Che il capitalismo, con l'illimitatezza sfrenata dei suoi consumi, stia distruggendo il nostro Pianeta ce ne stiamo accorgendo tutti (capitalisti compresi). Come si sia potuti arrivare a tal punto senza far nulla per placare questa folle corsa verso lo sfacelo, beh, questa ci sembra proprio una domanda da un milione di dollari. Così a lungo abbiamo tirato la corda, sperperando risorse naturali che sapevamo essere limitate, inquinando a tutto spiano il nostro malconcio pianeta, che dal canto suo già stava dando segnali di parziale cedimento: con uragani, tsunami, alluvioni, eccetera. Ma noi niente, ogni volta abbiamo fatto finta di non capire, ce ne siamo fregati – dicendo tanto ci penseranno quelli che verranno dopo di noi, intanto pensiamo a spassarcela alla faccia di quegli uccellacci del malaugurio che pronosticano l'Apocalisse. Certo sdraiarsi a prendere il sole dal proprio balcone a gennaio inoltrato, con una temperatura media ferma là fuori – in un po' tutta la Penisola – sui ventitré gradi, dev'essere sembrata un'innocua bizzarria climatica. Sono cose che capitano, no? Come no, capitano con l'approssimarsi di ogni nuova era geologica. Ergo: se non vogliamo fare la fine dei dinosauri e scomparire dalla faccia della Terra, urge un immediato rimedio. Già, perché solo di “rimedio” si può trattare, dato che una “cura” vera e propria al momento non esiste.
Da sempre la nostra ragione strumentale, con illuministica prescienza, ci ha indotto a confidare nel Progresso. Divinità pagana, questa, che dovrebbe assicurarci un radioso futuro caratterizzato da migliorie a non finire. La Santissima Scienza, altro nuovo nume tutelare dell'umanità, ci condurrà per mano ai confini della galassia e, perché no, dell'intero universo. Se una volta poteva andare bene il detto: “Morto un papa se ne fa un altro...”. D'ora in poi varrà il nuovo detto: “Morto un pianeta se ne cambia un altro...”. Peccato, soltanto, che talvolta scienza e fantascienza hanno il vizio d'intrecciarsi a vicenda, confondendosi a tal punto da non capire più dove finisce l'una e comincia l'altra. La ragionevolezza sembra ormai aver abbandonato il disabitato cervello umano, ammesso che vi abbia mai dimorato. E per “ragionevolezza” s'intende quel barlume di saggezza una volta appartenuto agli umani, composto da un miscuglio alchemico tra ragione e sentimento, capace di frenare i più dannosi impulsi auto-distruttivi e le smanie d'onnipotenza del genere umano. L'una, la ragione, dovrebbe sì aiutarci a gettar luce sui misteri ancora irrisolti della natura, però andrebbe sempre tenuta per mano dalla saggia guida del sentimento, che vede tanto più chiaramente proprio perché del tutto cieco. Spesso, infatti, solo chiudendo gli occhi si riesce a vedere ciò che non si vedeva o, comunque sia, non si voleva vedere prima.
Cambiare lo scopo di un'azione sottende trasformarla, snaturarla, farla diventare qualcos'altro. Dunque pretendere di cambiare l'essenza del capitalismo – che è il profitto illimitato – è pressoché impensabile senza l'annichilimento totale dello stesso. L'essenza di qualcosa è tale per cui questa cosa non può essere cambiata, se non al prezzo di cessare di essere quel che era all'origine. Per questo parlare di un capitalismo etico è un esercizio perlomeno bizzarro. Dato che i due termini “capitalismo” ed “etica” cadono in così netta contraddizione. Se c'è l'uno, il capitalismo, non può esserci l'altra, l'etica, e viceversa. L'economista Joseph Schumpeter ha affermato che il capitalismo, in realtà, non può essere criticato su basi scientifiche, semmai soltanto sociologiche. L'errore di Marx fu proprio quello di operare invano una critica scientifica, cioè razionale, del capitalismo – anche se va naturalmente precisato che, per Marx, la scientificità era un concetto assai vasto. È convinzione risaputa e largamente praticata dai capitalisti che il consesso riunito degli uomini, ovvero la società, non è un'opera di beneficenza. Quindi, come vedrete bene, l'unica speranza di salvezza per il nostro Pianeta non potrebbe che risiedere nella sconfitta finale del capitalismo. Paradossalmente, in un contesto dove i nemici del capitalismo sono molti, il capitalismo è il peggior nemico di se stesso – da “nemico”, ovvero quella forza estranea che pretende di subordinare i tuoi scopi ai suoi. Dunque, per il bene del nostro Pianeta, non ci rimane che sperare che il capitalismo faccia harakiri da solo, alla maniera degli antichi guerrieri samurai...
Liberare, infine, il Pianeta della presenza scomoda del capitalismo, non vuol dire necessariamente porre fine ai suoi indicibili travagli. C'è ancora un ultimo mostro da sconfiggere, pari al Leviatano di hobbesiana memoria, che è la tecnica; che può sì essere, con Prometeo, la più grande aiutante del genere umano; ma che, allo stesso tempo, può rivelarsi una vera e propria serpe in grembo, che ci si rivolta contro per annientarci. La famosa rivolta delle macchine contro gli umani, così mirabilmente descritta dalla letteratura fantascientifica – basti citare un'opera emblematica quale: Io, Robot di Isaac Asimov. Per impedire che ciò avvenga non ci resta che un'unica alternativa: recuperare quel seme di ragionevolezza andato perduto e ritornare ad una dimensione più autentica delle cose, capendo che solo l'essere umano conta e nient'altro. Il filosofo Emanuele Severino, a proposito della tecnica, una volta ha affermato: “Dio è la prima tecnica e la tecnica è l'ultimo Dio...”. Chissà che questo grande filosofo non si sia preso un abbaglio, trascurando l'inesauribile potenziale umano. Per questo forse sarebbe meglio capovolgere il suo motto in: “Dio è il primo uomo e l'uomo è l'ultimo Dio...”. Parafrasando “Iena” Plissken, protagonista del film Fuga da Los Angeles: “Benvenuti in una nuova era, benvenuti nell'era del genere umano!”.
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