18.6.06

Quando le paure parlano per noi

di Corrado Campa

Quella che segue é una raccolta di lettere che sono state indirizzate in tempi diversi, qualche anno fa, al Direttore di una rivista sportiva.
Vale la pena di leggerle perché, nella loro visione d'insieme, ci fanno capire molto bene una dinamica che, se non identificata e risolta, può essere causa di incomprensione e creare equivoci e fraintendimenti fra noi e gli altri.

UNA PATENTE DI ONESTA'

Egregio direttore,
(beh, egregio, si fa per dire), butti la maschera. Le recenti vittorie internazionali del Milan l'hanno fatta impazzire di felicità: lo si é capito dall'enfasi con cui le ha raccontate. Non trovo giusto che un giornalista faccia pesare, sul lavoro, il proprio tifo. Dunque non trovo giusto il suo atteggiamento.
Libero Mazza- Roma

Caro direttore,
essere tifosi non é una colpa: ma allora perché non dichiararlo apertamente!
Sono due anni che la "studio": lei é juventino fino al midollo, ovvero fino al tentativo di difendere… l'indifendibile. Ma non ha capito (vista anche una sua recente risposta) che l'Impero bianconero é finito per sempre?
Antonio Grassi- Ivrea

Gentile direttore,
sono un fedele lettore napoletano del suo indubbiamente eccellente giornale.
Napoletano, ma interista. E' da molto tempo che volevo scriverle per contestarle una sua eccessiva "simpatia" nei confronti del Napoli.
Io credevo che anche lei fosse interista, ma non é questo il punto. Il punto é che trovo eccessivo difendere sempre e comunque Maradona (come fa lei) ed essere così indulgente con i tifosi napoletani (come é lei).
Mi creda, la perfezione (calcistica) non appartiene a questa città.
Trasferisca altrove le sue ingiustificate simpatie.
Onofrio D'Angelo- Napoli

Egregio Bartoletti,
va bene che il Guerin Sportivo si stampa a Bologna, va bene che dobbiamo tutti campare, va bene che é giusto tifare per la squadra della regione in cui si é nati, ma a Lei non sembra di esagerare?
Bologna qua, Bologna là, Maifredi sotto, Maifredi sopra, oh come sono bravi i rossoblù, oh com'é bello Cabrini! Lei appoggia sfacciatamente il Bologna che, in fondo, é solo una squadra di metà classifica: non potrà mai eguagliare i livelli (anche storici) della mia Roma.
Romolo Giusti- Roma

Caro Bartoletti,
mi consenta il rilievo (bonario ma necessario): io la seguo con simpatia sin dall'epoca del Processo del Lunedì che lei condusse con indubbia bravura.
Ma sin da allora (era, mi sembra, l'anno dello scudetto giallorosso) il suo atteggiamento mi parve curiosamente e innaturalmente filo-romanista.
Ricordo le sue "gentilezze" nei confronti di Viola, ricordo i suoi sorrisetti anti-juventini, ricordo il suo compiacimento per quella vittoria che -é il caso di ricordarlo- é rimasta unica nel decennio (al contrario di tutto ciò che ha conquistato la mia Juve). Anche nel caso Manfredonia l'ho trovata -come dire- troppo partecipe.
Per caso, tutta la vicenda ha toccato anche il suo cuore oltre che quello del grande Lio (grande in quanto ex-bianconero)?
Mario Cabassi- Torino

Caro Marino,
ho letto da qualche parte che sei un interista convinto. La cosa non mi offende, ma mi lascia perplesso. E' possibile, nel tuo lavoro, dimenticarsi della propria passione sportiva? A giudicare da come il Guerino enfatizzò lo scudetto nerazzurro dello scorso anno direi proprio di no.
Con amicizia.
Saverio Trotti- Verona

Caro direttore,
ho contato i servizi dedicati dal Guerino alle varie squadre dall'inizio della stagione.
Quelli "juventini" sono addirittura più numerosi di quelli del Milan mondiale.
Va bene essere accecati dal fascino della Vecchia (ma proprio "vecchia") Signora, va bene che in Italia ci sono tanti tifosi bianconeri, va bene che la Juve "fa vendere", ma lei non può comportarsi da tifoso nell'esercizio della sua professione.
Riponga in un cassetto la sua tessera di juventino e faccia un Guerino più imparziale.
Sergio Garbi- Ferrara

Cari amici,
credo che questa pagina sarà l'unica che ritaglierò e incornicerò quando me ne andrò dal Guerino. Pochi colleghi hanno avuto la fortuna di ricevere una "patente" di imparzialità e -consentite l'immodestia- di onestà più esplicita di questa che, inconsapevolmente, mi avete regalato.
Grazie di cuore.


Tutte queste lettere non ci dicono molto della persona a cui si rivolgono (che é la stessa persona: l'allora Direttore del Guerin Sportivo Marino Bartoletti) ma ci dicono anche troppo dei tifosi che le hanno scritte: ognuno é convinto di conoscere il Direttore nel senso di aver capito per quale squadra fa il tifo leggendo i suoi articoli fra le righe, o osservandolo in TV e ascoltando e interpretando le sue frasi, i suoi comportamenti, perfino i non detti.
Simpaticissimo il lettore che lo ha studiato per due anni e si é convinto che fosse juventino, o l'altro che ha visto nei sorrisi di circostanza o di gentilezza del Direttore dei "sorrisetti" più equivoci nei confronti di Viola, l'allora presidente romanista, e si é convinto che fosse, appunto, romanista. Una persona che ne studia un'altra per due anni si penserebbe che ne dia alla fine un giudizio obiettivo, e invece…
Nella realtà ognuno degli autori delle lettere tende a vedere di quello che osserva nel Direttore ciò che vuole vedere, o meglio, ciò che ha più paura di vedere: talmente paura che lo vede dappertutto, in qualunque frase, occhiata, o gesto.
La Psicologia cognitiva ci insegna che quando ci formiamo un'idea su di una persona, o un argomento, anche se siamo obiettivi e razionali, tendiamo in tutta inconsapevolezza a cercare dall'esterno tutti i segnali che confermino questa idea e a escludere tutti gli altri: ecco perché la prima impressione che ci facciamo di qualcuno é la più difficile da disconfermare, sia essa positiva o negativa.
Johnson-Laird e Wason nel 1977 hanno chiamato questo fenomeno bias della conferma: la tendenza a cercare dati a favore di un'ipotesi piuttosto che contro.
Ecco perché alcune volte ci sembra così complicato fare cambiare idea alle persone attorno a noi: "Ma perché non cambia idea? Eppure é intelligente… Mah…", pensiamo fra noi e noi: il punto é che siamo noi che dobbiamo avere pazienza e darle tempo, e allo stesso tempo chiederci se possiamo trovarci "dall'altra parte", ossia vittime noi stessi di qualche pregiudizio o idea preconcetta di cui non siamo consapevoli, e che l'altro ci sta facendo vedere.
E' lo stesso motivo per cui alcune persone, anche del tutto ragionevoli e lucide in altri campi di vita, portano avanti per anni idee prive di fondamento, o di senso pratico: é il caso di alcuni uomini o donne convinte che il partner che le tradisce o addirittura le maltratta sia quello della loro vita, di alcuni scienziati che si attaccano e combattono per sostenere teorie che la comunità scientifica ha scartato ormai da tempo, di alcuni genitori certi che il figlio spacciatore sia in realtà un bravo ragazzo, in tanti casi anche negando l'evidenza e sfiorando il ridicolo. Scommetto che qualcuno degli autori delle lettere di prima rimarrà convinto della propria idea anche dopo aver visto la sua lettera nel quadro d'insieme e letto la risposta del Direttore!
Il problema é che, prima o poi, la realtà si impone da sola. Quando le persone di prima (fra cui se non stiamo attenti possiamo esserci anche noi, beninteso) sono messe con le spalle al muro, cioé sono costrette -dagli eventi, dalle circostanze, insomma dalla vita- a riconoscere che nella loro idea c'é qualcosa di sbagliato che andrebbe rivisto e cambiato, non é facile per loro perché subentra una fase di crisi, cioé di cambiamento attraverso la sofferenza.
La difficoltà della crisi, é banale dirlo ma va detto, é soprattutto emotiva: tanto più una crisi é profonda quanto più abbiamo investito (cioé abbiamo riversato le nostre energie, le nostre emozioni e aspettative) nella nostra idea e, più in generale, in una certa immagine di noi. La crisi ci obbliga a disinvestire le nostre emozioni dall'idea precedente per investirle nuovamente in un pensiero diverso o in una visione più generale, a fare in un certo senso marcia indietro.
Con questo voglio dire che quando scopriamo qualcosa che mette in discussione le nostre convinzioni, o comunque sia il nostro lavoro mentale, in tanti casi scopriamo anche che le nostre idee non erano poi così completamente sbagliate da venire cancellate ma erano sbagliate solo in parte da venire modificate, o erano addirittura giuste da venire integrate, appunto, in una visione più generale.
Karl Correns era un botanico tedesco che ampliò le leggi di Mendel: egli fece accoppiare piante a fiori rossi e piante a fiori bianchi, aspettandosi che le discendenti della prima generazione presentassero fiori rossi o fiori bianchi a seconda di quale gene per il carattere del colore della pianta fosse dominante o recessivo, quindi dando per scontato che le previsioni di Mendel in questo senso fossero esatte.
Ecco, quando ho letto di questa storia sul mio libro di Biologia ho immaginato questo botanico seminare le piante e andare a letto, aspettandosi di vedere l'indomani mattina le piante con i fiori rossi o bianchi.
Nella realtà si é alzato e ha visto le piante con i fiori rosa!!! Mi sono visto questo pover'uomo sconvolto che é andato in crisi chiedendosi il perché!
Continuo a immaginare che sarà andato in crisi sì, ma era anche un uomo di scienza, e sapeva benissimo che "in campo scientifico i risultati che differiscono dalle aspettative devono portare il ricercatore a riesaminare e modificare le sue supposizioni per giustificare il dato sperimentale inaspettato".
In sintesi, dopo aver rotto le palle alla moglie che avrà pensato che fosse impazzito, si sarà chiesto: "Ma perché escono fuori 'sti fiori rosa???" e ha fatto la cosa più logica che ci fosse da fare: incrociare due di queste piante a fiori rosa e aspettare di vedere cosa sarebbe successo.
I discendenti della terza generazione avevano fiori rossi, rosa e bianchi.
Questo vuol dire, in Biologia, che una certa specie per un dato carattere -qui abbiamo fatto l'esempio del carattere "colore della pianta"- può non presentare un gene completamente dominante e l'altro completamente recessivo, cioé possono agire tutti e due i geni (o gruppi di geni) anche se in misura diversa: i fiori della pianta di prima uscivano rosa perché era attivo sia il gene del colore "rosso" che quello del colore "bianco".
Correns ampliò le teorie di Mendel e scoprì la dominanza incompleta.
Ma quello che a noi interessa é il fatto che le teorie di Mendel non erano sbagliate, erano solo incomplete perché mancavano di alcuni presupposti ed andavano semplicemente modificate.
Spesso la soluzione non é così complicata come crediamo ed é a portata di mano, solo che non la vediamo al momento perché siamo troppo coinvolti dentro il problema che stiamo risolvendo: ci appare facile solo dopo che l'abbiamo trovata.
Se a qualcuno rimarrà impresso quest'esempio del biologo tedesco che ha attraversato una crisi ma ha fatto una scoperta ne sono contento. Per questo ci ho messo dentro che é andato a letto dopo aver seminato la pianta e la moglie che pensava fosse impazzito (del resto, scusate, voi che pensereste di uno che vi fissa con gli occhi spalancati e vi fa: "I FIORI SONO ROSA! I FIORI SONO ROSA! PERCHE' I FIORI SONO ROSA?"?): per farvelo vivere e, possibilmente, memorizzare, perché a mio parere é molto importante vedere i problemi alla luce di quest'ottica ottimista.
"Crisi" é una parola che in giapponese si esprime attraverso due ideogrammi (dove ogni ideogramma esprime un concetto), di cui il primo vuol dire "problema" ed il secondo "opportunità". Quindi: opportunità di crescita attraverso un problema, il superamento del quale implica un passaggio attraverso la sofferenza.
E' lo stesso motivo per il quale persone che hanno avuto problemi e che sono passate attraverso delle crisi, una volta risolte e superate, finiscono per essere umanamente più ricche, più tolleranti e comprensive, mentre all'opposto altre persone che hanno sempre gli stessi problemi, o le stesse idee, o la stessa visione della vita che non mettono mai in discussione, generalmente sono più rigide e in casi più estremi anche un pò fanatiche.
Se ci pensiamo, "cambiamento" é un concetto associato all'idea di trasformazione, movimento, instabilità e dinamicità, tutti concetti associati a loro volta all'idea della vita, mentre il contrario di cambiamento é "immutabilità", tutto ciò che rimane sempre e in ogni momento identico a se stesso, ed é associato all'idea di immobilità, rigidità, stabilità, inflessibilità, e quindi alla morte.
Tornando da dove siamo partiti (lettere scritte da tifosi che vedevano tante cose diverse dello stesso aspetto -il tifo per una squadra di calcio- nella stessa persona del Direttore), cosa possiamo fare noi per non correre lo stesso rischio di confondere ciò che é reale da ciò che é semplicemente qualcosa di noi stessi che stiamo proiettando sull'altro?
Nell'esempio delle lettere i tifosi proiettavano sul Direttore una loro paura, la paura della squadra avversaria: in senso lato é la paura del nemico, in senso ancora più esteso può essere interpretata come la paura di qualcuno o qualcosa che si frappone fra noi e il raggiungimento delle nostre mete.
Possiamo riuscire a vedere la realtà che ci circonda con obiettività di giudizio solamente attraverso un percorso di consapevolezza su di noi, cioé rendendoci conto di noi stessi, di chi siamo nella nostra completezza. Questo vuol dire individuare con chiarezza i lati di noi stessi e le nostre infinite sfaccettature e distinguere i nostri punti di forza da quelli deboli: gli aspetti della vita dove riusciamo ad essere sicuri ed intraprendenti da quelli dove abbiamo più paura e ci sentiamo meno fiduciosi, ma dove sentiamo allo stesso tempo di poterci migliorare.
Sono questi ultimi i lati di noi stessi su cui dovremmo lavorare, cioé identificare e modificare per cambiare noi stessi e la realtà che vediamo attorno a noi.
Essere consapevoli di sé, in breve, significa essere consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su di esso. (*)
Solo se siamo aperti all'esperienza, al confronto e soprattutto all'ascolto di noi stessi, riusciremo a distinguere la realtà dalle nostre proiezioni, a guardare agli altri per quelli che sono e a non filtrarli attraverso le nostre emozioni, le nostre paure o i nostri desideri.

(*) Daniel Goleman, “Intelligenza Emotiva”, pp. 69

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