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L'Iraq – analizzato dal punto di vista delle risorse petrolifere – presenta dei considerevoli vantaggi: ha costi estrattivi bassissimi e la qualità del petrolio è buona! Quindi del tutto comprensibile appare lo sforzo bellico compiuto in Iraq dagli americani – se lo andiamo ad analizzare in termini di reali benefici economici. A quest'aspetto va inoltre sommato che gli americani prediligono il petrolio cosiddetto “Bassora light” – dal nome della provincia irachena di Bassora –, visto che sono i primi consumatori al mondo di benzina e diesel. Dunque la guerra irachena – almeno in linea teorica – per gli americani si presenta sia come una guerra petrolifera che – ce lo insegna la geopolitica – anche come una guerra strategica. I rinforzi appena mandati in Iraq dal governo americano rientrano perfettamente nelle prerogative di questa guerra, ossia di difendere ancor meglio e – perché no – di sfruttare a sufficienza le risorse naturali presenti in loco. Per l'attuale governo iracheno, a maggioranza sciita, si prefigurano così accordi di “production-sharing” decisamente penalizzanti, ove verrà dato mandato alle companies americane di pianificare le risorse e, per di più, esse avranno la possibilità di usufruire per un periodo almeno di trent'anni delle stesse, dando così le briciole al governo iracheno a cui verrà pagato un piccolo dazio perlopiù irrisorio.
Il futuro del petrolio sembra presto detto, e cioè non si allontanerà troppo dall'OPEC (ovvero l'organizzazione dei paesi produttori di greggio del Golfo Persico). La situazione dell'Italia è tanto più allarmante, poiché essa continua a non avere un piano energetico nazionale dal 1975. Situazione ben diversa per l'ENI, che perdura a rimanere la sesta compagnia mondiale del settore. Pur tuttavia le sue fortune non rappresentano le fortune del nostro paese, poiché essa non approvvigiona – se non in minima parte – l'Italia. In pratica l'ENI non fa che pompare energia per poi rivenderla a prezzi di mercato al primo acquirente resosi disponibile. Le sue mire strategiche obbediscono, cioè, all'implacabile legge del mercato – da cui non si scappa e per cui seduce poco l'esca patriottica. Esistono due tipi di mercato: “mercato spot” dove si paga in contanti e si specula sui prezzi, oppure “mercato a termine” dove invece si paga non in contanti e in maniera dilazionata. Le preoccupazioni del mercato dopo l'9/11 restano moltissime: ogni scusa è buona per aumentare il prezzo! Le considerazioni che si possono trarre da questa situazione estremamente delicata è la seguente: il mercato non può più considerarsi capitalistico, ma piuttosto volatile e pure – in un certo senso – psicolabile. Difatti parrebbero essere le psicosi – vale a dire le debolezze psicologiche della gente – a dirigere la fantomatica “mano invisibile” del mercato, sempre più imprevedibile...
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