15.6.06

I colori dei mondiali

di Silvia Del Beccaro

Mondiali, mondiali, mondiali! La febbre per questi campionati 2006 sta dilagando sempre più. Ovunque, non si parla d’altro: negli uffici, sotto l’ombrellone, in bicicletta... Il calcio è diventato l’argomento di punta in ogni conversazione. Si comincia discorrendo del più e del meno, ma poi si giunge sempre a pronunciare frasi del tipo: “Ho penato per novanta minuti” oppure “Abbiamo rischiato grosso”. Senza rendercene conto, cominciamo a parlare come se stessimo giocando noi: ci sentiamo parte della squadra. Come mai? La spiegazione è semplice… Perché i Mondiali siamo noi che con le nostre bandiere, i nostri colori e i nostri entusiasmi rendiamo grandi questi Campionati. Noi che ci esaltiamo, soffriamo, ci agitiamo, rimaniamo delusi; noi che ci riuniamo in grandi compagnie, composte da perfetti sconosciuti ma che per l’occasione formano una grande famiglia.
Verdi, rossi, gialli, blu: i colori delle nostre squadre si mescolano sugli spalti e formano una grande distesa multicolore. Le immagini parlano chiaro. Facce dipinte, vestiti in tinta e parrucche. Ogni scusa è buona per colorarci e per far sapere, così, alla propria squadra che ci siamo, che siamo lì a sostenerla. Senza i tifosi il calcio non esisterebbe, così come non avrebbe luogo nessun’ altra forma di spettacolo. Perché il football è questo: spettacolo, e niente più. Forse è per questo motivo che ci sentiamo tutti un po’ protagonisti di questo “big show”. In fondo siamo tutti un po’ attori e dunque, come tali, amiamo mascherarci.
La passione per il calcio e l’entusiasmo, però, non sono sentimenti falsi. Non recitiamo quando esultiamo per un goal, non facciamo finta di arrabbiarci per un’ autorete, non interpretiamo un ruolo quando, nell’attesa che venga battuto un rigore, tratteniamo il respiro per poi farlo esplodere in un urlo di gioia se il pallone buca la rete. Per non parlare degli inni. Ogni canto racconta e rievoca una storia diversa. L’inno nazionale italiano, per esempio, si apre con: “Fratelli d’Italia”. Quale migliore espressione se non questa per comunicare quel senso di patriottismo e di fratellanza che unisce gli italiani all’estero o in occasioni simili ai mondiali?! Ma il seguito è ancora meglio: «Uniamoci, amiamoci, l’Unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore; […] Uniti per Dio chi vincer ci può?». Con quanta enfasi i tifosi azzurri cantano questo testo a squarciagola, mano al petto, prima di ogni calcio d’inizio! E come noi italiani, anche i francesi, i tedeschi, i brasiliani, gli spagnoli, gli ivoriani recitano il proprio inno in questo modo… In fondo, allora, non siamo poi così tanto diversi.A mio parere, però, c’è un’altra spiegazione altrettanto plausibile a questa “mania dei colori”. E la soluzione è semplice: in noi esiste un desiderio profondo di creare un’unica grande comunità mondiale, che riesca a convivere serenamente. Certo si tratta di un’utopia, ma non a caso ho parlato di “desiderio”. Ad ogni modo, questa tendenza a voler puntare tutto sui colori induce a pensare che nel mondo perduri una forte speranza di convivenza fra etnie. Certo, ogni squadra ha un colore per contraddistinguersi dalle altre, ma questo non cambia il fatto che permanga il sogno di abolire le barriere fra persone di colore differente. Gli spagnoli, ad esempio, indossano maglie che richiamano il colore dei pellerossa; il Brasile invece veste una divisa che ricorda i cosiddetti “musi gialli”, e così via. Ma allora, eccoci dunque tutti uniti, tutti compatti. Almeno per ora, in occasione di questi mondiali. E una volta terminati, cosa accadrà? Ai coscienziosi l’ardua sentenza.

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