento del più estremo bisogno certo di una sua rinascita spirituale”. Il suo intento esplicitato fu dunque proporre ai tedeschi un modello nuovo – possibilmente più edificante di quello proposto dal nazismo – di rinascita spirituale. Un aspetto, in particolare, pervase quest'opera: la fondazione della civiltà greca avvenne grazie alla colonizzazione degli achei, popolo di area germanica. Da qui Pohlenz ricama una sorta di parallelismo tra l'uomo greco di una volta e l'uomo tedesco di oggi e lo utilizzò a mo' di paradigma. Inoltre egli propose un voluto accostamento tra gli stoici di origine semitica e gli achei di origine germanica, per cercare di creare un arduo quanto insperato gemellaggio tra due popoli in così netta antitesi, quale quello ebreo e quello tedesco. Dunque negli intenti di Pohlenz vi fu pure quello di scovare un antidoto all'antisemitismo che dilagò nel suo Paese, finanche a risucchiare il suo popolo nel vortice distruttivo del nazismo, che poi determinò l'ecatombe dell'Olocausto e l'immane carneficina della Seconda Guerra mondiale.
Qui Pohlenz sostenne la tesi per cui: la formazione o paideia della civiltà greca fu essenzialmente di stampo politico-letterario. Egli mirò a rettificare certe linee guida del pensiero greco, limitandosi ad analizzarne giusto tre: il vero, il bello, il bene. Il primo riguardava la filosofia e alle scienze; il secondo invece l'arte in tutte le sue plurime sfaccettature (architettura, scultura, erotica) ma anche lo sport (la bellezza degli atleti spesso e volentieri veniva usata dagli artisti, specialmente dagli scultori, per ricavarne opere memorabili); il terzo, infine, alla politica, ovvero la scienza che persegue il bene comune. Inoltre Pohlenz indagò i tre rapporti intrattenuti dall'uomo greco:
- il rapporto dell'uomo, dell'io, con il destino (la moira), che viene mirabilmente testimoniato nel genere letterario della tragedia; nei poemi omerici infatti, a seconda di come si accetti o meno il proprio destino, scaturisce l'umana felicità oppure infelicità;
- il rapporto, poi, dell'uomo con il divino, vedi i vari culti (orfismo, misteri eleusini, religione olimpica, eccetera);
- il rapporto, infine, con la comunità; l'uomo greco infatti non riesce a concepirsi se non all'interno di una qualche collettività, essendo parte integrante della propria polis. Trattasi dell'identificazione uomo-cittadino, in cui un uomo non può dirsi tale se non è al contempo anche un valente cittadino – tant'è che in epoca ellenistica, in cui si affermava preponderante l'ideale cosmopolita di Alessandro, l'equiparazione uomo-cittadino subisce un forte decadimento.
Esistevano, poi, secondo Pohlenz tre termini basilari per i greci:
- psyche, anima (in Omero è l'ombra del morto che vaga errabonda nell'Ade);
- thymos, animo;
- phren, ragione.
Tutti e tre possono simboleggiare la stessa cosa ed essere considerati “sede dell'io”. La psyche ha una connotazione orfica e sottende il demone interiore o daimon socratico. Inoltre, possiede due differenti accezioni: la prima, soffio vitale, respiro, adito; la seconda, ombra errabonda – come risulta nei poemi omerici. Thymos è propriamente l'aspetto passionale dell'impeto umano ed ha quattro diverse accezioni: la prima, vita, principio vitale; la seconda, desiderio, brama, componente afrodisiaco-erotica; la terza, riguarda due aspetti negativi dell'anima passionale quali la concupiscenza e l'irascibilità – all'estremo opposto si collocano invece la temperanza e il coraggio; la quarta, piaceri del sesso, del bere, del cibo. Phren è strettamente connesso alla ghiandola pineale o epifisi collocata nell'encefalo e sede – secondo alcuni – dell'anima; esso ha una sola accezione: ragione, saggezza – ovvero coinvolge l'aspetto razionale, in Omero come in Platone.
Pohlenz, quindi, si soffermò sulle differenze che intercorrevano tra la religione cristiana e quella olimpica – a parte il fatto, per i più scontato, che la prima era monoteista, laddove la seconda invece era politeista:
- per la religione cristiana, la creazione avviene ex nihilo, ossia dal nulla, mentre per la religione olimpica la creazione è già preesistente;
- il Dio cristiano crea gli uomini, mentre gli dèi e gli uomini secondo la religione olimpica sono increati, inoltre, mentre i primi sono immortali, i secondi sono mortali;
- per i cristiani Dio si è rivelato, mentre per gli dèi greci non vi è necessità alcuna di rivelarsi; essi infatti credono che il divino sia espressione della forza cosmica e addirittura gli stoici ritengono che i nomi degli dèi rispecchino, con una certa approssimazione, i nomi degli elementi naturali;
- il Dio cristiano impone i suoi comandamenti, mentre le divinità olimpiche non impongono alcunché e vengono oltretutto accese da passioni “umane troppo umane”;
- per la religione cristiana il peccato è un comportamento offensivo nei confronti della divinità, mentre per la religione olimpica il termine “peccato” non esiste neppure e semmai il comportarsi male è piuttosto indice di “non sapere”;
- per i cristiani la colpa è frutto della disubbidienza verso Dio e quest'onta può essere lavata solo mediante la redenzione, mentre i greci non avendo alcuna colpa da lavare non si pongono nemmeno l'esigenza di redimersi.
Pohlenz, infine, individuò anche dei punti deboli della civiltà greca quali:
- l'omosessualità;
- l'eugenetica, ovvero quella tendenza – poi fatta propria dai folli scienziati nazisti – di migliorare artificialmente la propria razza, che vide in Sparta la sua più nefanda espressione. Si pensi a quei neonati handicappati che venivano buttati giù dalla rupe perché inquinanti la virile razza spartana, con la loro spregevole debolezza;
- la donna nella grecità antica veniva ritenuta inferiore all'uomo, seppur con qualche rara eccezione – vedi il ruolo che ne dà Platone ne La repubblica;
- giustificazione della schiavitù per motivi di natura economica – persino Aristotele la giustificava;
- sopravvalutare la forma e di conseguenza screditare il contenuto;
- l'impulso all'autodeterminazione di ciascuno si è via via tramutato in un egoismo sfrenato che liquida la libertà stessa degli individui (n.d.r: questa è la medesima critica che, in un certo senso, può venire fatta all'odierno capitalismo...).

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La ghiandola pineale (epifisi) si trova nell'encefalo, non nel petto!

Anonimo ha detto...

Mea culpa!
Questa è una mia svista...
Correggo subito.