Appunti redatti, ampliati e arricchiti da Marco Apolloni
Avvertenza
Si ringrazia per la pubblicazione di questi appunti il professor Biondi. Naturalmente nella loro stesura ho prestato la massima fedeltà alle lezioni tenute dal mio “mentore”. Tuttavia in alcuni punti vi sono delle mie personali aggiunte, considerazioni, riflessioni e limature di varia natura. Comunque penso di aver reso nel miglior modo possibile il contenuto prezioso delle “entusiasmanti” lezioni del professore. Tale corso, per il sottoscritto, si è rivelato una miniera di riflessioni che mi hanno appassionato e avvicinato molto a certe tematiche proprie dello Gnosticismo, che troppo a lungo è rimasto oscurato dall’indifferenza dei più. Inoltre sono rimasto profondamente colpito di come il Cristianesimo sia divenuto così come oggi lo conosciamo, solo in virtù di agglutinamenti e commistioni con altre religioni o filosofie. A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura! Per finire mi auguro che essa vi induca a prestar minor fede a certi screditamenti di un capitolo del Cristianesimo, quale appunto quello gnostico, non ancora del tutto chiuso anche perché mai completamente aperto a dire il vero…
L’origine della Cristianità
La parola cristiano non è di origine cristiana, bensì greca. Da ciò ne consegue l’origine primariamente greca della nostra civiltà e non giudaico-cristiana, come altresì taluni erroneamente sostengono. Il cristianesimo non è una religione dell’essere, bensì del divenire. Infatti essere significa divenire vivi. A sua volta vivere vuol dire far all’amore insieme, e cioè: improvvisare una serie di baccanali in modo da banchettare gli uni con gli altri felicemente. La felicità stessa è per l’esattezza uno stato d’animo contagioso, che t’invade letteralmente lo spirito e per questo: proprio perché si è felici, si è pure oltretutto contagiosi. C’è differenza, però, tra felicità e beatitudine: chi è felice rimane comunque schiavo dei bisogni, mentre chi è beato non sente nemmeno il bisogno di soddisfarli…
Per un filosofo la religione cristiana è densa di simbolismi. In Gesù la Verità è la Vita stessa, tutto in lui viene massimamente interiorizzato. San Paolo, abile manipolatore dei contenuti del messaggio di Cristo – secondo Nietzsche –, si è creato perciò un proprio Cristianesimo, dando una libera e personale interpretazione dell’operato del Nazzareno. Secondo Nietzsche, Paolo si è inventato di sana pianta la concezione della morte intesa come sacrificio, influenzando dopodichè tutto il movimento cristiano a lui successivo. Nella concezione paolina è sottintesa la seconda venuta del Messia, che porrà fine a questo mondo terreno e con esso alla concezione stessa del tempo che noi conosciamo. Perciò, in definitiva, possiamo dire che il Cristianesimo potrebbe venir considerato una mera frottola paolina secondo Nietzsche. Questi sostiene, dunque, che l’apostolo Paolo pervertì il pensiero autentico del Messia, capovolgendone interamente i significati.
Il professor Biondi, altresì, è più persuaso che esso sia un’invenzione di Giustino a ridosso del Consiglio di Nicea del 325 (d. C.). Il concetto di preesistenza di Gesù per lui significa che egli è nato non dal ventre di Maria, ma molto prima nella Luce della Genesi. Una brevissima notazione: per gli antichi era il figlio, con la sua venuta alla luce, che deflorava la madre; la quale a sua volta era considerata vergine ancor prima che partorisse…
Chi siamo, cosa vogliamo, dove andiamo? Ci poniamo tutte queste strazianti domande esistenziali perché nelle profondità delle nostre viscere sentiamo già lo scollamento con la nostra esistenza che vediamo scapparci di mano irrefutabilmente, istante dopo istante.
Esiste una ben netta separazione tra la vita e la filosofia. Se la verità è vivere, la filosofia allora cos’è se non la ripetizione o il ripensamento stesso della vita? Dunque essa è un vero e proprio “modus vivendi”, per dirlo con Cicerone, o meglio ancora un “modo di vivere”. Non a caso proprio i nostri antichi padri greci impararono a vivere e filosofare insieme, ossia a “vivere filosofando”! La filosofia dunque è mera interpretazione di una parola già data “a priori”, ossia della parola “vita”. Da ciò ne deriva che la filosofia non è altro che l’ermeneutica della vita stessa. Secondo un mio aforisma: la filosofia è la ricerca instancabile della scintilla divina che risiede in ognuno di noi. In ultima analisi, il filosofo è colui che tenta invano di mediare tra la dimensione mortale e quella immortale, e facendo ciò pone la sua unica “obiezione” esistenziale, ossia per dirlo con Heidegger: il nostro esserci, ch’è un essere-per-la-morte…
La resurrezione e l’anima
Il primo dio morto e poi risorto della mitologia religiosa è il dio egizio Osiride, la cui evirazione ha coinciso con la perdita della sua potenza sessuale o virilità, che lo ha pertanto privato del dono superiore della fertilità, ossia di dare la vita.
San Paolo nomina il suo apparato dottrinario: esplicazione della vita. La questione della Resurrezione per lui è mera follia, vale a dire assoluta insensatezza. Ciò significa che non può esserci in termini razionali alcuna spiegazione dell’origine divina di Cristo. Ad ogni modo, però, la vera follia per lui consiste nel credersi creature di questo mondo, quando non lo siamo affatto. A testimonianza di questa sua ipotesi, egli sostiene che i nostri giorni in questo mondo stanno per giungere al termine.
È il sapere di non sapere socratico, che muove l’uomo verso la sapienza. Platone distingue tre gradi del conoscere: la scienza, l’opinione, l’ignoranza, ed ulteriormente altri quattro sottogradi, la geometria e la noia – per quel che riguarda il primo grado – , la credenza o fede e l’immaginazione – per quel che invece concerne il secondo grado – e – infine per quel che compete il terzo grado – ci s’immagina di credere in una visione pur non vedendo niente – vedere in questo caso vuol dire esattamente dimostrare. Difatti Dio ce lo immaginiamo, senza però averlo mai visto davvero. Dunque tale Entità superna è per noi quasi un fantomatico ologramma, ossia una proiezione mentale di qualcosa che non ha alcun fondamento reale! A tal proposito credere significherebbe sperare, perciò, nelle cose che non si vedono. Secondo questa concezione di derivazione platonica, l’opinione è un gradino assai modesto del sapere, inferiore alla scienza. Quindi Platone invita a non fidarsi delle opinioni, bensì a raggiungere il superiore gradino della scienza.
Valentino distingue: l’uomo somatico (il pagano, l’ebreo), l’uomo psichico (il cristiano), l’uomo pneumatico o spirituale (lo gnostico). Nella concezione gnostica valentiniana gli eoni personificavano le virtù platoniche. Il vescovo Valentino, fra l’altro, è stato uno dei padri fondatori dello Gnosticismo e addirittura per poco non divenne Papa. Difatti il soglio pontificio gli venne soffiato proprio all’ultimo dal vescovo Aniceto, il quale gli venne preferito unicamente per una mera scelta di carattere politico.
Secondo i Naasseni (da Nas, Serpente, si noti l’assonanza con Nous, Intelletto), un Dio come quello cristiano che nel Giardino dell’Eden ha deposto l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, specificando però di non assaggiarne i frutti, è un Dio fondamentalmente ignorante. Dunque potremmo congetturare con un certo Gnosticismo che esso non è che un Dio inferiore! Poiché porre un simile comandamento – poi peraltro trasgredito da Eva, colpevole della caduta dell’umanità e macchiatasi pertanto del “peccato originale” – pur ben conoscendo l’animo umano, dal momento che lo ha plasmato Lui stesso, potrebbe interpretarsi come un chiaro ed esplicito invito alla trasgressione. Da che vi sono le leggi, l’uomo si è macchiato di trasgressioni. Perciò da che mondo è mondo le trasgressioni hanno sempre rappresentato il “gusto del proibito”, del quale il genere umano è sempre stato perversamente attratto e si è sempre cibato avidamente. Ecco dunque perché, secondo certi Vangeli gnostici, Gesù non voleva si emanasse a suo nome alcuna legge, che poi sarebbe stata puntualmente trasgredita. “Non vi è legge all’infuori della Via da me indicata” è come se ci avesse lasciato detto il Salvatore!
Coloro i quali dicono, “la verità è interpretazione”, si rifanno implicitamente ad una certa filosofia ermeneutica della quale in assoluto i primi precursori furono gli gnostici: “La verità non è venuta nuda a questo mondo, ma in simboli e in immagini” recita il Vangelo di Filippo, appartenente al corpus di testi gnostici ritrovati in un vaso di argilla presso Nag Hammadi in Egitto. A tal proposito Giustino Martire afferma che Gesù è come Ermes, ossia si è fatto interprete dei segni divini e perciò si è costituito come tramite tra l’umano e il divino. Difatti per lui “il filosofo è amico di Cristo”! È seguendo questo filone ermeneutico che si può risalire sino alla celeberrima affermazione nietzschiana: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Dunque, in ultima analisi, il Cristianesimo stesso ci appare, sin dai suoi primordi, come un fittissimo reticolato di segni solo in apparenza indecifrabili, che possono venire altresì decriptati interpretando le oscure e intricate allegorie di Gesù…
L’insensata sapienza senza mistero
Secondo Heidegger vi sono quattro diverse possibilità di stare al mondo: l’amore, la colpa, la lotta e la morte. Prima del suo avvento solo in pochi consideravano Nietzsche un filosofo a tutti gli effetti. Egli afferma in sostanza che tutta la Metafisica precedente, da Platone a Nietzsche, non ha fatto altro che cicalare ininterrottamente di Dio, pur non avendone mai avuto alcuna diretta esperienza. Dunque lui ribattezza a questo proposito la Metafisica: Ontoteologia. Il Cristianesimo non è che una sorta di platonismo volgarizzato secondo l’Heidegger dei Sentieri Interrotti. Per Heidegger, inoltre, la grazia è la dimensione più consona al pensiero. Secondo lui, infatti, pensare significherebbe appunto ringraziare…
Nietzsche afferma che il Cristianesimo è essenzialmente esaltazione della sofferenza e arriva addirittura a definirlo una “morale da eunuchi”. Se il Cristianesimo appunto è resistito a così tanti attacchi, questo lo si deve innanzitutto alla sua grande capacità di sfornare martiri su martiri, i quali lo hanno sì reso tanto potente. Il successo della religione – come quella cristiana – è dovuto al fatto che essa promette a lungo termine, mentre di conseguenza l’insuccesso della politica è dovuto al fatto, invece, che essa promette a breve termine. Poco importa poi che entrambe promettano, ma non mantengano quanto promesso!
Secondo Platone mettiamo al mondo dei figli per sentirci immortali pur non essendolo, così per poterci illudere di poter rivivere in qualche modo in loro, carne e sangue della nostra carne e del nostro sangue! Per questo motivo noi siamo carenti di immortalità. Difatti ogniqualvolta parliamo del tempo, lo facciamo quasi sempre in maniera nostalgica, ovvero come di qualcosa che non potremmo mai possedere interamente. Ecco spiegato dunque perché noi abbiamo così bisogno di cogliere l’attimo, come espresse felicemente Orazio, ossia per assaporare meglio ogni nostro singolo e irripetibile istante, che ci rende tanto più estremo e definitivo ogni nostro gesto, che pertanto riecheggerà in eterno…
Il momento è quel determinato movimento del tempo in avanti. Attimo infatti deriva dalla traslitterazione della parola greca “atomos”. La dimensione dell’attimo è quindi abissale: un attimo corrisponde appunto ad un abisso. La visione paolina ci parla di un tempo limitato e perciò destinato a concludersi senza più ripetersi – non a caso s’intende l’uomo come essere finito. Alcuni fra i vivi addirittura non gusteranno neanche il sapore pestilenziale della morte – a detta sua –, in quanto verranno direttamente tratti in Cielo. Il tempo si sta a poco a poco accorciando secondo costui e questo può voler dire che lo schema del nostro travagliato mondo ha i giorni contati, e cioè: sta per finire, per cui dovremmo preoccuparci principalmente della nostra salvezza eterna, che nasce appunto da questa franca consapevolezza. Mentre la contrapposta visione nietzschiana ci propugna un tempo eternamente ripetibile, sempre uguale, che ha un andamento non tanto lineare quanto circolare. Anche se – a dire il vero – Nietzsche fu sì un gran divulgatore, seppur di originale ebbe ben poco. Infatti la concezione dell’eterno ritorno sembrerebbe averla ripresa, segretamente, da una certa concezione basilidiana e più in generale propria dei misteri egizi.
Dicesi escatologia quella concezione che presuppone la fine della storia, come quella paolina per l’appunto. Dietro le sue parole – sostiene profeticamente Paolo – si celano la Potenza e lo Spirito. Inoltre questi ci dice che la Sapienza di questo mondo è mera Follia, ossia assoluta insensatezza. Ed è proprio in virtù di ciò che lui vorrebbe spacciare per sensato tutto quel che è altresì profondamente insensato.
Simon Mago, alias Simone di Samaria, è stato anch’egli uno dei padri dello Gnosticismo. Per lui la grandezza di Dio, che risiede in ognuno di noi, è incarnata perfettamente nella nostra facoltà intellettiva. Questa ci viene data dall’unione della Sophia, la Sapienza, con il Nous, l’Intelletto. La sua bizzarra eresia – tra l’altro lui si dichiarò profeta superiore all’impostore Gesù – si rifaceva alla credenza che Elena di Troia si era incarnata dopo lunghe e peregrine reincarnazioni in un’altra Elena, prostituta in un bordello di Tiro, da lui ripulita e spacciata per l’incarnazione della Sophia stessa. Mentre egli stesso, secondo il suo preciso disegno, sarebbe stato l’incarnazione del Nous. Ireneo, vescovo di Lione, nella sua monumentale opera Contro le eresie, spacciò Simone per un falso profeta che portava al suo fianco una prostituta, facendola passare per l’eone caduto della Sophia. Simone pertanto – a maggior rigore – non potrebbe propriamente dirsi uno gnostico-cristiano, in quanto sconfessò appunto la divinità stessa di Cristo. Per costui, per giunta, il Dio biblico veniva visto come una sorta di Potenza oltremondana completamente sconosciuta e in questo, perlomeno, non si distaccò più di tanto dalla successiva visione di altri autori gnostici. Per essi infatti Dio non può essere conosciuto e per farsi conoscere si affida unicamente agli eoni, i quali sarebbero delle sue emanazioni…
Ci sono alcune parole di Gesù, pronunciate poco prima di patire il martirio, dai contenuti altamente simbolici ed evocativi, quali: “L’anima mia è triste fino alla morte”, oppure “Lo spirito è forte, ma il corpo è stanco” e via dicendo. Tali affermazioni richiamano implicitamente l’usuale dualità tra anima e corpo che rappresentò una vera e propria ossessione per i nostri savi antenati greci. Difatti non vi era greco che non affermava che l’anima si rivestiva nel corpo – tra cui gli gnostici. La fustigazione simboleggiava pertanto la necessità di liberarsi dai bisogni sempre più impellenti della carne. Il disprezzo della carne era ciò che contraddistingueva preliminarmente gli gnostici, ancor più dei cristiani ortodossi. Difatti, a questo proposito il professore afferma, interpretando un atteggiamento di Aleksej Karamazov incredulo di fronte a certe miserie umane: “non è vero che lo gnostico non creda in Dio, è vero che non crede nel mondo” (p. 271, Basilide. La filosofia del Dio Inesistente, Roma, 2005). La base dello Gnosticismo è dunque la seguente: non si può rendere partecipi i non-iniziati alle verità ultime, almeno finché tutte le cose non si compiranno e quindi verranno svelate per esplicito volere del Dio superiore. Prima di quel momento occorre subire, dissimulare, nascondere – ecco a cosa servono i misteri. Anche se come ha affermato giustamente sempre lo stesso mio professore, parafrasando il buon Plutarco: “Il mistero dei misteri è che non c’è nessun mistero” (p. 69, Basilide. La filosofia del Dio Inesistente, Roma, 2005).
Per San Paolo la questione della razionalità umana è poco più che una bazzecola, poiché il Mondo è destinato a perire e con esso la razionalità stessa, che non avrà più dunque alcun senso. L’amore per lui è in grado di cambiar faccia a questo mondo. Nel concetto stesso di amore infatti è contenuto in germe il più grande cambiamento rivoluzionario per l’intero genere umano. Il Dio del Cristianesimo, secondo questa controversa ottica paolina, ha scelto ciò che non è per rendere nullo e inconsistente ciò che è! Contro questa ferrea argomentazione logica si scaglia selvaggiamente Nietzsche, il quale è più orientato verso un’affermazione totale della virtù, senza se e senza ma. Per lui, appunto, tutto quel che alimenta la quantità di piacere – affermando cosicché la Volontà di Potenza, che altro non significa se non “volere di più” – è bene. Mentre invece tutto quel che alimenta la quantità di dispiacere è male e va pertanto immediatamente eliminato – dicasi “utilitarismo nietzschiano”! Dire Volontà di Potenza o Vita per Nietzsche è come dire la stessa cosa. Sia in Nietzsche che in Paolo vi è un sostanziale superamento del concetto di “io voglio”, poiché esso in realtà falsifica il volere più squisitamente autentico…
La traslitterazione del termine greco "kairos" indica: il tempo o momento propizio, e cioè: gradito, ovvero della grazia e perciò di cui rendere grazie. In Paolo si deve parlare di una sorta di reversibilità del tempo o di rivoluzione in senso letterale, ossia di un riavvolgimento del tempo su se stesso, sino a ritornare nel punto di non ritorno dal quale in realtà tutto è scaturito. Il Messia è colui che pur venendo assurto una volta in cielo, tuttavia ritornerà sui propri passi per redimere i più meritevoli! Heidegger, a tal proposito, ritiene che “venuta” si dica “presenza”. Perciò quando Aristotele parla di essenza intende dire esattamente presenza, a differenza di Paolo che intende altresì la venuta. Egli pertanto attende la venuta di chi è già stato, ossia: il Messia-Redentore. Non a caso vi sono diverse sfaccettature dell’espressione “rivoluzione”: una di queste potrebbe voler dire appunto revolvere, ossia tornare indietro; un’altra ancora, invece, potrebbe voler dire un “balzo di tigre” – come direbbe Walter Benjamin – che infranga cosicché il continuum della storia e consegua necessariamente uno stacco decisivo con un vecchio passato fatto di soprusi e di sfruttamenti dei più deboli. Tale concezione benjaminiana porta con sé un forte stampo messianico. Dunque in quest’ottica, in un certo senso marxista, Gesù è il “deus ex machina” che innesca la lotta di classe, la quale porti all’affrancamento degli oppressi dai loro oppressori. Questo cammino iniziato dal Salvatore verso l’emancipazione dai vessatori Arconti – i quali sono i padroni nefasti di questa nostra Terra schiavizzata e perciò disumanizzata – deve essere cominciato innanzitutto entro se stessi. Poiché solo chi si disarcionerà finalmente dalle catene dell’ignoranza, potrà così inerpicarsi lungo lo scosceso e tortuoso sentiero della vera “gnosis” – o conoscenza dal greco! Tale conoscenza ci renderà liberi, ossia ci permetterà di fuoriuscire da quella condizione di minorità dovuta all’ignoranza. In definitiva, più si sa e più si diventa liberi, pertanto: un uomo illuminato si porterà sempre dentro il Paradiso…
L’amore
L’apostolo Paolo sostiene che sia meglio sposarsi pur di quietare l’incalzante desiderio sessuale e non rimanerne così malauguratamente ossessionati per tutta la vita. “Il cristiano è colui che si fa tutto con tutti”, ci suggerisce lui nella Lettera ai Romani. La concezione paolina dell’identità dei cristiani, meglio dovremmo definirla più una specie di non-identità! A tal proposito lui sembra indicarci la Via per giungere al Signore senza però dare delle ben precise regole di condotta, specialmente di carattere sessuale, troppo fissative, poiché – e in questo le sue idee flirtano con un certo Gnosticismo – il nostro corpo è plasmato nell’errore, perciò è per sua stessa vocazione richiamato all’impurità e al peccato. Queste due caratteristiche costituiscono le parti più viscerali del nostro essere, che prima o poi si lascerà cadere in tentazione. Alla salvezza ultraterrena dunque non importa tanto come ci si arriva, l'importante è arrivarci attraversando mille ostacoli e perigliosi sentieri, perdendosi per poi ritrovarsi di errore in errore. La strada per il Paradiso è lastricata di buone intenzioni! Quello che conta è la genuinità del proprio animo al cospetto del Padreterno. L’amore qui corrisponderebbe all’agape platonico enunciato nel Simposio, che indicherebbe l’unione amichevole di quando ci si unisce per banchettare insieme.
Chi ama ha un rapporto erotico con la verità, cioè desidera quel che non può avere. L’eros riguarda infatti il desiderio di qualcosa d’irraggiungibile. Qualunque essere umano sa di dover morire – la morte purtroppo è la sola cosa certa di cui abbiamo nozione – e appunto per questo anela spasmodicamente all’immortalità mediante l’impulso sessuale, ch’è volontà o spinta di procreazione di un altro essere, il quale viva anche dopo che si è morti, cosicché si possa rivivere ogni istante in lui. I figli sono la seconda chance per ciascuno di noi. Marsilio Ficino afferma che l’agape e l’eros sono pressoché la stessa cosa. In vita noi ricerchiamo l’altra metà mancante di noi in modo che una volta riuniti si possa completare la propria rispettiva natura incompleta. Molto suggestivo per questo motivo è il racconto di Aristofane nel Simposio, dove descrive maschio e femmina come due esseri originariamente uniti in un solo essere androgino, tagliato in due metà separate solo in un secondo momento, poiché gli dèi preoccupati temevano che la sua potenza potesse rivaleggiare con la loro e che un giorno essi si sarebbero potuti rivoltare. Quindi queste due metà mutilate per tutta la loro vita vagolano senza una meta precisa di luogo in luogo, ricercando inconsapevolmente la propria metà perduta e dispersa chissà dove. Una volta trovatela, se mai si ha la fortuna di trovarla, ecco che si sente il bisogno di congiungersi con essa mediante l’atto sessuale, il cui svolgimento può determinare la procreazione di una nuova vita. In definitiva si potrebbe dire che chi non ha mai amato è come se non avesse mai vissuto veramente. Se non ci fosse l’amore noi saremmo come dei strumenti musicali non accordati, e cioè: suoneremmo una ben dissonante melodia e per di più di una tristezza incomparabile! Chi è capace di amare possiede invece un’anima grande: è l’Amore difatti che tutto comprende…
La concezione amorosa paolina non prevede affatto il concupire fine a se stesso. L’amore di Eva è proprio per questo estraneo a se stesso. Mentre quello del “dongiovanni” è proprio di chi possiede interamente se stesso e di chi ha pertanto un’alta considerazione di sé, così da riuscire estremamente persuasivo agli altri. Ossia chi è in pieno possesso di sé mira a possedere gli altri, magari usando l’arte subdola della seduzione che spesso coincide con quella dell’inganno – che vuol dire esattamente coprire ciò ch’è nudo. In ogni caso chi inganna maschera il proprio secondo fine, ossia la concupiscenza fine a se stessa! Nel godimento amoroso ci si perde in un’estasi squisita, che ci placa il terribile vulcano che ognuno si porta inconsapevolmente dentro. In ultima analisi ci si sente totalmente appagati, oltre che riconciliati con se stessi. Bisogna far all’amore tanto con il corpo, quanto con la mente: solo così si potrà godere appieno l’essenza di questa fusione alchemica di due materie spirituali, ove in germe vi è contenuto l’intero significato della vita umana, ch’è sì pienezza rinfrescante, ma soprattutto sofferenza stritolante. Dopo ogni orgasmo è come se si morisse, per poi rinascere a nuova vita. Facendo all’amore, inoltre, è come se si volesse ringraziare per la felicità ricevuta e complimentare per la passione sprigionata. Esso permette la fuoriuscita dal proprio sé di modo che ci si proietti nel sé universale…
Paolo dunque c’invita a non lasciarci frenare dagli irrefrenabili morsi della carne, anzi il rimedio per lui consiste proprio nel lasciarsi andare liberamente ad essi, in modo da non averne più preoccupazione: poiché non si dà alcuna importanza di ciò di cui non ci si preoccupa. Mentre chi ha continui sensi di colpa sul fare o non fare una determinata cosa, prima o poi finirà per averne l’ossessione a furia di rimuginarci sopra…
Le trasgressioni, come già detto, sono all’ordine del giorno dacché esistono le leggi. Il Serpente tentatore è come se dicesse ad Eva: “Se non ha mai provato quella mela, che aspetti a farlo, prima di dire che non ti piace, gustala, poi anche se non ti piacesse, almeno potrai dire di averla provata. Pensaci bene, non hai niente da perdere…”. Il Diavolo – la cui più grande astuzia consiste nel darci a credere che non esiste – è un gran tentatore, lusingatore, adulatore, in una parola: un gran seduttore. Altro che orribile aspetto è il suo, poiché il presupposto di chi è maestro nella seduzione è una gran avvenenza: il fascino è la sua nota distintiva, noi siamo affascinati da tutto quel che non riusciamo a spiegarci e questi se vuole sa essere davvero enigmatico. Ritornando alla figura del Serpente, va detto che nella complessa simbologia cristiana questi attorcigliato al crocefisso sta a significare “l’unione dei contrari”: Bene e Male. Infine secondo una certa esegesi biblica è Dio stesso a trasformarsi nel serpente seduttore-tentatore…
Secondo Paolo, infine, l’amore: tutto crede, tutto perdona, tutto spera, e cioè: tutto comprende; poiché la speranza abbraccia ogni cosa, ma soprattutto è speranza di una condizione migliore di quella che viviamo su questa Terra ed è per questo che dobbiamo aver fede nella speranza! Si spera sempre in ciò che non si vede e appunto: credere contro ogni speranza, oppure credere sperando contro ogni speranza, è precisamente l’“imperativo categorico” paolino. Egli ci ricorda continuamente di essere stranieri a questo mondo e di appartenere quindi al soprasensibile reame celeste. Secondo l’apostolo Paolo, quindi, il nostro “vero mondo” non è tanto “l’altro mondo”, bensì “il mondo che ha da venire”! In definitiva la forza dell’Amore è tale da rendere nullo tutto il resto, che perciò diviene superfluo. Esso è la legge universale che decreta l’ordine regolatore del Cosmo. L’amore paolino, ch’è soprattutto agape, esclude pertanto ogni forma di possesso. La sua enigmatica definizione dell’Amore recita: poiché esso non possiede nulla, possiede tutto quanto gli occorre…
La volontà di amare
Partiamo dal presupposto che si vive autenticamente solo se si è capaci di amare, allora chi ama: desidera, o meglio vuole ciò che ama. Il volere altro non vuole che possedere. La volontà dunque vuole ciò che non ha, mentre l’amore ha già quello che vuole. In un certo senso potremmo anche dire: chi molto vuole, molto ama; dunque, amare è volere e viceversa! Durante la nostra misera esistenza terrena noi soffriamo in continuazione come delle bestie, però in amore stravinciamo sempre!
Dove c’è Amore, non c’è bisogno di alcun comando. Ecco perché Cristo non volle legiferare: l’unico comandamento che lui ci ha dato – che poi in effetti non è un vero comandamento, quanto un’esigenza innata in ognuno – è quello di “amare il prossimo come se stessi”! San Paolo ribadisce più volte che chi ama, non dovrebbe amare troppo questo mondo. Egli infatti sostiene che noi non possiamo amare interamente questo mondo, dal momento che non vi apparteniamo.
Dire tempo e mondo per i greci significava dire la stessa e identica cosa, cambiavano solo alcune accezioni del termine. Il primo a dare al mondo l’accezione di ordine è stato Pitagora. Tale accezione pitagorica, venne poi ripresa anche da Platone. Per entrambi una superiore geometria doveva regolare i disordini di questo mondo. Risolvere il mondo in un ordine futuro che deve venire era oltretutto quanto prefissosi dall’apostolo Paolo. Per far ciò occorre realizzare il disegno divino, solo apparentemente incomprensibile. Realizzare deriva da “reale” e significa appunto questo, e cioè: diventare reale, rendere visibile, acquisire trasparenza…
L’“etica” di Cristo è una certa “prassi”, a cui secondo San Paolo dovremmo tutti attenerci per dirci davvero cristiani. Gesù in quanto fondazione o gettito (katabolè) o emanazione (probolè) del Padre: è il Verbo incarnatosi per svelare l’ascendenza divina di alcuni fra gli uomini e rendere manifesto il suo volere ipercosmico. Il Logos – che vuol dire discorso o linguaggio – è insito in Dio e quindi esisteva già prima della venuta del Salvatore, il quale lo ha semplicemente incarnato poiché si è fatto Parola vivente e Luce del mondo. Il suo messaggio è volutamente racchiuso in oscure parabole e detti, poiché si è voluto velare – in via del tutto precauzionale – a coloro i quali non ne sono degni: la Verità primigenia…
Avvertenza
Si ringrazia per la pubblicazione di questi appunti il professor Biondi. Naturalmente nella loro stesura ho prestato la massima fedeltà alle lezioni tenute dal mio “mentore”. Tuttavia in alcuni punti vi sono delle mie personali aggiunte, considerazioni, riflessioni e limature di varia natura. Comunque penso di aver reso nel miglior modo possibile il contenuto prezioso delle “entusiasmanti” lezioni del professore. Tale corso, per il sottoscritto, si è rivelato una miniera di riflessioni che mi hanno appassionato e avvicinato molto a certe tematiche proprie dello Gnosticismo, che troppo a lungo è rimasto oscurato dall’indifferenza dei più. Inoltre sono rimasto profondamente colpito di come il Cristianesimo sia divenuto così come oggi lo conosciamo, solo in virtù di agglutinamenti e commistioni con altre religioni o filosofie. A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura! Per finire mi auguro che essa vi induca a prestar minor fede a certi screditamenti di un capitolo del Cristianesimo, quale appunto quello gnostico, non ancora del tutto chiuso anche perché mai completamente aperto a dire il vero…
L’origine della Cristianità
La parola cristiano non è di origine cristiana, bensì greca. Da ciò ne consegue l’origine primariamente greca della nostra civiltà e non giudaico-cristiana, come altresì taluni erroneamente sostengono. Il cristianesimo non è una religione dell’essere, bensì del divenire. Infatti essere significa divenire vivi. A sua volta vivere vuol dire far all’amore insieme, e cioè: improvvisare una serie di baccanali in modo da banchettare gli uni con gli altri felicemente. La felicità stessa è per l’esattezza uno stato d’animo contagioso, che t’invade letteralmente lo spirito e per questo: proprio perché si è felici, si è pure oltretutto contagiosi. C’è differenza, però, tra felicità e beatitudine: chi è felice rimane comunque schiavo dei bisogni, mentre chi è beato non sente nemmeno il bisogno di soddisfarli…
Per un filosofo la religione cristiana è densa di simbolismi. In Gesù la Verità è la Vita stessa, tutto in lui viene massimamente interiorizzato. San Paolo, abile manipolatore dei contenuti del messaggio di Cristo – secondo Nietzsche –, si è creato perciò un proprio Cristianesimo, dando una libera e personale interpretazione dell’operato del Nazzareno. Secondo Nietzsche, Paolo si è inventato di sana pianta la concezione della morte intesa come sacrificio, influenzando dopodichè tutto il movimento cristiano a lui successivo. Nella concezione paolina è sottintesa la seconda venuta del Messia, che porrà fine a questo mondo terreno e con esso alla concezione stessa del tempo che noi conosciamo. Perciò, in definitiva, possiamo dire che il Cristianesimo potrebbe venir considerato una mera frottola paolina secondo Nietzsche. Questi sostiene, dunque, che l’apostolo Paolo pervertì il pensiero autentico del Messia, capovolgendone interamente i significati.
Il professor Biondi, altresì, è più persuaso che esso sia un’invenzione di Giustino a ridosso del Consiglio di Nicea del 325 (d. C.). Il concetto di preesistenza di Gesù per lui significa che egli è nato non dal ventre di Maria, ma molto prima nella Luce della Genesi. Una brevissima notazione: per gli antichi era il figlio, con la sua venuta alla luce, che deflorava la madre; la quale a sua volta era considerata vergine ancor prima che partorisse…
Chi siamo, cosa vogliamo, dove andiamo? Ci poniamo tutte queste strazianti domande esistenziali perché nelle profondità delle nostre viscere sentiamo già lo scollamento con la nostra esistenza che vediamo scapparci di mano irrefutabilmente, istante dopo istante.
Esiste una ben netta separazione tra la vita e la filosofia. Se la verità è vivere, la filosofia allora cos’è se non la ripetizione o il ripensamento stesso della vita? Dunque essa è un vero e proprio “modus vivendi”, per dirlo con Cicerone, o meglio ancora un “modo di vivere”. Non a caso proprio i nostri antichi padri greci impararono a vivere e filosofare insieme, ossia a “vivere filosofando”! La filosofia dunque è mera interpretazione di una parola già data “a priori”, ossia della parola “vita”. Da ciò ne deriva che la filosofia non è altro che l’ermeneutica della vita stessa. Secondo un mio aforisma: la filosofia è la ricerca instancabile della scintilla divina che risiede in ognuno di noi. In ultima analisi, il filosofo è colui che tenta invano di mediare tra la dimensione mortale e quella immortale, e facendo ciò pone la sua unica “obiezione” esistenziale, ossia per dirlo con Heidegger: il nostro esserci, ch’è un essere-per-la-morte…
La resurrezione e l’anima
Il primo dio morto e poi risorto della mitologia religiosa è il dio egizio Osiride, la cui evirazione ha coinciso con la perdita della sua potenza sessuale o virilità, che lo ha pertanto privato del dono superiore della fertilità, ossia di dare la vita.
San Paolo nomina il suo apparato dottrinario: esplicazione della vita. La questione della Resurrezione per lui è mera follia, vale a dire assoluta insensatezza. Ciò significa che non può esserci in termini razionali alcuna spiegazione dell’origine divina di Cristo. Ad ogni modo, però, la vera follia per lui consiste nel credersi creature di questo mondo, quando non lo siamo affatto. A testimonianza di questa sua ipotesi, egli sostiene che i nostri giorni in questo mondo stanno per giungere al termine.
È il sapere di non sapere socratico, che muove l’uomo verso la sapienza. Platone distingue tre gradi del conoscere: la scienza, l’opinione, l’ignoranza, ed ulteriormente altri quattro sottogradi, la geometria e la noia – per quel che riguarda il primo grado – , la credenza o fede e l’immaginazione – per quel che invece concerne il secondo grado – e – infine per quel che compete il terzo grado – ci s’immagina di credere in una visione pur non vedendo niente – vedere in questo caso vuol dire esattamente dimostrare. Difatti Dio ce lo immaginiamo, senza però averlo mai visto davvero. Dunque tale Entità superna è per noi quasi un fantomatico ologramma, ossia una proiezione mentale di qualcosa che non ha alcun fondamento reale! A tal proposito credere significherebbe sperare, perciò, nelle cose che non si vedono. Secondo questa concezione di derivazione platonica, l’opinione è un gradino assai modesto del sapere, inferiore alla scienza. Quindi Platone invita a non fidarsi delle opinioni, bensì a raggiungere il superiore gradino della scienza.
Valentino distingue: l’uomo somatico (il pagano, l’ebreo), l’uomo psichico (il cristiano), l’uomo pneumatico o spirituale (lo gnostico). Nella concezione gnostica valentiniana gli eoni personificavano le virtù platoniche. Il vescovo Valentino, fra l’altro, è stato uno dei padri fondatori dello Gnosticismo e addirittura per poco non divenne Papa. Difatti il soglio pontificio gli venne soffiato proprio all’ultimo dal vescovo Aniceto, il quale gli venne preferito unicamente per una mera scelta di carattere politico.
Secondo i Naasseni (da Nas, Serpente, si noti l’assonanza con Nous, Intelletto), un Dio come quello cristiano che nel Giardino dell’Eden ha deposto l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, specificando però di non assaggiarne i frutti, è un Dio fondamentalmente ignorante. Dunque potremmo congetturare con un certo Gnosticismo che esso non è che un Dio inferiore! Poiché porre un simile comandamento – poi peraltro trasgredito da Eva, colpevole della caduta dell’umanità e macchiatasi pertanto del “peccato originale” – pur ben conoscendo l’animo umano, dal momento che lo ha plasmato Lui stesso, potrebbe interpretarsi come un chiaro ed esplicito invito alla trasgressione. Da che vi sono le leggi, l’uomo si è macchiato di trasgressioni. Perciò da che mondo è mondo le trasgressioni hanno sempre rappresentato il “gusto del proibito”, del quale il genere umano è sempre stato perversamente attratto e si è sempre cibato avidamente. Ecco dunque perché, secondo certi Vangeli gnostici, Gesù non voleva si emanasse a suo nome alcuna legge, che poi sarebbe stata puntualmente trasgredita. “Non vi è legge all’infuori della Via da me indicata” è come se ci avesse lasciato detto il Salvatore!
Coloro i quali dicono, “la verità è interpretazione”, si rifanno implicitamente ad una certa filosofia ermeneutica della quale in assoluto i primi precursori furono gli gnostici: “La verità non è venuta nuda a questo mondo, ma in simboli e in immagini” recita il Vangelo di Filippo, appartenente al corpus di testi gnostici ritrovati in un vaso di argilla presso Nag Hammadi in Egitto. A tal proposito Giustino Martire afferma che Gesù è come Ermes, ossia si è fatto interprete dei segni divini e perciò si è costituito come tramite tra l’umano e il divino. Difatti per lui “il filosofo è amico di Cristo”! È seguendo questo filone ermeneutico che si può risalire sino alla celeberrima affermazione nietzschiana: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Dunque, in ultima analisi, il Cristianesimo stesso ci appare, sin dai suoi primordi, come un fittissimo reticolato di segni solo in apparenza indecifrabili, che possono venire altresì decriptati interpretando le oscure e intricate allegorie di Gesù…
L’insensata sapienza senza mistero
Secondo Heidegger vi sono quattro diverse possibilità di stare al mondo: l’amore, la colpa, la lotta e la morte. Prima del suo avvento solo in pochi consideravano Nietzsche un filosofo a tutti gli effetti. Egli afferma in sostanza che tutta la Metafisica precedente, da Platone a Nietzsche, non ha fatto altro che cicalare ininterrottamente di Dio, pur non avendone mai avuto alcuna diretta esperienza. Dunque lui ribattezza a questo proposito la Metafisica: Ontoteologia. Il Cristianesimo non è che una sorta di platonismo volgarizzato secondo l’Heidegger dei Sentieri Interrotti. Per Heidegger, inoltre, la grazia è la dimensione più consona al pensiero. Secondo lui, infatti, pensare significherebbe appunto ringraziare…
Nietzsche afferma che il Cristianesimo è essenzialmente esaltazione della sofferenza e arriva addirittura a definirlo una “morale da eunuchi”. Se il Cristianesimo appunto è resistito a così tanti attacchi, questo lo si deve innanzitutto alla sua grande capacità di sfornare martiri su martiri, i quali lo hanno sì reso tanto potente. Il successo della religione – come quella cristiana – è dovuto al fatto che essa promette a lungo termine, mentre di conseguenza l’insuccesso della politica è dovuto al fatto, invece, che essa promette a breve termine. Poco importa poi che entrambe promettano, ma non mantengano quanto promesso!
Secondo Platone mettiamo al mondo dei figli per sentirci immortali pur non essendolo, così per poterci illudere di poter rivivere in qualche modo in loro, carne e sangue della nostra carne e del nostro sangue! Per questo motivo noi siamo carenti di immortalità. Difatti ogniqualvolta parliamo del tempo, lo facciamo quasi sempre in maniera nostalgica, ovvero come di qualcosa che non potremmo mai possedere interamente. Ecco spiegato dunque perché noi abbiamo così bisogno di cogliere l’attimo, come espresse felicemente Orazio, ossia per assaporare meglio ogni nostro singolo e irripetibile istante, che ci rende tanto più estremo e definitivo ogni nostro gesto, che pertanto riecheggerà in eterno…
Il momento è quel determinato movimento del tempo in avanti. Attimo infatti deriva dalla traslitterazione della parola greca “atomos”. La dimensione dell’attimo è quindi abissale: un attimo corrisponde appunto ad un abisso. La visione paolina ci parla di un tempo limitato e perciò destinato a concludersi senza più ripetersi – non a caso s’intende l’uomo come essere finito. Alcuni fra i vivi addirittura non gusteranno neanche il sapore pestilenziale della morte – a detta sua –, in quanto verranno direttamente tratti in Cielo. Il tempo si sta a poco a poco accorciando secondo costui e questo può voler dire che lo schema del nostro travagliato mondo ha i giorni contati, e cioè: sta per finire, per cui dovremmo preoccuparci principalmente della nostra salvezza eterna, che nasce appunto da questa franca consapevolezza. Mentre la contrapposta visione nietzschiana ci propugna un tempo eternamente ripetibile, sempre uguale, che ha un andamento non tanto lineare quanto circolare. Anche se – a dire il vero – Nietzsche fu sì un gran divulgatore, seppur di originale ebbe ben poco. Infatti la concezione dell’eterno ritorno sembrerebbe averla ripresa, segretamente, da una certa concezione basilidiana e più in generale propria dei misteri egizi.
Dicesi escatologia quella concezione che presuppone la fine della storia, come quella paolina per l’appunto. Dietro le sue parole – sostiene profeticamente Paolo – si celano la Potenza e lo Spirito. Inoltre questi ci dice che la Sapienza di questo mondo è mera Follia, ossia assoluta insensatezza. Ed è proprio in virtù di ciò che lui vorrebbe spacciare per sensato tutto quel che è altresì profondamente insensato.
Simon Mago, alias Simone di Samaria, è stato anch’egli uno dei padri dello Gnosticismo. Per lui la grandezza di Dio, che risiede in ognuno di noi, è incarnata perfettamente nella nostra facoltà intellettiva. Questa ci viene data dall’unione della Sophia, la Sapienza, con il Nous, l’Intelletto. La sua bizzarra eresia – tra l’altro lui si dichiarò profeta superiore all’impostore Gesù – si rifaceva alla credenza che Elena di Troia si era incarnata dopo lunghe e peregrine reincarnazioni in un’altra Elena, prostituta in un bordello di Tiro, da lui ripulita e spacciata per l’incarnazione della Sophia stessa. Mentre egli stesso, secondo il suo preciso disegno, sarebbe stato l’incarnazione del Nous. Ireneo, vescovo di Lione, nella sua monumentale opera Contro le eresie, spacciò Simone per un falso profeta che portava al suo fianco una prostituta, facendola passare per l’eone caduto della Sophia. Simone pertanto – a maggior rigore – non potrebbe propriamente dirsi uno gnostico-cristiano, in quanto sconfessò appunto la divinità stessa di Cristo. Per costui, per giunta, il Dio biblico veniva visto come una sorta di Potenza oltremondana completamente sconosciuta e in questo, perlomeno, non si distaccò più di tanto dalla successiva visione di altri autori gnostici. Per essi infatti Dio non può essere conosciuto e per farsi conoscere si affida unicamente agli eoni, i quali sarebbero delle sue emanazioni…
Ci sono alcune parole di Gesù, pronunciate poco prima di patire il martirio, dai contenuti altamente simbolici ed evocativi, quali: “L’anima mia è triste fino alla morte”, oppure “Lo spirito è forte, ma il corpo è stanco” e via dicendo. Tali affermazioni richiamano implicitamente l’usuale dualità tra anima e corpo che rappresentò una vera e propria ossessione per i nostri savi antenati greci. Difatti non vi era greco che non affermava che l’anima si rivestiva nel corpo – tra cui gli gnostici. La fustigazione simboleggiava pertanto la necessità di liberarsi dai bisogni sempre più impellenti della carne. Il disprezzo della carne era ciò che contraddistingueva preliminarmente gli gnostici, ancor più dei cristiani ortodossi. Difatti, a questo proposito il professore afferma, interpretando un atteggiamento di Aleksej Karamazov incredulo di fronte a certe miserie umane: “non è vero che lo gnostico non creda in Dio, è vero che non crede nel mondo” (p. 271, Basilide. La filosofia del Dio Inesistente, Roma, 2005). La base dello Gnosticismo è dunque la seguente: non si può rendere partecipi i non-iniziati alle verità ultime, almeno finché tutte le cose non si compiranno e quindi verranno svelate per esplicito volere del Dio superiore. Prima di quel momento occorre subire, dissimulare, nascondere – ecco a cosa servono i misteri. Anche se come ha affermato giustamente sempre lo stesso mio professore, parafrasando il buon Plutarco: “Il mistero dei misteri è che non c’è nessun mistero” (p. 69, Basilide. La filosofia del Dio Inesistente, Roma, 2005).
Per San Paolo la questione della razionalità umana è poco più che una bazzecola, poiché il Mondo è destinato a perire e con esso la razionalità stessa, che non avrà più dunque alcun senso. L’amore per lui è in grado di cambiar faccia a questo mondo. Nel concetto stesso di amore infatti è contenuto in germe il più grande cambiamento rivoluzionario per l’intero genere umano. Il Dio del Cristianesimo, secondo questa controversa ottica paolina, ha scelto ciò che non è per rendere nullo e inconsistente ciò che è! Contro questa ferrea argomentazione logica si scaglia selvaggiamente Nietzsche, il quale è più orientato verso un’affermazione totale della virtù, senza se e senza ma. Per lui, appunto, tutto quel che alimenta la quantità di piacere – affermando cosicché la Volontà di Potenza, che altro non significa se non “volere di più” – è bene. Mentre invece tutto quel che alimenta la quantità di dispiacere è male e va pertanto immediatamente eliminato – dicasi “utilitarismo nietzschiano”! Dire Volontà di Potenza o Vita per Nietzsche è come dire la stessa cosa. Sia in Nietzsche che in Paolo vi è un sostanziale superamento del concetto di “io voglio”, poiché esso in realtà falsifica il volere più squisitamente autentico…
La traslitterazione del termine greco "kairos" indica: il tempo o momento propizio, e cioè: gradito, ovvero della grazia e perciò di cui rendere grazie. In Paolo si deve parlare di una sorta di reversibilità del tempo o di rivoluzione in senso letterale, ossia di un riavvolgimento del tempo su se stesso, sino a ritornare nel punto di non ritorno dal quale in realtà tutto è scaturito. Il Messia è colui che pur venendo assurto una volta in cielo, tuttavia ritornerà sui propri passi per redimere i più meritevoli! Heidegger, a tal proposito, ritiene che “venuta” si dica “presenza”. Perciò quando Aristotele parla di essenza intende dire esattamente presenza, a differenza di Paolo che intende altresì la venuta. Egli pertanto attende la venuta di chi è già stato, ossia: il Messia-Redentore. Non a caso vi sono diverse sfaccettature dell’espressione “rivoluzione”: una di queste potrebbe voler dire appunto revolvere, ossia tornare indietro; un’altra ancora, invece, potrebbe voler dire un “balzo di tigre” – come direbbe Walter Benjamin – che infranga cosicché il continuum della storia e consegua necessariamente uno stacco decisivo con un vecchio passato fatto di soprusi e di sfruttamenti dei più deboli. Tale concezione benjaminiana porta con sé un forte stampo messianico. Dunque in quest’ottica, in un certo senso marxista, Gesù è il “deus ex machina” che innesca la lotta di classe, la quale porti all’affrancamento degli oppressi dai loro oppressori. Questo cammino iniziato dal Salvatore verso l’emancipazione dai vessatori Arconti – i quali sono i padroni nefasti di questa nostra Terra schiavizzata e perciò disumanizzata – deve essere cominciato innanzitutto entro se stessi. Poiché solo chi si disarcionerà finalmente dalle catene dell’ignoranza, potrà così inerpicarsi lungo lo scosceso e tortuoso sentiero della vera “gnosis” – o conoscenza dal greco! Tale conoscenza ci renderà liberi, ossia ci permetterà di fuoriuscire da quella condizione di minorità dovuta all’ignoranza. In definitiva, più si sa e più si diventa liberi, pertanto: un uomo illuminato si porterà sempre dentro il Paradiso…
L’amore
L’apostolo Paolo sostiene che sia meglio sposarsi pur di quietare l’incalzante desiderio sessuale e non rimanerne così malauguratamente ossessionati per tutta la vita. “Il cristiano è colui che si fa tutto con tutti”, ci suggerisce lui nella Lettera ai Romani. La concezione paolina dell’identità dei cristiani, meglio dovremmo definirla più una specie di non-identità! A tal proposito lui sembra indicarci la Via per giungere al Signore senza però dare delle ben precise regole di condotta, specialmente di carattere sessuale, troppo fissative, poiché – e in questo le sue idee flirtano con un certo Gnosticismo – il nostro corpo è plasmato nell’errore, perciò è per sua stessa vocazione richiamato all’impurità e al peccato. Queste due caratteristiche costituiscono le parti più viscerali del nostro essere, che prima o poi si lascerà cadere in tentazione. Alla salvezza ultraterrena dunque non importa tanto come ci si arriva, l'importante è arrivarci attraversando mille ostacoli e perigliosi sentieri, perdendosi per poi ritrovarsi di errore in errore. La strada per il Paradiso è lastricata di buone intenzioni! Quello che conta è la genuinità del proprio animo al cospetto del Padreterno. L’amore qui corrisponderebbe all’agape platonico enunciato nel Simposio, che indicherebbe l’unione amichevole di quando ci si unisce per banchettare insieme.
Chi ama ha un rapporto erotico con la verità, cioè desidera quel che non può avere. L’eros riguarda infatti il desiderio di qualcosa d’irraggiungibile. Qualunque essere umano sa di dover morire – la morte purtroppo è la sola cosa certa di cui abbiamo nozione – e appunto per questo anela spasmodicamente all’immortalità mediante l’impulso sessuale, ch’è volontà o spinta di procreazione di un altro essere, il quale viva anche dopo che si è morti, cosicché si possa rivivere ogni istante in lui. I figli sono la seconda chance per ciascuno di noi. Marsilio Ficino afferma che l’agape e l’eros sono pressoché la stessa cosa. In vita noi ricerchiamo l’altra metà mancante di noi in modo che una volta riuniti si possa completare la propria rispettiva natura incompleta. Molto suggestivo per questo motivo è il racconto di Aristofane nel Simposio, dove descrive maschio e femmina come due esseri originariamente uniti in un solo essere androgino, tagliato in due metà separate solo in un secondo momento, poiché gli dèi preoccupati temevano che la sua potenza potesse rivaleggiare con la loro e che un giorno essi si sarebbero potuti rivoltare. Quindi queste due metà mutilate per tutta la loro vita vagolano senza una meta precisa di luogo in luogo, ricercando inconsapevolmente la propria metà perduta e dispersa chissà dove. Una volta trovatela, se mai si ha la fortuna di trovarla, ecco che si sente il bisogno di congiungersi con essa mediante l’atto sessuale, il cui svolgimento può determinare la procreazione di una nuova vita. In definitiva si potrebbe dire che chi non ha mai amato è come se non avesse mai vissuto veramente. Se non ci fosse l’amore noi saremmo come dei strumenti musicali non accordati, e cioè: suoneremmo una ben dissonante melodia e per di più di una tristezza incomparabile! Chi è capace di amare possiede invece un’anima grande: è l’Amore difatti che tutto comprende…
La concezione amorosa paolina non prevede affatto il concupire fine a se stesso. L’amore di Eva è proprio per questo estraneo a se stesso. Mentre quello del “dongiovanni” è proprio di chi possiede interamente se stesso e di chi ha pertanto un’alta considerazione di sé, così da riuscire estremamente persuasivo agli altri. Ossia chi è in pieno possesso di sé mira a possedere gli altri, magari usando l’arte subdola della seduzione che spesso coincide con quella dell’inganno – che vuol dire esattamente coprire ciò ch’è nudo. In ogni caso chi inganna maschera il proprio secondo fine, ossia la concupiscenza fine a se stessa! Nel godimento amoroso ci si perde in un’estasi squisita, che ci placa il terribile vulcano che ognuno si porta inconsapevolmente dentro. In ultima analisi ci si sente totalmente appagati, oltre che riconciliati con se stessi. Bisogna far all’amore tanto con il corpo, quanto con la mente: solo così si potrà godere appieno l’essenza di questa fusione alchemica di due materie spirituali, ove in germe vi è contenuto l’intero significato della vita umana, ch’è sì pienezza rinfrescante, ma soprattutto sofferenza stritolante. Dopo ogni orgasmo è come se si morisse, per poi rinascere a nuova vita. Facendo all’amore, inoltre, è come se si volesse ringraziare per la felicità ricevuta e complimentare per la passione sprigionata. Esso permette la fuoriuscita dal proprio sé di modo che ci si proietti nel sé universale…
Paolo dunque c’invita a non lasciarci frenare dagli irrefrenabili morsi della carne, anzi il rimedio per lui consiste proprio nel lasciarsi andare liberamente ad essi, in modo da non averne più preoccupazione: poiché non si dà alcuna importanza di ciò di cui non ci si preoccupa. Mentre chi ha continui sensi di colpa sul fare o non fare una determinata cosa, prima o poi finirà per averne l’ossessione a furia di rimuginarci sopra…
Le trasgressioni, come già detto, sono all’ordine del giorno dacché esistono le leggi. Il Serpente tentatore è come se dicesse ad Eva: “Se non ha mai provato quella mela, che aspetti a farlo, prima di dire che non ti piace, gustala, poi anche se non ti piacesse, almeno potrai dire di averla provata. Pensaci bene, non hai niente da perdere…”. Il Diavolo – la cui più grande astuzia consiste nel darci a credere che non esiste – è un gran tentatore, lusingatore, adulatore, in una parola: un gran seduttore. Altro che orribile aspetto è il suo, poiché il presupposto di chi è maestro nella seduzione è una gran avvenenza: il fascino è la sua nota distintiva, noi siamo affascinati da tutto quel che non riusciamo a spiegarci e questi se vuole sa essere davvero enigmatico. Ritornando alla figura del Serpente, va detto che nella complessa simbologia cristiana questi attorcigliato al crocefisso sta a significare “l’unione dei contrari”: Bene e Male. Infine secondo una certa esegesi biblica è Dio stesso a trasformarsi nel serpente seduttore-tentatore…
Secondo Paolo, infine, l’amore: tutto crede, tutto perdona, tutto spera, e cioè: tutto comprende; poiché la speranza abbraccia ogni cosa, ma soprattutto è speranza di una condizione migliore di quella che viviamo su questa Terra ed è per questo che dobbiamo aver fede nella speranza! Si spera sempre in ciò che non si vede e appunto: credere contro ogni speranza, oppure credere sperando contro ogni speranza, è precisamente l’“imperativo categorico” paolino. Egli ci ricorda continuamente di essere stranieri a questo mondo e di appartenere quindi al soprasensibile reame celeste. Secondo l’apostolo Paolo, quindi, il nostro “vero mondo” non è tanto “l’altro mondo”, bensì “il mondo che ha da venire”! In definitiva la forza dell’Amore è tale da rendere nullo tutto il resto, che perciò diviene superfluo. Esso è la legge universale che decreta l’ordine regolatore del Cosmo. L’amore paolino, ch’è soprattutto agape, esclude pertanto ogni forma di possesso. La sua enigmatica definizione dell’Amore recita: poiché esso non possiede nulla, possiede tutto quanto gli occorre…
La volontà di amare
Partiamo dal presupposto che si vive autenticamente solo se si è capaci di amare, allora chi ama: desidera, o meglio vuole ciò che ama. Il volere altro non vuole che possedere. La volontà dunque vuole ciò che non ha, mentre l’amore ha già quello che vuole. In un certo senso potremmo anche dire: chi molto vuole, molto ama; dunque, amare è volere e viceversa! Durante la nostra misera esistenza terrena noi soffriamo in continuazione come delle bestie, però in amore stravinciamo sempre!
Dove c’è Amore, non c’è bisogno di alcun comando. Ecco perché Cristo non volle legiferare: l’unico comandamento che lui ci ha dato – che poi in effetti non è un vero comandamento, quanto un’esigenza innata in ognuno – è quello di “amare il prossimo come se stessi”! San Paolo ribadisce più volte che chi ama, non dovrebbe amare troppo questo mondo. Egli infatti sostiene che noi non possiamo amare interamente questo mondo, dal momento che non vi apparteniamo.
Dire tempo e mondo per i greci significava dire la stessa e identica cosa, cambiavano solo alcune accezioni del termine. Il primo a dare al mondo l’accezione di ordine è stato Pitagora. Tale accezione pitagorica, venne poi ripresa anche da Platone. Per entrambi una superiore geometria doveva regolare i disordini di questo mondo. Risolvere il mondo in un ordine futuro che deve venire era oltretutto quanto prefissosi dall’apostolo Paolo. Per far ciò occorre realizzare il disegno divino, solo apparentemente incomprensibile. Realizzare deriva da “reale” e significa appunto questo, e cioè: diventare reale, rendere visibile, acquisire trasparenza…
L’“etica” di Cristo è una certa “prassi”, a cui secondo San Paolo dovremmo tutti attenerci per dirci davvero cristiani. Gesù in quanto fondazione o gettito (katabolè) o emanazione (probolè) del Padre: è il Verbo incarnatosi per svelare l’ascendenza divina di alcuni fra gli uomini e rendere manifesto il suo volere ipercosmico. Il Logos – che vuol dire discorso o linguaggio – è insito in Dio e quindi esisteva già prima della venuta del Salvatore, il quale lo ha semplicemente incarnato poiché si è fatto Parola vivente e Luce del mondo. Il suo messaggio è volutamente racchiuso in oscure parabole e detti, poiché si è voluto velare – in via del tutto precauzionale – a coloro i quali non ne sono degni: la Verità primigenia…
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